Shenmue 3 e i videogiochi tra passato e futuro - Gli articoli della settimana
Ripercorriamo gli articoli della settimana, tra i quali anche la recensione attesissima di Shenmue 3
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a cura di Stefania Sperandio
Editor-in-chief
Messo alle spalle il Black Friday, è tempo di SpazioWeekly, la nostra immancabile rubrica in cui facciamo il punto sugli articoli della settimana che abbiamo proposto sulle pagine di SpazioGames. Il materiale di cui parlare non è mancato, con i giorni scorsi che sono stati anche quelli del nostro (peculiare) verdetto su Shenmue 3 – la nuova fatica di Yu Suzuki che con buona pace di un’industria che vorrebbe continuare a correre, inseguire i Metacritic e le ultime tendenze che favoriscono le vendite, fa le cose esattamente come le voleva fare.
Vediamo tutto nel nostro immancabile recap settimanale.
Succhiare sangue su Nintendo Switch
Apriamo con la recensione di Vampyr nella sua versione Nintendo Switch. Il nostro Marcello Paolillo ha sviscerato il porting del titolo di Dontnod Entertainment, che in una Londra decadente vi pone nei panni del medico-vampiro, diviso tra il dilemma del suo lavoro e della necessità di nutrirsi per sopravvivere.
Il lavoro svolto è tecnicamente apprezzabile, anche se c’è qualche inciampo, con l’esperienza di gioco che rimane quella vista sulle precedenti piattaforme: non si abbonderà di originalità, ma l’atmosfera rende davvero bene e la possibilità di portare questo titolo con sé anche on the go è particolarmente apprezzata.
Essere un cecchino senza riuscire a cambiare
È stato invece il nostro Daniele Spelta a passare sotto la sua lente di ingrandimento Sniper Ghost Warrior: Contracts, il nuovo titolo del franchise dedicato ai tiratori scelti da CI Games. In questa nuova uscita, il gameplay da cecchino della serie non rinuncia ad alcune delle sue caratteristiche fondamentali – come, ovviamente, l’approccio dalla distanza, la kill-cam e i parametri di cui tenere conto per eseguire un tiro perfetto, come respiro e direzione del vento.
Ci siamo però trovati di fronte a un’esperienza più da gameplay emergente, che un po’ nello stile sandbox di un Hitman invita il giocatore, messi a disposizione i mezzi, a trovare la soluzione migliore in base al suo stile di gioco. La libertà nel level design è molto apprezzata e non ci sono dubbi che il sistema di mira sia ancora un fiore all’occhiello per il gioco.
Purtroppo, il gioco non si comporta altrettanto bene in materia di intelligenza artificiale – il che è importante, considerando quanto sia al centro dell’esperienza l’abbattere i propri nemici. Peccato anche per la sceneggiatura, praticamente dimenticabile, in un titolo che raccomandiamo ai grandi appassionati del genere, ma che non riesce a far compiere a Sniper Ghost Warrior il salto di qualità che avremmo sperato.
Stadia di qua, Stadia di là
Il nostro Paolo Sirio ha avuto la possibilità di misurarsi con Google Stadia e vi ha raccontato il peculiare primo impatto con la console in cloud del gigante di Mountain View. Dopo avervi spiegato come si muovono i primi passi sulla piattaforma – dall’installazione al lancio di un gioco – cosicché possiate farvi un’idea di come effettivamente funzioni il tutto, controller alla mano, è rimasta la sorpresa.
Il business model pensato da Google continua a non suonarci come quello vincente per Stadia, ma le prime sensazioni a confronto con la piattaforma sono state positive. Se Google continuerà a investire, come promette, le basi per migliorare e ottimizzare il tutto, proponendo magari anche altre vie per accedere ai cataloghi dei videogiochi, hanno messo le loro prime fondamenta. Ci sono criticità? Sicuramente. Ci sono potenzialità? Certamente sì.
C’era una volta Pokémon
Abbiamo dedicato, in settimana, qualche articolo a guardare alle spalle del mondo dei videogiochi, come nel caso della nostra retrospettiva dedicata alla serie Pokémon. Mentre nel mondo impazzano Pokémon Spada e Scudo, capaci di macinare ogni record di lancio per qualsiasi altro prodotto su Nintendo Switch (compresi mostri sacri della console come The Legend of Zelda: Breath of the Wild, Splatoon 2, Mario Kart 8 Deluxe e Super Mario Odyssey, per capirci), il nostro Nicolò Bicego ci ha riportato alle origini del celeberrimo franchise.
Nel primo episodio della retrospettiva, riviviamo così i primordiali passi di Pikachu e compagni, con le uscite di Pokémon Rosso e Blu prima e di Pokémon Rosso e Verde poi, arrivando fino a Verde Foglia e a Pokémon Giallo. Se siete nostalgici o, semplicemente, volete saperne di più sulla saga Pokémon che tanto amate, non possiamo che raccomandarvi di fare questo viaggio nel passato con noi.
Dieci anni di Assassin’s Creed II
Per rimanere in tema di sguardi al passato, abbiamo deciso di parlarvi anche di Assassin’s Creed II, che proprio quest’anno muove i suoi passi nel decimo compleanno. Il titolo di casa Ubisoft è rimasto nell’immaginario dei fan come uno degli imperdibili del popolare franchise e, nel video articolo, il nostro Adriano Di Medio ha riflettuto su un aspetto estremamente interessante dell’opera: la sua rappresentazione del Rinascimento Italiano, il modo in cui lo interpreta e propone, ogni tanto rispettandone il canone storico, altre volte piegandolo alle necessità ludico-narrative.
Il risultato è una lettera d’amore all’Italia e ai suoi scorci dell’epoca d’oro, in un mondo probabilmente inizialmente anche più ambizioso di quello che poi è stato suddiviso, tra la Toscana, Roma e Venezia, in diversi videogiochi – magari proprio perché una più approfondita esplorazione di Roma non si sarebbe riuscita a infilare nell’originale Assassin’s Creed II, ed è quindi finita in Brotherhood.
Cosa bolle in Capcom?
Silvio Mazzitelli si è prodotto in un articolo che farà battere forte il cuore degli appassionati dell’opera Capcom: dopo un periodo di “stallo creativo”, la compagnia giapponese ha vissuto un 2019 più intenso che mai, che l’ha portata a mettere sugli scaffali opere come Devil May Cry 5, Monster Hunter World: Iceborne e Resident Evil 2 Remake (candidato GOTY, peraltro, ai The Game Awards 2019). Si può dire certamente che Capcom sia tornata sui suoi livelli, che l’avevano resa una vera e propria certezza del mondo videoludico. Questo si lega anche un altro aspetto interessante: il fatto che, qualche tempo fa, l’azienda avesse detto di voler rispolverare alcune sue proprietà intellettuali dimenticate – e, perché no, dare vita a qualche altro remake.
Impossibile, allora, esimersi dal fare previsione: da un possibile ritorno di Okami al sempre più rumoreggiato Resident Evil 3 Remake, passando per Dino Crisis, Onimusha, Darkstalkers e Dragon’s Dogma: i nomi sono tanti e nel nostro articolo proviamo a ragionare sulle effettive possibilità che il futuro di Capcom (che ha già in caldo un annuncio) potrebbe riservarci.
Il videogioco come ludus e divertissement
C’è un cortocircuito che ha investito Death Stranding, il primo gioco della nuova Kojima Productions: un titolo che, partendo dal fatto che l’essere iperconnessi sia diventato un canale per poter semplicemente essere cafoni e sgradevoli dietro l’anonimato del mondo di internet, anziché un punto di forza per supportarci ed essere migliori in virtù del contatto tra tanti esseri umani, ha generato divisioni e insulti che console war scansateve. Perché? Com’è stato possibile che un gioco sull’unione degli uomini sia diventato l’argomento di dibattito di divisioni e curve da stadio che non si ascoltano nemmeno, limitandosi a sbandierare il review bombing più becero come la voce dell’imparzialità, della verità e della competenza critica da un lato e ad identificare qualche “non è proprio un gioco per me” dall’altro lato come essere incapaci di videogiocare?
Abbiamo riflettuto su tutti questi temi in uno speciale di Stefania Sperandio che affonda le radici soprattutto nelle teorie dei game studies, partendo dal presupposto che uno dei temi della discussione in queste settimane sia stato: i videogiochi devono essere divertenti, con l’accezione che però si fermava al puro divertimento immediato, quello del mettere il disco sulla console e godersi i propri dieci minuti di svago, quasi a volerlo assimilare alla paidia di Roger Callois. E, invece, i videogiochi – come gli altri media – sono ludus. Divertimento con regole, tempi, immersione: un videogiocatore che vorrebbe assimilarsi allo schiamazzare innocente dei bambini mentre giocano a chi calcia il pallone più lontano, in questo caso, mette i bastoni tra le ruote dello stesso medium che ama, limitandolo a “svago per bambini” come vorrebbero quelli che di conseguenza ne filtrerebbero tutti i contenuti sulla scia di un universale PEGI 3.
Nell’articolo, oltre che sulla teoria di cosa sia il gioco e cosa sia il divertimento, parliamo abbondantemente anche del perché questo titolo si sia rivelato così divisivo – al di là di tutti i suoi iniziali intenti e degli insulti da ambo le parti che non fanno che dare inappellabilmente ragione ai messaggi che voleva esprimere: perché, semplicemente, è diverso.
Finalmente Shemue 3!
Se foste nati quando abbiamo iniziato ad aspettare Shenmue 3, oggi sareste maggiorenni. Possiamo riassumere così la lunghissima gestazione avuta dall’ultima opera di Yu Suzuki, che dopo l’annuncio e la campagna di crowdfunding col botto è finalmente riuscita ad avere i suoi natali – quasi due decenni dopo il secondo episodio con cui era rimasta in sospeso.
Il nostro veterano per eccellenza, Gianluca Arena, ha vissuto per voi la nuova avventura firmata dal celebre autore giapponese, dividendo la disamina in due inevitabili anime, visto l’odierno mercato: una valutazione per chi voleva un seguito di Shenmue 3 già diciotto anni fa e una per chi, non conoscendo la serie, si avvicinerà per la prima volta alla saga con questa release.
Il succo della questione è che Shenmue 3 fa le cose a modo suo (e fa benissimo, ndr), consegnando ai fan della saga esattamente quello che potevano aspettarsi da un sequel diretto del secondo capitolo. Non c’è una rivoluzione, non c’è uno snaturamento di Shenmue in favore dei canoni videoludici moderni: Shenmue è rimasto Shenmue, che è esattamente quello che voleva fare. Il mercato storcerà il naso? La visione dell’autore, almeno una volta tanto, contava di più. Ed era quella che gli appassionati hanno aspettato per diciotto anni. La stessa che, in un nuovo e ulteriore bianco o nero videoludico, potrebbe far rifuggire i giocatori più giovani.
Sicuramente, il videogioco si sta avvicinando verso un’epoca in cui anche i giochi che vogliono stringersi forte la loro identità, sospinti da autori che si sono conquistati un nome dopo una carriera decennale, riescono ad affacciarsi nel panorama del grande e grandissimo pubblico – mentre, spesso, l’originalità e i rischi vengono invece confinati ai soli prodotti indipendenti, dove non ci sono publisher che portano il progetto sui binari di quello o quell’altro già uscito che «vende tanto.»
Potrebbe e dovrebbe essere una via per far crescere questo medium: il giusto compromesso tra creatività e necessità di rientrare degli investimenti, per un publisher, che consenta al videogioco di non uniformarsi e non appiattirsi alle sole esigenze del mercato. Mercato che, peraltro, a sua volta è influenzato da proposte piatte, in una situazione da cane che si morde la coda: se un battle royale fa il botto e arrivano altri duecento battle royale, ci sono ottime possibilità che… i giocatori comprino i battle royale.
La fine del 2019 videoludico ci insegna, però, che c’è spazio per altro. Con tutti i rischi (commerciali) del caso, ma c’è.
La redazione di SpazioGames vi augura come sempre buon weekend!
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