Spartan: Total Warrior - Matricole e Meteore #3
Il terzo videogioco della nostra rubrica è la Meteora più "di massa" della sesta generazione di console
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a cura di Adriano Di Medio
Redattore
Bentornati a Matricole e Meteore, la rubrica dedicata ai successi (e agli insuccessi) inaspettati della videoludica di massa. Dopo la matricola goliardica di Dead Rising oggi torniamo a qualcosa di più vicino all’antica Roma della prima puntata. Un esperimento particolare, venuto fuori da sviluppatori insospettabili: l’incursione dei Creative Assembly nel mondo dell’action con Spartan: Total Warrior.
Sandali, microprocessori e birre
Come molti altri esordi assai più celebri, le informazioni sulla genesi di Spartan: Total Warrior sono abbastanza pubbliche. All’inizio degli anni Duemila i lavori su Rome: Total War proseguivano, e la consapevolezza di stare sviluppando qualcosa di oggettivamente grandioso fece spazio ad altre ambizioni. Iniziò pertanto a serpeggiare in Creative Assembly il desiderio di espandersi anche alle console casalinghe. Questa idea fu presa a cuore dal designer Clive Gratton, che cercò quindi di creare uno “strategico da console”. Abbandonò l’idea dopo aver constatato che la potenza di calcolo della sesta generazione non era neanche lontanamente in grado di accontentarlo. Per usare le sue stesse parole, era come “cercare di far entrare un gallone dentro a una pinta”. Da questa costrizione maturò quindi l’idea dell’action a tema mondo antico. Gratton incrociò il lavoro su Rome con il suo personale interesse per la Battaglia delle Termopili, portando alla decisione che le due fazioni in campo sarebbero stati gli Spartani e l’Impero Romano. Dopo anni di sperimentazione e infinite righe di codice, il gioco arrivò sulle console di sesta generazione (PlayStation 2, Xbox e GameCube) l’anno successivo la pubblicazione di Rome su PC. Per una pazzesca coincidenza nel 2005 uscirono anche Shadow of Rome e il primo God of War, segnandolo ufficiosamente come “anno dei peplum videoludici”.
Nel loro infinito sentiero di conquista, i Romani hanno assoggettato tutta la Grecia a parte Sparta. Lo scontro si preannuncia feroce, e tra gli eroi ellenici vi sono i gemelli Castore e Polluce e lo Spartano, guerriero senza nome e dal passato misterioso. Mentre il generale Crasso incombe alle porte della città lo Spartano senza nome viene contattato da Ares. Parlandogli attraverso la sua mente, il dio della guerra gli offre il suo aiuto e la sua guida contro l’Impero, in modo da interromperne l’avanzata e compiere una non meglio precisata “vendetta”. Queste saranno le premesse per una lotta sempre più su larga scala, fino al confronto finale nel cuore dell’Impero.
L’insostenibile delicatezza dell’anacronismo
A scanso di equivoci: la trama di Spartan: Total Warrior è l’apoteosi dell’anacronismo videoludico. Dalle due civiltà lontane secoli l’una dall’altra che si incontrano in medias res al 300 avanti Cristo, dai personaggi che si avvicendano alle tecnologie e luoghi esplorati, tutto è fuori dal proprio inquadramento storico. Ma non è un male, perché Creative Assembly non ha costruito questo contesto a cuor leggero. Anzi, l’amalgama di mitologia, fantasy e personaggi realmente esistiti è coerente e soprattutto non pesante. E questo è notevole, anche considerando che i sostrati storici di riferimento sono tutto meno che semplici. Pure se la trama era e rimane niente di eccezionale, se c’è una cosa che i padri di Total War hanno è proprio il senso dell’epico e del grandioso. Pertanto se speravate di farvi due risate con l’ennesimo clone di Asterix e Obelix fareste bene a cambiare idea, perché Spartan: Total Warrior è un videogioco dannatamente serio.
Come molti suoi contemporanei parliamo di un action molto carnale, che la maggior parte delle volte mette il giocatore da solo contro centinaia di nemici. Tuttavia queste premesse non vanno intese come limitazioni: il sistema di combattimento richiede fin da subito il saper leggere ogni nemico e reagire in maniera consona. Ne consegue che non si va lontano accanendosi sui soli due tipi di attacco (individuale e spazzata) o premendo a caso i tasti. Anzi bisogna in ogni momento adattarsi e imparare a tenere la guardia alta, usare le manovre evasive e cambiare tipo di arma a seconda delle necessità. Ciascuna delle quattro disponibili ha infatti due mosse magiche (individuali e collettive) la cui efficacia varia fortemente a seconda del tempismo e del tipo di minaccia affrontata. Pur essendo il gioco fondamentalmente tutto un combattimento è comunque apprezzabile come, essendo lo Spartano chiaramente un guerriero “superiore”, negli scontri con alleati si trovi anche a compiere incarichi più specifici come scovare un avversario tra tanti, raccogliere oggetti e proteggere civili. Un gameplay che, nonostante l’evidente vecchiaia, ha un fascino inspiegato e inspiegabile, esaltante come non mai nel dipingerci come ago della bilancia di battaglie furiose.
Orizzonti infiniti, mischie furiose
Il viaggio dello Spartano è prima di tutto la scusante per inscenare battaglie sempre più grandi, e in tal senso la tecnologia che le muove è unica. Calato nei suoi anni e nell’hardware il motore grafico di Spartan: Total Warrior è qualcosa di sinceramente potentissimo, quasi miracoloso. Riesce a gestire infatti fino a 160 modelli individuali in tempo reale, affiancandoli talvolta a mostri giganti e a diversi chilometri di orizzonte. E il bello è che riesce a fare tutto questo a sessanta fotogrammi al secondo. Le volte che perde qualche frame sono talmente rare e circoscritte che è come se non esistessero. In tal senso la presenza di numerosi rallenty ad alta frequenza di fotogrammi (essenzialmente quando si attivano mosse di Furia o gli attacchi magici delle armi) sono praticamente momenti di culturismo hardware. La piccola trovata di sfruttare la vibrazione in modo strategico (dando uno scatto a ogni colpo a segno sul nemico) è un’ulteriore furbata che rende l’azione ancor più viscerale.
Ma allo stesso tempo, Spartan: Total Warrior vive di uno strano bipolarismo. Che la “massa” sia pagata con un livello di dettaglio discontinuo per le ambientazioni e caricamenti estesi all’inizio di ognuna delle quattordici missioni è il minimo quando confrontato con la palese inesperienza di Creative Assembly. Le meccaniche di crescita dello Spartano sono risibili, non c’è neanche un minimo di mens strategica (gli NPC sono quasi sempre immortali e i soldati alleati vengono rimpiazzati di continuo) e le sezioni diverse dal combattimento sono realizzate in maniera veramente goffa. Vi sono infatti momenti in cui il gioco tenta qualche incursione nel platforming e negli enigmi, ma si riducono sempre ad azzeccare la giusta angolazione di salto (o di tiro) oppure a ripulire l’area dai nemici. Infine molte bossfight sono realizzate in maniera veramente approssimativa, con addirittura una palesemente inserita per allungare il brodo. Perché se la campagna principale volendo arriva alla decina di ore, una modalità Arena fine a sé stessa e degli extra voluttuari non sono un grosso incentivo alla rigiocabilità.
Jeff Van Dyck si improvvisa DJ
I problemi di Spartan: Total Warrior continuano con due livelli urbani dalla realizzazione piuttosto confusionaria, che cercano di introdurre banali elementi furtivi che lasciano un po’ il tempo che trovano. Tra l’altro queste parti fanno emergere i limiti del motore grafico, con i cittadini comuni che sono sempre gli stessi due modelli ripetuti all’infinito. Questi stessi livelli però lasciano intendere come il gioco abbia avuto delle difficoltà a un certo punto dello sviluppo, vista la quantità di dialoghi aggiuntivi che accennano a cose che poi non avranno rilevanza nella trama o a comprimari che non compaiono mai. Chiaramente neanche la localizzazione italiana da il suo meglio, per quanto annoveri delle voci abbastanza competenti nel doppiaggio videoludico (oltre al solito mixing altalenante, ci sono anche un paio di vistosi errori di traduzione). La colonna sonora è particolare, in quanto Jeff Van Dyck (compositore storico dello studio inglese) abbia voluto sperimentare combinando orchestrale ed elettro-techno, riciclando pure qualche partitura da Rome: Total War.
Rafforzata dai forti guadagni di Rome e dall’acquisizione da parte di SEGA, Spartan: Total Warrior ebbe la sua fetta di marketing. Oltre a un sito promozionale in flash davvero ben pensato, l’intenzione era creare un vero e proprio franchise parallelo a Total War, chiamato appunto Total Warrior. Ancora una volta però il successo non arrise alla creatura di Gratton. Oltre agli spigoli dello sviluppatore, ad abbassare ulteriormente le vendite intervenne proprio la già citata concorrenza. Sappiamo tutti com’è andata a finire: God of War si prese la parte maggiore lasciando le briciole agli altri due. Creative Assembly accantonò il progetto Total Warrior e lasciò decantare l’idea dell’action per un altro paio d’anni. Tutto finché proprio Clive Gratton non tornò alla carica con una nuova idea “di massa”: stava nascendo Viking: Battle for Asgard.
Annoveriamo di diritto Spartan: Total Warrior nelle Meteore. Un videogioco letteralmente partito alla carica con la volontà di fare qualcosa di nuovo spingendo al limite una tecnologia ormai vecchia. Un’intenzione e un senso epico sopravvissuti intoccati a quattordici anni di obsolescenza, ma che visti oggi sono controbilanciati con inquietante parità da inesperienza, goffaggine e pressioni nello sviluppo. Ne consegue che, a differenza di altri suoi contemporanei, il gioco non è consigliabile universalmente. Piuttosto, per apprezzarne la magniloquenza e le viscerali sensazioni che trasmette occorre accettarne a prescindere tutti i difetti. Nel suo piccolo una gemma, ma così grezza da essere impossibile da migliorare.
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