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Spotify e YouTube fanno più danni della pirateria? | Le notizie tech e social

I servizi di ascolto musicale gratis potrebbero avere ripercussioni peggiori della pirateria sull'industria musicale. Intanto, si parla di FaceApp e del futuro degli smartphone pieghevoli

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a cura di Stefania Sperandio

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Instagram che prova a reinventarsi, FaceApp che spopola, preoccupa e poi rassicura. Ma anche il futuro di Samsung Galaxy Fold e il possibile impatto di servizi come Spotify o delle pagine di YouTube sul mercato dell’industria musicale. Vediamo tutte le novità tech e social della settimana nel nostro consueto appuntamento con SpazioTech.

Il nuovo boom di FaceApp, farcito di polemiche

Come avrete notato anche voi, nei giorni scorsi FaceApp ha vissuto un nuovo momento di grande boom, in particolare grazie al filtro che consente agli utenti di caricare un loro primo piano per vedere che aspetto potrebbero avere da vecchi.

Questa funzionalità ha divertito milioni di persone in tutto il mondo, che hanno cominciato a condividere le loro foto da nonni, ma ha destato anche delle preoccupazioni: alcuni hanno infatti segnalato che, per accedere al primo piano da elaborare, l’applicazione si appropriasse in realtà di tutte le foto presenti nello smartphone dell’utente, violando la sua privacy.

Vista la diffusione dell’allarme, gli autori di FaceApp sono subito corsi ai ripari, diffondendo un commento ufficiale che ha smentito queste accuse: secondo gli sviluppatori, infatti, non avviene nessun appropriazione delle foto, a parte il caricamento nel cloud, per la sua elaborazione, di quella selezionata dall’utente. Anche in questo caso, però, il contenuto viene di solito cancellato entro quarantotto ore per lasciare spazio ad altre foto di altri utenti.

A fronte dell’accusa arrivata dagli USA che voleva l’applicazione trasferire i dati degli utenti in Russia – nazione da cui gli autori di FaceApp provengono – gli sviluppatori hanno smentito categoricamente, ribadendo che l’applicazione non si appropria di nessun dato alle spalle dell’utente.

Se avete caricato il vostro primo piano su FaceApp per vedervi da vecchi, insomma, sembra che possiate continuare a dormire sonni tranquilli.

C’è già un altro Galaxy Fold nei piani di Samsung?

Mentre gli utenti che lo avevano prenotato (a patto che non abbiano lasciato decadere il pre-order) sono ancora in attesa di scoprire quando potranno mettere le mani sul loro Samsung Galaxy Fold, un brevetto ha svelato che Samsung potrebbe già essere al lavoro su un modello di seconda generazione.

Nelle immagini, che per ora rimangono puramente un work-in-progress e che vi invitiamo a trattare come tali, è possibile vedere uno smartphone che, anziché piegarsi come un libro o una rivista, passando da tablet a telefono, si piega a conchiglia, passando così da telefono a… telefono piccolissimo?

Secondo quanto riferito nel documento, questo terminale sarebbe pensato per montare un display da 6,7″ (quindi abbastanza generoso), che ripiegato si ridurrebbe però a 1″. Questo consentirebbe allo smartphone di essere estremamente portatile nonostante le generose dimensioni del suo display. Si farebbe così in modo da potersi portare dietro uno schermo importante, senza per questo sacrificare troppo spazio nella borsetta, o impedire di infilarsi il telefono in tasca.

Secondo quanto emerso, questo smartphone sarebbe destinato ad arrivare sul mercato nel 2020, ma per ora non ci sono dichiarazioni in merito da parte di Samsung – a eccezione dei documenti depositati.

L’originale Samsung Galaxy Fold

Dopo l’idea degli smartphone con piega verticale, che ancora devono debuttare, il futuro potrebbe riservare la loro fetta di mercato a quelli con cerniera orizzontale?

L’avvento delle nuove emoji

Segnaliamo rapidamente ai nostri lettori che, vista la ricorrenza del #WorldEmojiDay, qualche giorno fa, sia Apple che Google hanno confermato che nel corso del prossimo autunno arriveranno sui loro sistemi tantissime nuove emoji.

Molte di queste si concentreranno sull’accessibilità e sull’uguaglianza, proponendo contenuti inclusivi anche per quanto riguarda le emoji dedicate all’amore, ma non solo: spazio anche alla rappresentazione delle disabilità, per dare modo a ogni individuo di esprimere pienamente la sua identità.

Tra le altre emoji in arrivo ci saranno anche cibi, strumenti musicali, animali e anche una nuova faccina sbadigliante – ideale da mandare agli amici per le pesanti giornate di lavoro o magari mentre guardate un film o una partita che non vi sta facendo scoccare la scintilla.

L’esperimento di Instagram

Se siete soliti utilizzare il social network Instagram, vi sarete sicuramente accorti che, da qualche giorno, i Like sono completamente scomparsi. Potete ancora ricevere cuoricini dai vostri visitatori o dai vostri amici, ma sarete gli unici a sapere quanti Mi Piace avete ottenuto con il vostro contenuto: il dato non sarà più mostrato a nessuno se non all’autore del post.

Perché tutto questo? Instagram ha spiegato di aver avviato questo esperimento, già svolto in precedenza anche in Canada, per valutare in che modo gli utenti si comportano quando non possono concentrarsi – influencer compresi – sul numero di Mi Piace da esibire, o sul semplice lasciare un cuoricino per un contenuto, senza magari averne letto la didascalia, solo perché pubblicato da qualcuno che apprezziamo.

Facebook Inc. vuole quindi valutare se, rimuovendo il metro di misura dell’autostima e del successo dato dai Mi Piace, gli utenti di Instagram si comportano nel medesimo modo, o se invece postano, navigano e apprezzano in maniera differente.

Fin dal boom di Facebook, tra il 2008 e il 2009, “Mi Piace” è divenuto un vero e proprio sinonimo dei social network. Al momento sembra difficile immaginarsi un futuro in cui venga del tutto abbandonato, ma siamo curiosi di vedere dove l’esperimento di Instagram potrà condurre. Per ora, il social ha fatto sapere che la misura è momentanea e che valuterà, in base ai risultati, se renderla definitiva o meno.

Nel futuro c’è un Instagram che dice addio ai Like? Potrebbe essere, e a quel punto siamo estremamente curiosi di capire come cambieranno post e abitudini di chi frequenta e popola i social network.

Spotify e YouTube stanno facendo più danni della pirateria?

Ci ricordiamo tutti che, fino a qualche anno fa, quando gli utenti si ostinavano a non pagare per accedere alla loro musica preferita, decidevano di ricorrere alla pirateria. Attraverso determinate applicazioni, molte delle quali utili a scaricare file attraverso torrent, questi pirati informatici finivano così con lo scaricare gratuitamente interi album, danneggiando artisti che li avevano composti ed etichette che avevano investito per renderli possibili.

La situazione è nettamente cambiata con l’avvento di servizi di ascolto musicale come Spotify, o grazie a piattaforme come YouTube. Secondo i dati riferiti dal sito specializzato TorrentFreak, in Italia il mercato della pirateria è calato del 35% tra il 2018 e il 2019 – come riportano i dati di AGCOM.

Si tratta di un calo evidente, che fa seguito anche al proseguire di blocchi di siti che consentono di scaricare materiali illegalmente. Lo stesso accadde, come qualcuno ricorderà, al sito The Pirate Bay, bloccato in Italia nel 2018.

Il blocco di questi siti e il rallentamento della pirateria hanno fatto in modo che i consumatori emigrassero su piattaforme come Spotify o YouTube, con però un neo: sono gratuite. È vero che entrambe, a fronte dei contenuti protetti da diritto d’autore, costringono il pubblico all’ascolto di pubblicità, ma in entrambi i casi secondo Enzo Mazza (a capo di FIMI per l’industria discografica italiana) non si tratta di introiti sufficienti a coprire le normali cifre che dovrebbero incassare le etichette per l’ascolto della musica di loro proprietà.

Il punto verte insomma sul fatto che moltissimi utenti scelgano di non abbonarsi e di “sopportare” la pubblicità, pur di non pagare. Si tratta di una cultura particolarmente diffusa nel pubblico nostrano, che non ha problemi ad accettare le interruzioni e gli spot, purché poi possa sentire la musica che gradisce senza dover pagare moneta sonante per farlo. Senza pagare moneta sonante per farlo, però, c’è il rischio che nel lungo corso le entrate del mercato discografico subiscano danni peggiori di quelli che vivevano ai tempi della pirateria – perché gli utenti che accedono alla musica su Spotify o YouTube senza versare un euro sono molti di più di quelli che scaricavano illegalmente gli album che volevano.

Come spiegato da Mazza, «il nostro problema principale non è la pirateria, ma è come fare in modo che gli account gratuiti di YouTube e Spotify si trasformino in account paganti. L’Italia è un Paese nel quale il ‘culto del gratis’ è molto radicato e non è facile spingere le persone verso un modello di sottoscrizione in abbonamento.»

Secondo i dati, in effetti, circa il 90% degli italiani ascolta musica in streaming o su YouTube senza pagare. Da qui, potrebbero derivare i futuri problemi per la discografia italiana – anche perché questi utenti stanno facendo qualcosa di assolutamente legittimo e legale, quindi non c’è niente da rimproverargli.

In che modo le piattaforme verranno incontro alle necessità dei discografi? Lo faranno, o dobbiamo abituarci a un mercato musicali con entrate pesantemente al ribasso? Il mercato sta cambiando rapidamente, ma quando si tratta di immaginare di far pagare quel 90% di utenti che ascoltano musica gratis – ecco, lì no, non ci aspettiamo dei grossi cambiamenti nel breve termine.

Settimana in cui, per SpazioTech, sono caldi soprattutto i temi social: le discussioni sull’impatto che SpotifyYouTube potrebbero avere sull’industria discografica accendono un campanello d’allarme, mentre il fenomeno FaceApp continua a far parlare di sé e Instagram sperimenta nuove vide di coinvolgere gli utenti sulle sue pagine social – per la prima volta, dicendo addio all’iconico e tradizionale like che è diventato parte integrante del cuore pulsante dei social network.

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