The Last of Us Parte 2: il gioco di prestigio di Neil Druckmann nei trailer – Speciale
L'uso dei trailer di The Last of Us - Parte II è uno dei fattori che hanno contributo a sconvolgere i giocatori, una volta uscito il gioco finale: perché?
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a cura di Valentino Cinefra
Staff Writer
Informazioni sul prodotto
- Sviluppatore: Naughty Dog
- Produttore: Sony Interactive Entertainment
- Distributore: Sony
- Piattaforme: PS4
- Generi: Action Adventure
- Data di uscita: 19 giugno 2020
Attenzione! Questo articolo contiene pesanti spoiler da The Last of Us – Part II, Avengers: Endgame e dai videogiochi di Hideo Kojima. Vi raccomandiamo di interrompere la lettura se non volete anticipazioni sui contenuti di queste opere.
L’uso massiccio di trailer è diventata, nell’ultimo decennio, una pratica adottata da tutti i medium di intrattenimento. Dal cinema ai videogiochi, chiaramente, ma l’idea di annunciare qualcosa attraverso un filmato di qualche tipo è diventata comune anche nel mondo della letteratura, del fumetto, del gioco di ruolo, musica, e così via. D’altronde, in un momento in cui la comunicazione è sempre più visiva che descrittiva o testuale (si legge tendenzialmente di meno e tutto si consulta da smartphone) un breve video risulta molto più efficace di un testo anche corposo e dettagliato.
Ed al perfezionamento di questa pratica si sono aggiunte delle vere e proprie tecniche di comunicazione specificatamente legate a questo strumento. Scene girate diversamente o addirittura non presenti nel prodotto finale, linee di dialogo modificate, e in generale una manipolazione del contenuto per dare all’utente una visione particolare dell’opera. Che sia per giocare con la percezione, oppure semplicemente comunicare sensazioni e dettagli specifici in maniera veloce e diretta, il trailer è diventato una parte fondamentale della promozione di qualsiasi prodotto.
E nel caso di The Last of Us – Parte 2, come in altri che analizzeremo, c’è stato un inganno, un gioco di prestigio atto a far credere qualcosa che è diverso dalla realtà. Se avete completato l’opera di Naughty Dog probabilmente saprete già dove andremo a parare, ma ci sono comunque riflessioni interessanti sul come Neil Druckmann ed i suoi abbiano utilizzato questo strumento.
Prima di continuare lo ribadiamo, dopo averlo detto in apertura nel disclaimer: questo articolo contiene numerosi spoiler su The Last of Us – Parte 2, e non solo. Interrompete la lettura adesso se non avete finito il gioco.
Joel, Thanos ed il ribaltamento della narrazione
Il gioco di prestigio di Neil Druckmann è che non è la morte di Dina a scatenare il viaggio di vendetta di Ellie, ma quella di Joel.
Tutti i trailer, ma anche i messaggi velati di Naughty Dog stessa, ci hanno fatto credere che sarebbe stato l’interesse amoroso di Ellie al centro della tragica morte suggerita dai trailer stessi, ma non è così. E non solo, perché lo straziante omicidio di Joel viene messo in scena nei primi novanta minuti (circa) di gioco. Quindi un doppio effetto sorpresa, riguardante l’identità della vittima ed il momento in cui questa viene assassinata.
Una cosa del tutto simile a quanto fatto per la promozione di Avengers: Endgame, il capitolo finale della decennale saga cinematografica della Marvel, dove Thanos viene eliminato da una squadra punitiva dei Vendicatori dopo i primi minuti della pellicola. Come Marvel ha creato una campagna atta a farci credere una cosa rispetto alla trama di Endgame, anche Naughty Dog ci ha rigirati come un calzino proponendoci un incipit narrativo del tutto diverso.
Come è stato raggiunto, esattamente, questo risultato? Tramite montaggio e manipolazione fisica degli elementi su schermo.
Nel primo caso, ND ci ha fatto credere attraverso dei sapienti tagli come sarebbero state alcune scene che, invece, sono risultate tutte diverse. L’esempio più clamoroso è nel trailer di annuncio della data di uscita, quello in cui vediamo per la prima volta Joel. Nella scena qualcuno mette una mano sulla bocca ad Ellie da dietro, e con un controcampo Naughty Dog ci mostra Joel che dice: «credevi che te lo avrei lasciato fare da sola?». Non solo nel gioco finale non c’è Joel perché è già deceduto, ed al suo posto c’è Jesse, ma quella specifica scena e linea di dialogo del padre putativo di Ellie non compare mai nel corso del gioco – ed è invece lo stesso Jesse a dirla. Questo perché, all’epoca, c’era la possibilità che Joel non fosse presente nel gioco perché morto nell’arco di tempo trascorso tra i due capitoli (questa era una delle teorie), e quindi questa scena nel trailer rappresenta un gran momento di reveal – una cosa di cui vi avevamo parlato l’anno scorso in uno speciale, tra l’altro.
Per quanto concerne ancora il montaggio, Naughty Dog ha costruito tutti i trailer successivi perché credessimo che 1) fosse Dina quella che Ellie guarda morire, distesa a terra trattenuta dai suoi assalitori e 2) Joel accompagnasse Ellie nel suo viaggio di vendetta. Le istantanee e le scene sono tantissime, ma se avete completato il titolo e andate a ricontrollare tutti i trailer vi accorgerete di quanto sia diverso il corso della narrazione in questo caso. E non solo, perché il team di sviluppo ha fisicamente modificato i trailer per occultare dettagli o traviare la percezione dello spettatore.
Innanzi tutto, ogni scena in cui ci sono Joel anziano ed Ellie più adulta è falsa. O meglio sono le stesse scene, ma in momenti temporali diversi. ND ha sostituito fisicamente i modelli dei due personaggi perché sembrassero delle cutscene relative al corso dell’avventura quando, in realtà, sono dei flashback. Questo serve ovviamente a sostenere la bugia per cui Joel non viene ucciso all’inizio della storia, mentre Dina non viene più mostrata insieme a loro due così da traviare ulteriormente lo spettatore. A questo proposito Ellie viene sempre mostrata a cavallo in solitaria quando esplora Seattle, mentre i giocatori sanno bene che con lei c’è Dina che decide di accompagnarla nel suo viaggio.
Un lavoro encomiabile che, se non ci fosse stata l’emorragia di spoiler in giro per il mondo, avrebbe fatto sì che i giocatori fossero ancora più sorpresi delle svolte narrative di The Last of Us – Parte 2. Tra l’altro, col senno di poi, la bravura di Naughty Dog si manifesta nel fatto che uno dei primi trailer del gioco ci diceva già in maniera “chiara” come sarebbero stati alcuni dettagli della trama. Ci riferiamo al trailer della PlayStation Experience del 2016, dove Ellie suona “Through the Valley” e Joel appare di tre quarti per la prima volta, una scena che suggerì da subito la teoria della morte dell’uomo che abbiamo menzionato sopra. A pensarci ora, il suggerimento sul destino di Joel è molto chiaro.
Intanto l’intera scena è surreale – è infatti non è presente nel gioco – con Ellie che canta e suona in una casa piena di persone che ha ucciso, e più che un evento sembra proprio un’allegoria dell’ossessione della ragazza che la rende sempre meno lucida. Poi Joel entra in scena da una fonte di luce chiaramente simbolica rispetto all’aldilà, non viene mai mostrato in volto direttamente, e quando lo vediamo è di profilo ed è molto più giovane di quanto dovrebbe essere Ellie in realtà in quella situazione; infine fa una domanda che è più qualcosa che la ragazza chiede probabilmente a sé stessa, come una sorta di epifania (perché Joel chiederebbe una cosa del genere vedendo quella scena?).
Insomma, Naughty Dog ha fatto uso dei trailer in maniera eclettica ed intelligente, ed il paragone tra Joel è Thanos all’inizio di questo paragrafo è in realtà relativo a tutta la campagna di TLOU Parte 2 e Avengers: Engdame. Perché entrambe le produzioni sono arrivate allo spettatore/giocatore con un carico di trailer che facevano presagire qualcosa di molto diverso dalla realtà. Se nel cinema, quindi, è pratica comune e Marvel ha solo enfatizzato la cosa, nei videogiochi c’è un altro creativo che si è divertito molto con i trailer nei confronti del suo pubblico: Hideo Kojima.
Raiden, The Phantom Pain e Death Stranding
Kojima è sicuramente uno che si è divertito molto a giocare con le sue opere. Il suo più grande gioco di prestigio, per rimanere in tema, rimane sicuramente quello su Raiden in Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty. Vicenda ormai storica dove il biondino viene rivelato essere, completamente a sorpresa, il vero protagonista del titolo a discapito di Solid Snake, che invece compare solo nel prologo e da un certo punto dell’avventura in poi, inizialmente sotto mentite spoglie oltretutto, ma mai come personaggio giocabile dopo la sequenza del tanker.
Il primo trailer vedeva Snake battersi nel tanker, mentre Raiden compare solo fugacemente in un singolo trailer e negli artwork, un personaggio talmente secondario che molto credevano sarebbe stata una spalla femminile di Snake. In uno dei trailer successivi venne addirittura inserito Snake sulla Big Shell, in boss fight e situazioni che sarebbero state di Raiden, poi. Fu solo a gioco pubblicato che i giocatori scoprirono che Raiden sarebbe stato il vero protagonista del gioco, con tanto di giornalisti che non parlarono assolutamente di questo dettaglio nelle recensioni, perché embargato. Un po’ come The Last of Us – Parte 2 ed Abby che non solo diventa centrale nell’intreccio per via della sua storia personale, ma diventa un personaggio giocabile per la seconda metà dell’avventura, una cosa che non è mai emersa fino a che non abbiamo potuto mettere le mani sul pad.
Con il passare degli anni Kojima non ha fatto altro che sperimentare sempre di più con i suoi trailer. Con The Phantom Pain inizia addirittura prima, con una campagna pubblicitaria che fa presagire che il titolo non fosse neanche un Metal Gear Solid, ma una produzione del fittizio Moby Dick Studio. Una storia incredibile, che potete recuperare per intero in un nostro speciale a cura di Paolo Sirio.
Successivamente i trailer puntano a destabilizzare, a creare incomprensioni e continue domande nel giocatore. Cos’ha di strano Big Boss? Cos’è quel corno sulla testa? Skull Face chi è, ed è davvero un personaggio reale? Chi è quell’uomo di fuoco che insegue Big Boss? E così via. A differenza di TLOU Parte 2, quindi, non c’è una convinzione errata, ma il totale smarrimento (chiaramente voluto) che Kojima vuole indurre nel giocatore, atto a creare un mistero che non può far altro che costringere il fan ad attendere con ansia il titolo, dando nel frattempo giusto qualche scampolo di punti fermi.
Perché in questo caso oltre a sfruttare un montaggio beffardo che inganna la percezione dello spettatore, Kojima modifica fisicamente alcuni trailer inserendo o togliendo personaggi, oppure creando scene che non sono neanche presenti nella versione finale del gioco. Come la camminata di Big Boss in uno dei corridoi della base, che nel gioco è una semplice cutscene mentre nel trailer dell’E3 2015 ad ogni zona d’ombra il personaggio si trasforma in qualcun altro, un’allegoria che nella custcene reale non è presente. Oppure, un’altra sequenza dello stesso trailer, dove Big Boss “vede” alle sue spalle Skull Face come una presenza eterea, una scena che nella versione finale è diversa: il villain del gioco viene “sostituito” da Kaz dopo qualche secondo dalla prospettiva di Venom Snake, e dove qualche istante prima vediamo Skull Face camminare addirittura di fronte a lui (sempre in forma di visione allegorica).
Nel caso di The Phantom Pain va fatto un piccolo inciso perché, visto il complicato processo di sviluppo e gli ormai famigerati tagli che sono stati fatti durante la produzione, non possiamo sapere con certezza assoluta quali di queste manipolazioni nei trailer siano state pensate dall’inizio come promozione, e quali invece siano state conseguenze dell’ormai nota vicenda tra Konami ed il game designer.
Con Death Stranding, poi, Kojima si affida quasi esclusivamente al gioco delle tre carte, per così dire. Dapprima svelando tramite i trailer un immaginario affascinante quanto misterioso a piccole dosi, e continuando con il tema del mistero ad ogni trailer successivo. Strane creature, personaggi legati tra loro in maniera oscura, visioni mistiche e lovecraftiane, con tanto di gameplay rimasto celato fino a pochissimo tempo dal day one.
Una vera e propria evoluzione di quello che è stato il lavoro fatto con The Phantom Pain, che ha portato al designer molte critiche riguardo il suo essere criptico, ma che hanno indubbiamente pagato in termini di promozione. Curiosamente, nonostante la natura davvero enigmatica dei trailer di Death Stranding, nei filmati non ci sono mai state scene effettivamente inventate di sana pianta, né manipolazioni fisiche come personaggi inesistenti o dialoghi diversi, ma solo un sapiente uso di montaggio ed una selezione di cosa mostrare e quando.
Se per qualche motivo avete letto tutto l’articolo nonostante non abbiate giocato The Last of Us – Part II, vi raccomandiamo di recuperare il gioco approfittando di un prezzo speciale.
Neil Druckmann ha utilizzato i trailer di The Last of Us – Parte 2 prendendo spunto dall’industria cinematografica ed Hideo Kojima in egual misura. Tra manipolazioni, montaggi e scene inesistenti, Naughty Dog è riuscita ad ingannare tutti quanti (al netto dei maledetti spoiler) riguardo la natura della storia dell’ultima esclusiva PlayStation 4. Chissà se in futuro altri creativi e game designer utilizzeranno questo stesso artificio per promuovere i videogiochi della prossima generazione, che proietta il medium in una posizione sempre più vicina al cinema.
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