Time Crisis | L’epoca d’oro delle Light-Gun Parte 1
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a cura di Adriano Di Medio
Redattore
Bevenuti all’Epoca d’oro delle Light-Gun, lo speciale in due parti dedicato a uno dei filoni più prolifici delle sale giochi degli anni Ottanta e Novanta: le pistole ottiche. Un tipo di intrattenimento carnale, che si consumava sullo sparare a uno schermo catodico con una pistola che reagiva alla luce. Una tecnologia affacciatasi ormai trent’anni fa, da Duck Hunt fino a Virtua Cop, il primo sparatutto light-gun ad ambientazione poliziesca venuto a contatto con le masse. Tuttavia in questa breve rievocazione non vogliamo parlare di queste radici, ma del momento immediatamente successivo. Dopo SEGA arrivò Namco, che inaugurò una delle serie più note e amate della pistola ottica: Time Crisis. Un nome ben noto, arrivato con i proverbiali alti e bassi fino agli attuali anni 2010. In questo articolo ci soffermeremo quindi sull’età “classica”, la trilogia iniziale che va dal 1995 al 2003.
Basta coi bersagli
Poche sono le notizie certe sullo sviluppo del primo Time Crisis. I tre nomi legati al gioco sono Takashi Sano, Kazunori Sawano e Takashi Satsukawa. La Namco ha appena incassato il buon successo di Point Blank, primissimo esperimento con la nascente Gun Con (o G-Con), la Light-Gun creata da Namco stessa. La G-Con era una tecnologia proprietaria che migliorava sensibilmente il sistema di ricezione del movimento e triangolazione del colpo. Se per Point Blank questo aveva significato poter creare tiri al bersaglio che richiedessero anche precisione e logica, c’era anche l’impulso a voler esportare una tecnologia così versatile. Point Blank era infatti un franchise fin troppo family-friendly e c’era la necessità di qualcosa di più serio, che permettesse anche dei risvolti tattici negli scontri a fuoco virtuali.
Il primo Time Crisis nasce dall’unione di tutte queste idee, arrivando nelle sale giochi nel 1995 e sulla prima PlayStation due anni dopo. Uno shooter-game su binari teso e crepuscolare, il cui cabinato (gigantesco) si stagliava con prepotenza nelle sale giochi. Per interagire con il mondo oltre lo schermo, per la prima volta completamente in tre dimensioni, vi era un nuovo modello di G-Con, dotata di un meccanismo a molla che a ogni premuta di grilletto mandava all’indietro la canna della pistola, simulando il rinculo. Un artificio oggettivamente banale, ma il cui inserimento generava un coinvolgimento fisico inaspettato e mai visto. Si era “davvero” l’agente segreto Richard Miller contro il folle damerino Sherudo Garo. E poco importava che, in Europa e America, la periferica fosse verniciata di un inverosimile color celeste cielo.
Il matto nel castello
Time Crisis inoltre presentava, in maniera per i tempi molto inedita, una vera e propria narrazione, pienamente influenzata classici film d’azione americani da fine anni Ottanta in poi. Richard Miller è un agente del V.S.S.E. (Vital Situation, Swift-Elimination), agenzia specializzata nella risoluzione di situazioni critiche specialmente nell’ambito politico e militare. Il primo Time Crisis si ambienta in un castello in mezzo al mare nello stato fittizio di Sercia, divenuto recentemente una democrazia grazie a un colpo di Stato appoggiato dagli Stati Uniti. L’instaurazione della repubblica è avvenuta dopo il rovesciamento del precedente (e plurisecolare) regime imperiale. Come vendetta per il colpo di stato, Sherudo Garo (ultimo esponente della famiglia reale) rapisce Rachel MacPherson, figlia del presidente dell’appena nata Repubblica di Sercia. La V.S.S.E. manda quindi Richard Miller in una missione che è per prima cosa una corsa contro il tempo.
A livello di design il gioco introduceva infatti due novità sostanziali, che parimenti sarebbero divenute proverbiali: il sistema di copertura e il tempo limite. Il gioco è suddiviso in tre Stage di quattro aree ciascuna (tre di scorrimento e una per la bossfight) ciascuna a sua volta divisa in un numero variabile di “punti azione”. In ognuno di questi ultimi Miller si nascondeva dietro una copertura predefinita, che serviva sia per schivare i colpi che per ricaricare l’arma. Il giocatore poteva poi esporsi per sparare tramite un apposito pedale. Miller infatti è un agente fuori categoria, capace di tener testa da solo all’intero esercito di mercenari del misterioso e carismatico Wild Dog. Ciò che però richiede abilità superiore è la componente temporale. L’interfaccia di gioco è infatti dominata da un timer che inesorabilmente ticchetta verso lo zero, e che può essere esteso solo completando i vari “punti d’azione”. Viene quindi abbandonato ogni virtuosismo per spingere il giocatore a risolvere le situazioni nel minor tempo possibile, limitando al minimo le ricariche e i ripari. Una condotta rischiosa, da abbinare ai riflessi pronti per riuscire a distinguere le tipologie di nemici, i quali a seconda del colore della divisa possono impiegare più o meno tempo per mettere a segno un colpo dannoso per Miller.
In maniera abbastanza prevedibile, Time Crisis ottiene un buonissimo successo di pubblico. La sfida di Miller contro Garo appassiona e diverte, e la figura dell’antagonista secondario Wild Dog, che gli intenditori riconoscono come un omaggio al personaggio di Mad Dog di Hard Boiled (film del 1992 diretto da John Woo). La versione per PlayStation riesce a ottenere anche un’ulteriore mini-storia: il Kantaris Deal. È una piccola missione (lunga circa un terzo del gioco originale) che vede Miller confrontarsi con l’omonima organizzazione collegata con Wild Dog. Variazione interessante era il suo presentare percorsi alternativi a seconda della performance del giocatore. Dopo questo sarebbero però passati anni prima che Miller tornasse in azione, nello spin-off Time Crisis: Project Titan del 2001.
L’altro matto, quello col satellite
Nel 1997, lo stesso anno in cui il titolo d’esordio della serie arriva su console insieme a una G-Con apposita da utilizzarvi (rinominata per l’occasione G-Con 45), in sala giochi viene pubblicato Time Crisis II. Il sequel vede nuovamente Takashi Sano come produttore, ed è l’occasione per migliorare la formula. Il cambiamento più prevedibile (quasi banale) è quello della modalità a due giocatori. Stavolta infatti gli agenti V.S.S.E. protagonisti sono Keith Martin (giocatore uno) e Robert Baxter (giocatore due), che si dovranno confrontare con Ernesto Diaz, presidente della NeoDyne Industries. Questo milionario improvvisatosi genio del male ha infatti intenzione di lanciare un satellite dotato di armamenti nucleari, sotto la copertura di farne il punto focale per un sistema di telecomunicazioni a reti unificate. Martin e Baxter dovranno quindi vedersela con i seguaci di Diaz e i suoi pericolosi mercenari (con di nuovo Wild Dog) in un folle inseguimento fino alla portaerei da cui sta per essere lanciato il satellite.
A livello estetico, il cabinato arcade di Time Crisis II è ricordato per presentare due periferiche da utilizzare su due schermi. Ciascun giocatore può entrare in qualunque momento della partita, e a seconda dell’agente impersonato affronterà percorsi e minacce differenti. A livello narrativo tuttavia, nonostante i tentativi di estendere il contesto, già da questo secondo capitolo si perde la componente più tesa e “drammatica” della storia. Altro peccato è nuovamente un personaggio femminile (stavolta l’agente V.S.S.E. Christy Ryan) che fatica a distaccarsi dalla classica fanciulla da salvare. A livello di design interno viene migliorata la percezione dei colpi, rendendo più facile per il giocatore capire quando nascondersi. Il ritmo che ne risulta è quindi chiassoso ed esagerato, ma anche per questo incredibilmente divertente. L’unico vero difetto del gioco è la drastica riduzione di incisività della componente temporale. Il timer che scorre verso lo zero viene infatti relegato all’angolo destro dell’interfaccia e non viene più influenzato dalle prestazioni del giocatore, tornando ai 40 secondi standard a ogni “punto azione” superato.
Anche Time Crisis II avrebbe avuto un porting su console PlayStation, ma sarebbero trascorsi ben quattro anni prima che accadesse. Tuttavia, il “ritardo” si fece perdonare approfittando pienamente della potenza dell’allora esordiente PlayStation 2. Il miglioramento grafico fu tanto e tale che si sospettò che fosse addirittura un remake. La versione PS2 del gioco arrivò accompagnata dalla G-Con 2, versione potenziata della vecchia 45, e fu anche uno dei primi ad avere un doppiaggio italiano passabile (Project Titan uscito nello stesso anno su PSX era stato il primo in assoluto a essere doppiato ma era risultato di bassissima qualità).
Il terzo matto invece preferisce i missili
A fine anni Novanta il genere della Light-Gun subisce però una brusca frenata. Il motivo è tristemente quello della cronaca nera: nel 1999 avviene il massacro alla Columbine High-School, che porta nuovamente gli statunitensi a riflettere sul ruolo delle armi nella loro società. L’onda lunga arriva ovviamente anche ai videogiochi, e i distributori decidono per un po’ di non importare cabinati con la pistola ottica. È in questo stesso periodo che nasce anche la tendenza a verniciare queste periferiche con colori sgargianti. Questa “tempesta” passa a inizio anni Duemila, ed è il momento per il brand di trovare il pieno equilibrio. Tornato Takashi Satsukawa al design, nel 2002 esce in arcade Time Crisis 3. Ancora una volta nessun elemento dei precedenti capitoli viene lasciato indietro: stavolta i due agenti V.S.S.E. si chiamano Allan Dunaway e Wesley Lambert, e sono stati incaricati di fermare l’invasione della Federazione Zagoriana ai danni di Lukano, piccolo stato insulare mediterraneo. Antagonista principale stavolta è il dittatore Giorgio Zott, che è riuscito a entrare in possesso anche di missili balistici con cui minacciare praticamente tutta Europa. Tra i suoi complici vi sono il generale Victor Zahn, l’assassino Andy Garrett e il vecchio amico Wild Dog, stavolta accompagnato dal suo apprendista Wild Fang. Ad aiutare Dunaway e Lambert vi sarà invece Alicia Winston, primo personaggio femminile veramente attivo e comprimario essenziale. Se a livello di trama si cerca quindi un equilibrio tra serietà e modernità, la più grossa novità del gioco è la possibilità per il giocatore di cambiare arma da fuoco una volta in copertura. Oltre alla classica pistola si possono scegliere anche mitra, fucile a pompa e lancia granate. Tutte le munizioni possono essere ottenute bersagliando i nemici in divisa gialla.
A livello estetico, è evidente la trasformazione rispetto al passato. Abbandonato sia l’atmosfera crepuscolare del primo che quella cupa del secondo, il gioco è più luminoso e letteralmente “soleggiato”. L’ambientazione è quella mediterranea, con l’isola di Lukano che è una chiara citazione sia a Cipro che alle varie isolette del Mar Egeo. Dal canto loro i nemici vengono “disumanizzati” il più possibile, con una parata di tute integrali, scafandri e maschere antigas. Ancora una volta il gioco riceve giudizi positivi, ma è anche chiaro che qualcosa sta cambiando nel mondo videoludico. Le sale giochi sono ormai sempre più di nicchia, e anche quando il gioco arriva su PS2 l’anno successivo (con tanto di side-story con protagonista Alicia) non c’è la forza di una nuova G-Con a spingerlo. La tecnologia stava cambiando, e l’epoca d’oro delle Light-Gun finendo.
In questa prima puntata dell’Epoca d’Oro delle Light-Gun abbiamo ripercorso la parte più famosa di uno dei brand che ha segnato la storia della periferica. Passato l’esordio, Namco ne ha progressivamente espanso respiro e possibilità, ma finendo col sacrificare nel processo le componenti più “tese” e “cupe” per puntare sull’azione allo stato puro. Dopo Time Crisis 3, il brand avrebbe comunque continuato a proliferare, producendo spin-off e altri due capitoli principali (Time Crisis 4 è uscito su settima generazione nel 2010 mentre il quinto è uscito nel 2015 su arcade, e ancora non si hanno notizie di una conversione). La tecnologia che muove i Time Crisis “contemporanei” è però quella degli infrarossi, visto che la light-gun era una tecnologia strettamente legata al tubo catodico. Ma nonostante siano ormai passati all’obsolescenza, i primi tre Time Crisis sono universalmente ricordati per aver fissato nuovi standard (grafici e non solo) nella progettazione di videogiochi da sala moderni. Rimanete con noi per la seconda puntata!
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