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Shadows of the Damned Hella Remastered | Recensione

Ecco l'ennesima rimasterizzazione pigra, che si limita ad alzare frame rate e risoluzione e ripropone uno dei titoli più peculiari dell'era Xbox 360/PS3.

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a cura di Gianluca Arena

Senior Editor

In sintesi

  • Una riproposizione sic et simpliciter di un titolo che abbondava in personalità e stile, ma difettava nel gameplay e nella durata complessiva.
  • Il lavoro svolto è abbastanza basilare e il peso degli anni si sente.

Informazioni sul prodotto

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Shadows of the Damned: Hella Remastered
  • Sviluppatore: Grasshopper Manufacture
  • Produttore: Grasshopper Manufacture
  • Testato su: PS5
  • Piattaforme: PS5 , XSX , PC , SWITCH , PS4 , XONE
  • Generi: Action Adventure
  • Data di uscita: 31 ottobre 2024

Non sempre, in ambito videoludico come in altri, il risultato è sempre la semplice somma dei fattori, nel bene e nel male.

Una collaborazione tra Shinji Mikami, papà di Resident Evil e Dino Crisis, tra gli altri, il talentuoso e bizzarro Goichi Suda (Killer 7, No More Heroes), il compositore Akira Yamaoka (l'intero franchise Silent Hill e The Medium) e il nostro Massimo Guarini non poteva che dar luogo ad un capolavoro, giusto?

E invece Shadows of the Damned era un gioco divertente, stiloso, con un degno accompagnamento musicale, ma non certo materiale da GOTY quando fu pubblicato, ovvero tredici anni fa.

Oggi, con un tempismo perfetto per la festività di Halloween, rispunta sul mercato la rimasterizzazione, sottotitolato Hella Remastered, che abbiamo giocato per voi in versione PS5.

Vediamo se ne vale ancora la pena e se è stato un grosso tuffo nel passato.

Salvare la principessa tra doppi sensi e battutacce

Stavolta Fleming, uno dei lord degli inferi, ha abbaiato all'albero sbagliato: di tutte le donzelle pure ed immacolate che poteva rapire, ha pensato bene di prendere quella di Garcia Hotspur, uno dei più sanguinosi, sboccati ed implacabili cacciatori di demoni sulla piazza.

L'anima di Paula (questo il nome dell'innocente pulzella) si trova suo malgrado risucchiata in uno dei gironi infernali, vittima di una vendetta trasversale mirata al suo compagno, reo di aver sterminato un demone di troppo.

Ovviamente, in uno degli scenari più visti in ambito videoludico da Super Mario in giù, toccherà a noi, nei tatuatissimi panni di Garcia, andare a recuperarla negli Inferi, scendendo sempre più fino ad immergerci nelle acque dello Stige.

Come da biglietto da visita di Suda51, non è tanto la storia in sé ad attirare l'attenzione del giocatore, quanto come viene raccontata, tra siparietti a doppio senso tra il protagonista e Johnson, la sua arma tuttofare.

Quest'ultimo è esso stesso un demone multiforme che può trasformarsi all'occorrenza in una serie di oggetti che ci torneranno utili durante l'avventura, da motocicletta a torcia, e riveste il sempre divertente ruolo del grillo parlante, della coscienza  scomoda, dell'avvocato del diavolo.

Dinanzi a premesse tanto assurde, è impossibile non alzare gli occhi al cielo di quando in quando, tanto quanto è impossibile non ridacchiare stupidamente ad alcune delle battutacce da taverna cui si abbandonano Garcia e Johnson lungo il corso della decina scarsa di ore necessarie a raggiungere i titoli di coda.

Come e più che nel caso di Travis Touchdown in No More Heroes, in Shadows of the Damned Goichi Suda lascia che il suo protagonista spazi a briglia sciolta, fondendo freddure con giochi di parole, alternando doppi sensi piuttosto espliciti a rari momenti di introspezione, in cui Garcia si chiede se davvero può dirsi innocente dopo aver sterminato decine di demoni – non tutti, peraltro, dalle cattive intenzioni.

E come in No More Heroes, per non parlare di altre produzioni firmate Suda51, pur non scaricando Shadows of the Damned per la trama ed i personaggi, intravedrete il tocco autoriale del folle game designer giapponese, che, piaccia o meno, è immediatamente riconoscibile.

Per quanto ci riguarda, amiamo la follia tipicamente nipponica di Suda-san, pur ritenendo che l'avventura di Garcia Hotspur non sia nemmeno vicina ai suoi lavori migliori in termini di scrittura – come i due Silver Case e, in misura minore, Killer is Dead.

Se entrerete nell'avventura senza aspettarvi Shakespeare, comunque, non rimarrete troppo delusi.

Tredici anni di vecchiaia si avvertono

Se in ambito narrativo era evidente la mano di Suda51, ad occuparsi del gameplay fu di sicuro Shinji Mikami, che diede alla produzione il consueto taglio over the shoulder tipico degli sparatutto in terza persona tanto in voga all'epoca della prima pubblicazione.

Shadows of the Damned era però sporco, piuttosto impreciso, viscerale ma spesso confusionario, e questa rimasterizzazione, non avendo modificato nulla delle meccaniche di gioco originali, risveglia le medesime sensazioni, aggravate dal fatto che, nei quasi tre lustri intercorsi, i due generi di riferimento (sparatutto in tre dimensioni in primis, survival horror in misura minore) hanno fatto passi da gigante, regalando al pubblico perle contro le quali questo titolo fatica a correre.

Shadows of the Damned era però sporco, piuttosto impreciso, viscerale ma spesso confusionario, e questa rimasterizzazione, non avendo modificato nulla delle meccaniche di gioco originali, risveglia le medesime sensazioni.
Lo shooting ci ha soddisfatto oggi meno di allora (chi vi scrive portò a termine il titolo su Xbox 360), soprattutto per la scarsa precisione che, unita alla tendenza di molti nemici a caricare a testa bassa, rende piuttosto caotiche certe fasi, soprattutto con lo schermo affollato o durante alcune delle boss fight proposte dal gioco.

In ossequi al successo ottenuto solo l'anno prima da Alan Wake, le fasi di shooting puro si alternano ad altre in cui è necessario trapassare le corazze di oscurità di certi nemici prima di poterli danneggiare, aggiungendo dei semplici puzzle all'incedere, probabilmente nel tentativo di ravvivare meccaniche piuttosto basiche nella loro esecuzione.

La visuale non aiuta, con una camera che fatica a seguire i rapidi movimenti dei nemici e si frappone spesso tra il giocatore ed il suo bersaglio, solo per essere poi riaggiustata manualmente.

Ci è anche capitato, proprio come su Xbox 360 una decade e mezzo fa, di venire colpiti nel corpo a corpo da nemici non inquadrati, posti magari ai nostri lati se non addirittura alle nostre spalle: oltre che frustranti, queste istanze alzano artificialmente la difficoltà complessiva, che altrimenti sarebbe nella norma.

Se tredici anni fa il gioco risultava un po' macchinoso ma tutto sommato godibile, oggi, dopo aver giocato decine di congeneri assai più fluidi e precisi tanto nello shooting quanto nei movimenti di camera, si fatica molto di più a digerire la lentezza di Garcia ed il pressapochismo di certi movimenti.

Qui, a nostro avviso, il team di sviluppo di questa Hella Remastered sarebbe dovuto intervenire, per svecchiare il sistema di controllo e rendere più organici e naturali gli spostamenti e le fasi in cui lo schermo si riempie di nemici.

Invece, con la parziale eccezione di un maggiore controllo sulla sensitività dei due stick analogici, il sistema di controllo è rimasto immutato, con tutto ciò che ne consegue in termini di pesantezza e godibilità dell'esperienza.

Minimo sforzo, massima resa (forse)

Nonostante l'innalzamento della risoluzione nativa (che adesso mira al 4K), l'aggiunta della modalità HDR ed un frame rate solido a 60 fps, con svolazzi rari e comunque digeribili, l'estetica del gioco – sviluppato in Unreal Engine 3 – è invecchiata maluccio, con texture tutte molto uguali tra loro, solo parzialmente nascoste dalla perenne oscurità in cui il gioco è immerso, colori slavati e costruzioni poligonali assai povere, che fanno il paio con nemici curati nei modelli ma animati in maniera piuttosto frettolosa.

La colonna sonora, curata, come detto, dal mai troppo lodato Akira Yamaoka, di recente tornato agli onori delle cronache per il suo lavoro sul remake di Silent Hill 2 di Bloober Team, viene riproposta nella sua totalità, e quindi con tutta la qualità che già la contraddistingueva all'epoca.

L'aggiunta di costumi inediti, e di tutti quelli rilasciati come DLC in seguito al lancio del gioco, e di una nuova modalità New Game Plus sono sicuramente apprezzate, ma da sole non bastano a giustificare l'acquisto – a nostro parere, complice un prezzo richiesto che è leggermente superiore a quanto ci saremmo aspettati.

C'è peraltro da considerare che, quantomeno su piattaforma Microsoft, il disco originale per Xbox 360 consente di godere ancora dell'avventura originale a costo zero, qualora lo conservaste nella vostra collezione videoludica: tenetelo a mente in sede di download.

Voto Recensione di Shadows of the Damned Hella Remastered | Recensione


6.6

Voto Finale

Il Verdetto di SpazioGames

Pro

  • Bella colonna sonora a firma Yamaoka.

  • Umorismo da caserma che ci ha fatto sorridere più di una volta.

Contro

  • Shooting sporco ed impreciso.

  • Nessuna aggiunta veramente di rilievo.

  • La resa dell'Unreal Engine 3 sulle attuali console è insoddisfacente.

Commento

Un po' No More Heroes, un po' cugino povero di Resident Evil 4, Shadows of the Damned era un titolo peculiare e di grande personalità, che mancava però nel comparto più importante, ovvero quello del gameplay. Se tredici anni fa si poteva passare sopra più facilmente ad uno shooting impreciso e ad una telecamera che proprio non voleva saperne di collaborare, oggi, dopo aver giocato tanti sparatutto in terza persona di grande qualità, si fatica molto di più.
Come se non bastasse, l'ennesima rimasterizzazione pigra, perfetta nelle tempistiche ma molto carente dal punto di vista degli interventi fattivi, di fatto finisce con il parlare più che altro agli amanti del gioco originale in attesa di una seconda run (ed una terza ed una quarta, grazie al new game plus), o a chi è molto curioso di scoprire questo ornitorinco di gioco, nato da menti brillanti ma realizzato meno bene di quanto si sarebbe potuto.
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