Immagine di Scarlet Nexus | Recensione – Visioni da un futuro deviato
Video recensione

Scarlet Nexus | Recensione – Visioni da un futuro deviato

Code Vein 2, o qualcosa in più? Sbirciamo nel ricco (forse troppo) universo di Scarlet Nexus

Avatar

a cura di Paolo Sirio

Informazioni sul prodotto

Immagine di Scarlet Nexus
Scarlet Nexus
  • Sviluppatore: Bandai Namco
  • Produttore: Bandai Namco
  • Distributore: Bandai Namco
  • Piattaforme: PC , PS4 , XONE , XSX , PS5
  • Generi: Azione , Avventura
  • Data di uscita: 25 giugno 2021

Dopo anni spesi nel coltivare l’aspetto videoludico di alcune delle property anime più popolari, tra cui gli acclamati Dragon Ball e One Piece, Bandai Namco sta in un certo senso cominciando a restituire il favore a quello stesso segmento dell’intrattenimento: sta, di fatto, invertendo la tendenza dei tie-in e iniziando a sviluppare nuove IP che possano passare dal gaming all’anime anziché fare sempre l’esatto opposto.

Questo processo è stato avviato con un buon successo da Code Vein e vede la sua massima espressione nell’operazione Scarlet Nexus, che si produrrà in una serie animata disponibile fin dal day one del gioco il prossimo 25 giugno. Di nostra competenza, naturalmente, il videogioco: un prodotto che si basa su una mitologia profonda e un universo affascinante, non senza evidenziare alcune delle pecche che sembrano intrinseche nel modo di fare industria del produttore giapponese.

Nella nostra recensione di Scarlet Nexus, approfondiamo sia il primo che il secondo aspetto, cogliendo l’assist delle impressioni del provato di poche settimane fa per capire se si saranno rivelate corrette (spoiler, in gran parte dei casi sì, ma ci sono gradite sorprese) e, in definitiva, se questo modus operandi ormai affermato in Bandai Namco possa dare soddisfazioni adesso come nel lungo termine.

Tutto (non proprio) sotto controllo

Scarlet Nexus è un action RPG dal sistema di combattimento peculiare, ma prima di affondare i denti in quelle dinamiche è il caso di registrare l’ampia lore su cui è poggiato il gioco, che evidentemente risulta essere soltanto una tessera di un mosaico assai più esteso (coi pro e i contro della cosa, e il rischio di dare l’idea di essere incompleti o presentare dei grossi buchi a livello di narrazione).

Quella presentata da Bandai Namco è la società di un futuro distopico basata sui dati, che non a caso costituiscono una delle valute spendibili, e sull’invasività e pervasività, per non dire sulla manipolazione, delle informazioni. In una sorta di critica all’andazzo moderno, assistiamo ad una società anestetizzata al dolore e alla spettacolarizzazione, al punto da avere studiato appositi sistemi perché questi coesistano con lo stress causati al cervello da nuovi strumenti e poteri sovrumani.

Tra i tanti temi che vengono toccati, più o meno fugacemente, abbiamo anche una delle conseguenze di ciò, ovvero la discriminazione tra chi ha poteri (il 99% della popolazione) e chi invece no (i cosiddetti “Vacui”), e l’ipocrisia di certi tabù, come non mostrare i corpi decapitati dagli Estranei ma la maniera in cui sono morti sì – qualcosa di incredibilmente attuale, specie nel nostro Paese.

La storia si estende lungo 12 “fasi”, ovvero capitoli, più intermezzi negli hub e ci ha intrattenuto per 34 ore, una cifra cui arriverete completando la prima run con un singolo personaggio e maxando almeno la metà dei Legami con i membri della squadra (senza i quali ci potreste impiegare persino la metà). Rispetto alla demo, abbiamo potuto addentare l’intera storia, e le notizie che ne arrivano non sono tutte positive come avremmo voluto.

La mitologia è, come detto, molto interessante ma quando si tratta di trasformarsi in storia e storytelling non sa bene quale strada seguire: alcuni temi vengono introdotti repentinamente e rubano la scena ad altri che erano stati imperanti fino ad allora, e questo ricambio avviene alla velocità della luce con tempi sempre più assurdi in un’escalation a dir poco sorprendente – e con spruzzate di Yoko Taro, Final Fantasy, e persino l’immancabile Neon Genesis Evangelion, specialmente nel finale.

A questa velocità è normale che, arrivati proprio al finale, ci siano almeno un paio di trame lasciate penzolanti o risolte da sole, senza che vengano più menzionate nella storia. La coda conclusiva presenta un raro assestamento, quando appare troppo tardi, e quando pure lei si trascina per ore nella classica chiusura dei giochi d’azione/RPG di stampo nipponico: un interminabile e poco giustificato riciclo di ambienti e mostri, da battere in mini arene messe in fila per ore.

In questo senso, l’impressione della versione dimostrativa era corretta: il riciclo in stile Code Vein parte dall’inizio, e se avete giocato quel titolo sapete all’incirca cosa aspettarvi. Alla fine, quello che deve tornare torna, ma tanti elementi del racconto ti domandi perché siano stati tirati in ballo, pure perché, per forza di cose, ad un certo punto sono costretti a sparire per imporre un ending che sia tale.

L’intuizione della storia a due strade è buona: in termini di gameplay non cambia molto – nonostante una sia incentrata sul melee, l’altra sia ranged, i combattimenti ravvicinati sono comunque richiesti per caricare la barra dei poteri psichici - ma ci sono alcuni momenti di separazione che permettono di esplorare più a fondo determinate location, taluni rapporti e alcuni frangenti in cui Yuito Sumeragi sparisce nella storyline di Kasane Randall, e viceversa. Le dinamiche della storia sono a specchio: i personaggi sono sovrapponibili e in gran parte dei casi (salvo appunto quando i percorsi divergono) pronunciano le stesse linee di dialogo, o le rimpastano cambiando l’ordine di una manciata di rivelazioni.

L’idea di non bloccare la nuova partita + al personaggio che si è giocato all’inizio è ottima: così, si può partire dallo stesso livello, come da un’altra difficoltà (scelta consigliata dal titolo, e pure da noi), ma godersi una prospettiva diversa sulla storia. E dobbiamo riconoscere che, al netto delle sfumature negative che abbiamo rimarcato, proprio come ci era successo con Code Vein la voglia di fare un secondo giro ci è rimasta – peccato solo che prologo e tutorial non siano disabilitabili, “difetto” cui ci aspettiamo ponga rimedio una mod su PC simile a quella di Red Dead Redemption 2.

Da un grande potere...

Scarlet Nexus presenta un semi open world, di quelli cui siamo stati abituati (con dimensioni dei sandbox più estese) dalle produzioni di Obsidian; siamo dalle parti della doppia-A, in sintesi, anche se il grande fascino delle ambientazioni avrebbe potuto essere sfruttato notevolmente di più in termini di gameplay.

L’esplorazione è infatti alquanto limitata: se tra un’area e l’altra ci si muove con un viaggio rapido, in questo mondo non si visitano interni ad eccezione dei locali ricreati per la storia e per pochi Legami; è abbastanza piacevole girovagare per le città, dal momento che si trovano oggetti, dati e denaro dietro ogni angolo, ma – a parte pochi dialoghi non troppo ispirati e poche “side quest” che forse è eccessivo definire tali – la traversata è all’esatto opposto di quella piena e totalizzante degli open world occidentali.

Lato ambientazioni, va osservata una pesante operazione di riciclo: sono poche e oggetto di continuo backtracking o remix giustificato dalla storia in maniera sempre più pigra man mano che ci si avvicina al finale. Le location “originali” sono poche e la cosa si fa pesante specie nella lunga coda finale di un gioco che pare non sapere come finire – tipica dell'interpretazione nipponica del filone, dove ci ritroviamo con scene che improvvisamente vogliono spiegare tutto per filo e per segno dopo ore di mistero, e innumerevoli boss consecutivi al culmine di altrettante arene chiuse (a ben vedere, pure per le scelte stilistiche d'un tratto più mature, l'unica fase da vero JRPG).

Stessa sensazione per quanto riguarda i nemici: mentre il design bizzarro è accattivante (abbiamo ad esempio figure equine con vasi di fiori al posto della testa), vengono riproposti sempre gli stessi a prescindere dal luogo in cui ci si trovi – e almeno in un paio di posti non c’entrano davvero niente e ti spingono a chiederti come mai siano stati messi là, perché almeno lì ti saresti aspettato una variazione di qualche tipo.

Fondamentalmente, è lo stesso stampo di Code Vein (che a sua volta nasceva come “costola” di God Eater), di certo più inconcludente ma con un setting più fascinoso. Le perplessità sui valori produttivi comprendono l’uso di vignette statiche o quasi al posto di (rarissime e brevissime) cutscene, adoperate probabilmente perché sarebbe stato troppo oneroso produrne per tutti e due i percorsi narrativi.

L’art direction è invece una delle ragioni che vi spingerà a proseguire nel gioco: abbiamo metropoli dall’urbanistica simile a quella di un Jet Set, ma con un look più vicino a quello dello splendido Gravity Rush, disegnato “a matita” e impreziosito dal turbinio di insegne che non sono più affisse ma inserite direttamente nel tuo cervello – come, su un’autostrada, i segnali stradali e i limiti di velocità che ti ritrovi davanti agli occhi (in senso letterale). Se l’impostazione ambientale è questa, il character design gioca più sul sicuro, allineandosi ai tropi degli anime e proponendo alcuni personaggi che sembrano usciti dritti da Naruto.

Scarlet Nexus contiene una componente da social sim, vicina a quella di Code Vein e ispirata a Persona: si può in sostanza migliorare il proprio rapporto con gli altri personaggi in modo da ricevere dei bonus in combattimento. Gli upgrade tra i diversi gradi sono sensibili, fornendo tra l’altro interventi attivi in battaglia che si sbloccano solo in questo modo, nonostante la fase dei regali sia abbastanza lenta - di per sé maxare un Legame vi richiederà svariate ore fra reperire i materiali da scambiare per i doni giusti e semplicemente consegnarli con cutscene non saltabili – e la ricompensa finale sia di fatto un po’ scadente: tra livello 5 e 6, per intenderci, non si notano grosse differenze, né si conclude alcun tipo di romance.

Questa dinamica vale pure da contenuto secondario, un reparto in cui il gioco è di norma carente: un paio di volte a Legame vi ritroverete con un personaggio che vi porterà in missione con lui (in uno dei soliti ambienti già noti), mentre in città i diversi abitanti segnalati con un’icona ad hoc vi forniranno soltanto qualcosa di simile a taglie, task da completare come uccidere tot nemici in tot modi mentre starete facendo altro.

Anche qui la demo costituisce un buon punto di partenza. Rispetto a quella versione, è andata molto meglio con il sistema di combattimento: da che ci sembrava un po’ confuso e sconnesso, con più abilità da sbloccare nella mappa neurale si ottengono più concatenazioni e mosse diverse che si legano con una certa “musicalità” e armonia – cosa che nella demo non si poteva notare, mancando persino il doppio salto quando inizi la storia.

Idem per i poteri: nella storia sono solitamente forzati, fino ad un certo punto della trama almeno, ma ciascuno di loro ha una sua utilità e si fondono bene sia tra di loro che con la profonda interazione ambientale dettata dalla psicocinesi dei protagonisti. Unica nota dolente la meccanica del lock a doppio tasto (R1 + levetta destra), che nei combattimenti con molte creature e umanoidi più veloci è spesso frustrante: tante volte finisci col colpire chi non vuoi.

L’IA è di per sé poco utile, ma in generale il fatto che ogni potere sia associato ad un personaggio che te lo “presti” con una sua personalità ben strutturata (che quasi ti spinge a sfruttarlo o meno a seconda della simpatia che ti fa) è una trovata originale. Ci aspettavamo una maggiore elasticità nella gestione, ma nei contenuti si può scegliere un team di tre da una rosa di massimo cinque elementi – e, benché avrete i vostri preferiti, sono davvero tutti utili e adatti a situazioni diverse (chiaramente, fuoco e fulmine sono i più offensivi).

L’aspetto delle tattiche è anch’esso utile, specialmente nelle battaglie più probanti e all’inizio, quando si sarà non di rado sotto livello: è in pratica obbligatorio avere un curatore, perché di frequente nella furia dello scontro tendi a dimenticare di curarti (e il revive è un po’ troppo casuale per tenerlo a mente), e l’impostazione con cui imporre all’intelligenza artificiale di attaccare il nostro stesso nemico è una maniera per sfruttare il minimo che fa.

Una chicca del combattimento è indubbiamente l’interazione ambientale, e il fatto che questa possa amplificare la potenza degli attacchi psichici: è possibile rovesciare benzina sui nemici e sfruttarla per usare il potere di Hanabi col fuoco, e lo stesso accade con l’acqua e l’elettricità; piccoli dettagli che danno organicità e riferimenti ad un combat system che, tra le tante e variegate sfaccettature, può essere abbastanza soverchiante al primo impatto.

La perplessità sulla schivata che avevamo evidenziato nella demo è compensata dalla presenza di un potere che dà immunità per un determinato lasso di tempo e uno, con la “sorellina” Tsugumi, che la rende più semplice; di norma, ci si abitua ai tempi che detta il gioco, ma nell’eventualità il nemico fosse troppo veloce sono stati pensati questi due “paracadute” che compensano, per non parlare dell’Ipervelocità che rallenta proprio il tempo.

Come sistema di combattimento, visto che gli attacchi ravvicinati sono comunque tassativi, la nostra scelta ricade su Yuito, più diretto e vivace come ci si attenderebbe da un action in senso stretto, mentre Kasane è più “leggera” e sferrando i suoi colpi dalla distanza fornisce una risposta spesso poco gratificante.

Nel complesso, Yuito – che, specie all’inizio, delinea con maggiore chiarezza i battiti fondamentali della narrazione - è più adatto come prima scelta anche in termini di storia: il ruolo di Kasane sembra sia stato pensato per riempire i vuoti lasciati dalla trama del personaggio maschile e, se la si gioca come run originale, si ha l’impressione di una certa fretta per arrivare proprio a quei punti; alcuni collegamenti sono più lievi e “non detti” rispetto all’altro percorso.

Nonostante la partnership con Xbox, ci è stata consegnata una chiave per PS5, e allora perché non sfruttare l’occasione per parlare brevemente del supporto al controller DualSense? In Scarlet Nexus, troverete infatti abbracciati i grilletti adattivi: questi opporranno resistenza quando caricherete i poteri e attirerete gli oggetti dall’ambiente circostante, fornendo una piacevole sensazione di “proattività” del gioco. Il feedback aptico, in abbinata con lo speaker, sottolineerà invece ogni movimento e cambio di superficie con piccoli “smottamenti” interni e rumorini che cattureranno sempre la vostra attenzione nell’esplorazione.

Versione testata: PS5

Siete alla ricerca di un open world basato su un anime? Dragon Ball Z Kakarot è disponibile ad un ottimo prezzo su Amazon

Voto Recensione di Scarlet Nexus - Recensione


7

Voto Finale

Il Verdetto di SpazioGames

Pro

  • Universo ricchissimo

  • Art direction deliziosa

  • Combattimenti armoniosi

Contro

  • Narrazione confusa

  • Riciclo di ambienti e nemici

Commento

L’impressione è che Bandai Namco, in questo processo di avviamento di nuove proprietà intellettuali che gradiamo molto, applichi spesso metodologie “da fabbrica” alla lavorazione dei videogiochi: un modo di fare quantitativo che, del resto, vediamo applicato a tanti degli anime che amiamo e sui cui difetti abbiamo imparato col tempo a sorvolare. Scarlet Nexus è limitato proprio da questa visione, come d’altronde taluni dei progetti che l’hanno preceduto, alla fascia del 7, ma questo non vuol dire che non ci abbia catturato, con il suo gameplay peculiare, una direzione artistica appagante e un universo che ha tanto, forse persino troppo da raccontare.
Leggi altri articoli