The Phantom Pain e Moby Dick Studio, Metal Gear e Kojima in incognito | Post Mortem #7
Prima di Metal Gear Solid V, The Phantom Pain fu presentato da Moby Dick Studio e un certo Joakim Mogren...
a cura di Paolo Sirio
Con Post Mortem, ormai avrete memorizzato l’antifona, trattiamo i casi più disparati e disperati relative alla cancellazione di videogiochi nel corso dell’ultimo paio di generazioni di console. Ce ne sono così tanti, e così tanto interessanti, che spesso fare una cernita tra le tantissime informazioni diventa complicato, ma per il nuovo numero di oggi abbiamo pensato di fare una piccola digressione, ispirati dalla retrospettiva della nostra Stefania Sperandio su Metal Gear Solid V: The Phantom Pain. Non parleremo propriamente di un gioco cancellato, infatti, ma punteremo i riflettori su uno che in realtà si è evoluto in un titolo che alla fine di un elaborato stunt promozionale è stato a tutti gli effetti pubblicati, e su uno studio e il suo fondatore che sono esistiti per appena una manciata di mesi. I più attenti tra voi avranno collegato immediatamente questa descrizione a The Phantom Pain, il pre-MGS V, a Moby Dick Studio e Joakim Mogrem, gli alter ego di Kojima Productions e Hideo Kojima.
Prendete i pop corn, e godetevi con noi questo spericolato viaggio nella fantasia del game director giapponese. Si alzi il sipario sul Post Mortem #7.
Cosa sarebbe stato
Agli Spike Video Game Awards 2012, antenati degli attuali The Game Awards, viene mostrato il trailer di un gioco che, nonostante provenga da uno studio al debutto, attira subito l’attenzione del pubblico e diventa virale in rete. The Phantom Pain, questo il nome del gioco, si esibisce in una clip dall’alto tasso di spettacolarità, sia per la qualità della produzione, un tripla-A in piena norma, sia per le sequenze drammatiche e per certi versi fuori dal mondo (una balena in fiamme che salta da un palazzo e fagocita un elicottero? Ok…) che vi vengono incluse. La clip inizia con un dottore che parla al protagonista del titolo, in un letto d’ospedale e appena risvegliatosi da un lungo coma, e prosegue interrogandosi – immedesimandosi nel personaggio – stia capitando in quell’ospedale quando, ancora intontito da farmaci e anestesia, si ritrova a strisciare per i corridoi tra le fiamme e uno stuolo di soldati che sembra dargli la caccia.
Chiaramente, lo scopriremo poi un anno dopo il reveal alla GDC 2013, si tratta della scena d’apertura di Metal Gear Solid V: The Phantom Pain, e gli indizi già al tempo parevano richiamare abbastanza apertamente alla serie di Konami: il dottore aveva una certa somiglianza con Kio Marv, biotecnologo responsabile della creazione dell’OLIX apparso per la prima volta in MG2: Solid Snake; l’infermiera accanto al letto del protagonista indossa la stessa uniforme comparsa in un video intento a dimostrare le capacità tecniche del FOX Engine, in lavorazione dalla chiusura del cantiere su Guns of the Patriots; il modello del personaggio che si trascina per i corridoi è praticamente identico a quello di Big Boss in Ground Zeroes, capigliatura e cicatrice sul volto comprese; e tra le fiamme pare persino di scorgere Volgin, uno dei villain di Snake Eater. Senza contare il logo che aveva delle stanghette molto sospette affianco a diverse lettere, e che con una semplice ricostruzione si potessero comporre le parole Metal Gear Solid V appena al di sopra di quello che sarebbe diventato un sottotitolo e non più il titolo completo. Insomma, pur rischiando di venire tacciati di follia e complottismo, già al tempo si sarebbe potuta sollevare qualche osservazione e noi stessi nella tempestiva anteprima di The Phantom Pain dell’epoca, lo abbiamo fatto, in un clima a metà tra la grande euforia per un titolo di questo spessore appena presentato e il sospetto che ci fosse un franchise acclamato alle spalle di quella che un po’ si sperava fosse una nuova IP.
Mentre il mondo letteralmente le bruciava intorno, intanto, Kojima Productions continuava a lavorare a testa bassa a quello che sarebbe stato il suo prossimo titolo dopo Metal Gear Solid 4: Guns of the Patriots. L’impressione era che, dopo tanto peregrinare e molteplici dichiarazioni in tal senso, il buon Hideo Kojima fosse riuscito a liberarsi di MGS e ottenere carta bianca dai vertici di Konami per un progetto finalmente slegato dalla saga che gli aveva dato fortuna e successo ma che dopo un numero ragguardevole di episodi e anni spesi dietro le quinte lo aveva abbastanza sfiancato. Poveri ingenui.
Nel 2011, ultimato il lavoro preliminare sul FOX Engine – la grande eredità lasciata da Kojima e Konami, alla base di tutti gli ultimi PES – il game director e designer nipponico annuncia di essere impegnato sul nuovo Project Ogre. In un’intervista alla CNN (sì, già al tempo era una celebrità…), Kojima spiegò che sarebbe stato “un gioco con un ingresso molto ampio, un ingresso molto aperto”, rivelando di fatto che si sarebbe trattato per la prima volta nella sua storia di sviluppatore di un titolo open world. Sarebbe stato un prodotto “un po’ diverso da quello che ho fatto finora”, infatti; “un’esperienza differente, anche se in superficie sembrerà simile”. Al tempo c’era ancora Metal Gear Rising in cantiere, e il giapponese aggiunse di desiderare di “produrre altre cose parallelamente” perché “il progetto Ogre richiederà un sacco di tempo”.
Nel 2012 si celebra però il 25esimo anniversario di Metal Gear, e come si poteva immaginare che l’anno scorresse via placido senza qualche sorpresa dall’ex Konami? Al PAX Prime, dove presenzia per la prima volta, Kojima mostra il footage di debutto di Ground Zeroes, un video così sorprendente per qualità da spingerlo a precisare che “non è una tech demo, è il gioco reale mentre gira sul Fox Engine”, precisamente su un PC dalle specifiche equivalenti a quelle di PS3 e Xbox 360. Come per un presentimento, già in quel frangente il boss di KojiPro si sbilancia dicendo che quel motore sarebbe servito per tanti usi, come “un FPS, un adventure in stile Uncharted, o qualcosa sui binari” – “un Silent Hill, possibilmente”.
Questo il contesto in cui si palesa la presentazione di The Phantom Pain ad opera di Moby Dick Studio. Sebbene, com’è stato poi scoperto, si trattasse di una messinscena, la software house che mise la faccia, o per meglio dire, il nome ai VGA del 2012 non lesinò sui particolari ed elaborò una storia abbastanza elaborata per convincere la stampa e i fan della propria esistenza. “Moby Dick Studio è una compagnia di sviluppo di videogiochi che opera fuori da Stoccolma, in Svezia. Moby Dick Studio è stata fondata dal CEO Joakim Mogren che dopo anni di lavoro per uno sviluppatore importante americano ha messo insieme gente da vari studi dell’area scandinava per avviare qualcosa di nuovo”, fu la descrizione pubblicata sul sito ufficiale (via Kotaku), che curiosamente ora rimanda ad un team che davvero esiste. “Il nostro obiettivo è fornire un’esperienza di gioco senza compromessi, entusiasmante e toccante alla gente intorno al globo. Presto pubblicheremo informazioni riguardo alla nostra prima grande uscita”. Nonostante la premessa relativamente convincente, però, si notò rapidamente che il dominio su cui si poggiava il sito aveva un proprietario oscurato ed era stato creato appena una manciata di settimane prima.
Cos’è stato
Nella faccenda di The Phantom Pain e Moby Dick Studio viene probabilmente sottovalutato il ruolo di Geoff Keighley. Brillante presentatore di Game Trailers, Keighley al tempo escogitò l’operazione Video Game Awards per dare ai videogiochi un palcoscenico che fosse all’altezza degli Oscar del cinema. Nel farlo, strinse inevitabilmente rapporti non solo con un’emittente televisiva, che in origine fu l’americana Spike, ma anche con gli sviluppatori e i publisher che avrebbero dovuto aderire a questa iniziativa, tutto sommato nuova nel panorama del gaming. Tra queste relazioni scoccò rapidamente come una scintilla con Hideo Kojima, di cui era appassionato di vecchio corso e del quale sarebbe diventato ben presto amico potremmo dire quasi intimo. Il rapporto tra i due, che è salito agli onori della cronaca con The Game Awards e i trailer praticamente esclusivi di Death Stranding, è nato infatti in questo frangente, con un lavoro di due anni condotto proprio dal giornalista americano sullo stunt promozionale che avrebbe portato all’annuncio di Metal Gear Solid V: The Phantom Pain. Questo lavoro non si limitò alla presentazione del trailer di The Phantom Pain ai VGA 2012, ma comprese gli aspetti social e persino un’intervista-teaser dell’annuncio vero e proprio che si sarebbe tenuto alla GDC 2013.
Appena dopo i VGA 2012, Keighley fu ovviamente subissato di domande da parte di chi non aveva mangiato la foglia e vedeva un Metal Gear dietro il progetto della neonata, o supposta tale, Moby Dick Studio. Recitando la propria parte in questa paradossale sceneggiatura, lo statunitense rispose a più riprese che “The Phantom Pain è un gioco completamente nuovo, nulla che sia stato mostrato prima. Ve lo assicuro”, d’altronde senza mentire. Poco prima della GDC, spiegò che “questo dovrebbe essere interessante: condurrò un intervista al CEO di Moby Dick Studio Joakim Mogren”, e poco dopo disse che “Joakim Mogren è un uomo che sono abbastanza sicuro di non aver incontrato in passato. Mi ha mostrato alcune nuove immagini sul suo iPad”; un richiamo, quest’ultimo, alla gag contenuta nell’intervista con il biondo amministratore delegato, in cui queste immagini portavano il logo del FOX Engine e una volta scoperto il personaggio fittizio se la dava a gambe.
“Questa persona senza dubbio non è Kojima. Mi sembra veramente svedese. E dubito che sia un vero sviluppatore di videogiochi”. Nell’intervista, questo CEO, con il volto fasciato per via di un incidente, dava appuntamento alla Game Developers Conference per “un nuovo trailer di The Phantom Pain che risponderà a tutte le vostre domande”, svelando che si sarebbe potuto mostrare a viso scoperto perché le ferite sarebbero guarite in tempo per l’evento. Il video diventò così virale tra i fan che questi iniziarono a dubitare del fatto che Mogren fosse addirittura una persona vera e non un personaggio creato in computer grafica o con il FOX Engine per mostrare le capacità del motore grafico applicate ad una console di nuova generazione (che all’epoca non era stata ancora presentata).
La caccia all’uomo, alimentata dal fatto che “Joakim” fosse l’anagramma di Kojima e Mogren contenesse non solo le parole “Ogre” – il progetto che diede i natali a MGS V – ma fosse pure il nome di una squadra di calcio in Montenegro, dove all’epoca si sapeva sarebbero partite le vicende di Rising, portò a diverse ipotesi. Qualcuna più popolare dell’altra, oltre alla pista della computer grafica che sembrava confutabile per via della qualità eccessivamente alta anche per una next-gen: si pensò a Cliff Bleszinski, perché era stato proprio il creatore di Gears of War ad introdurre il trailer del gioco ai Video Game Awards 2012, e successivamente a Ludvig Forssell, compositore svedese che ha lavorato alla colonna sonora degli ultimi progetti di KojiPro e sta collaborando per quella di Death Stranding. Successivamente, fu precisato che “abbiamo trovato una persona svedese per recitare la parte” e smentito che si trattasse di CG.
Cosa stava facendo Kojima, però, in tutto questo? Il fondatore di Kojima Productions stava girando il mondo come suo solito, rilasciando interviste e non rifiutandosi completamente di commentare la vicenda. In una dichiarazione affidata a IGN Middle East a Dubai, il creatore di Metal Gear svelò di aver visto il trailer di The Phantom Pain e che gli era “piaciuto molto”. “Era molto affascinante visivamente. L’illuminazione era molto buona”. Quando gli fu chiesto se il protagonista fosse Snake, dopo una risata rispose che “potrebbe essere stato un’ispirazione…”.
Sempre in quei giorni, prima che diventasse tutto chiaro, il designer si soffermò sull’importanza dei trailer “ingannevoli” in fase di promozione di un gioco, spiegando di fatto come mai si fosse condotta un’operazione del genere per dare maggiore risalto al progetto. Abbiamo riportato dichiarazioni simili per Death Stranding, il che lascia intravedere come la sua filosofia, esordita con Metal Gear Solid 2 e la dualità Snake/Raiden, non sia cambiata col tempo. “Penso sia importante lasciare suggerimenti, ma in un certo senso penso sia importante ingannare le persone con i suggerimenti perché penso che se qualcos sia troppo prevedibile allora non sia più divertente. Penso che questo sia il problema di tanti sequel di Hollywood; ti viene dato esattamente quello che ti aspetti”.
Da 7:41 a 8:40 circa
Arriviamo al 27 marzo 2013, quando le due ‘timeline’ parallele si intrecciano nella presentazione alla GDC di quell’anno di Metal Gear Solid V: The Phantom Pain. Un trailer all’inizio di un panel formalmente dedicato al FOX Engine, al quale anche dal suo account Twitter aveva anticipato che sarebbe arrivato un annuncio più interessante per i comuni mortali, svela il nome completo del gioco e mostra del footage aggiuntivo tratto sempre dalla sequenza iniziale più qualche immagine sparsa spoiler free dalla storia. Hideo Kojima si presenta al pubblico in visibilio indossando una maschera con le bende avvolto nelle quali Mogren si era presentato all’intervista con Keighley. Tolta la maschera, con il suo sorriso sornione, pronuncia la propria frase firma: “did you like it?”.
Vi è piaciuta la messinscena, è stato diverso da quello che vi aspettavate? Vi siete divertiti?
Abbiamo intrapreso un percorso leggermente differente rispetto a quello tradizionale di Post Mortem, dove di norma parliamo di giochi cancellati e non di quanti in un modo o nell’altro arrivano sul mercato, “ingolositi” dalla retrospettiva di Metal Gear Solid V: The Phantom Pain apparsa su queste pagine nelle scorse ore. A giudicare dalla storia divertente e dai retroscena gustosi che siamo riusciti a raccontarvi possiamo dirci soddisfatti di averlo fatto, per celebrare la figura discussa e forse discutibile di un personaggio come Hideo Kojima e probabilmente il suo momento più alto come figura mediatica tout court. Il game director e designer giapponese avrà ancora spazio in questa rubrica, probabilmente saprete anche per quale titolo/quali titoli, e siamo sicuri che – come succede quando c’è lui nei paraggi – sarà un’altra storia fantastica.