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Rainbow 6 Patriots, il padre di Siege | Post Mortem #3

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a cura di Paolo Sirio

Riprendiamo il filo della narrazione di Post Mortem, dopo una prima settimana di pausa grazie alla quale siamo passati ad un’uscita di giovedì ogni quattordici giorni. Nel caso vi foste persi le puntate precedenti, abbiamo discusso, nel corso delle vacanze natalizie e di fine 2018, di due titoli che sono stati loro malgrado protagonisti di una cancellazione pur essendo già stati presentati e diventati beniamini di una community desiderosa di poterli stringere tra le proprie mani: parliamo di Scalebound, l’esclusiva Xbox One e Windows 10 di Platinum Games, e Agent, più evanescente ma comunque attesissimo titolo open world spionistico di Rockstar Games per PS3.

Nell’episodio di oggi, invece, trattiamo un gioco che ha avuto una genesi se possibile ancor più complessa ed è finito con il dare poi i natali ad uno dei maggiori successi Ubisoft della generazione corrente, Siege: Rainbow 6 Patriots.

rainbow 6 patriots

Cosa sarebbe stato

Dopo l’esperienza più classica di Vegas 2, che già di per se era un sequel, Ubisoft Montreal voleva reinventare la formula di Rainbow Six. Per questo, prototipò un gioco di strategia a turni e un action in cui il Team Rainbow avrebbe combattuto un esercito di macchine hackerate.

In ogni caso, si scelse una strada ch avrebbe permesso a Rainbow Six di non essere soltanto un playground in cui i giocatori si sarebbero divertiti a sperimentare tattiche e vederle messe in pratica in un contesto shooter: lo sviluppatore canadese vi avrebbe introdotto una storia completa dal taglio maturo e attuale.

La storia ambientata a New York ci avrebbe visto giocare per l’80% nei panni del leader della squadra Echo del Team Rainbow, e per il restante 20% come civili coinvolti in attentati con cinture esplosive e persino membri dei True Patriots. I True Patriots sarebbero stati un’organizzazione terroristica che avrebbe colpito il governo e la finanza di Wall Street per ripulire il mondo dai corrotti, e attraverso di loro l’idea era sfumare i contorni dei buoni e dei cattivi mettendo americni contro americani e non contro il resto del globo o fazioni estremiste straniere – un concept narrativo che, per il tempo, era piuttosto ambizioso. Questo avrebbe dovuto coinvolgere i giocatori sotto un profilo psicologico ed emotivo nuovo rispetto ai canoni degli altri sparatutto dell’epoca, facendo vivere loro situazioni ispirate da eventi e personaggi reali (e per giunta con molteplici prospettive diversi non solo da vivere passivamente ma anche da interiorizzare).

Allo stesso tempo, i Rainbow avrebbero usato ogni mezzo a propria disposizione per sgominare questo gruppo di terroristi e mettere in sicurezza le aree assegnate, sfidando ogni regola etica e morale; ciò avrebbe comportato nel concreto la possibilità di eliminare civili o lasciare che venissero abbattuti se questo avesse portato alla buona riuscita della missione, per la prima volta senza incappare in una schermata di game over. Le scelte dall’impronta etica e morale avrebbero visti gli utenti coinvolti in prima persona, con prompt a schermo e minigiochi da completare in stile Heavy Rain.

I personaggi non sarebbero stati più generici terroristi e controterroristi, ma avrebbero avuto personalità forti come in un Far Cry. I True Patriots avrebbero avuto un leader carismatico noto come Jonah Treadway, di cui avremmo visto monologhi proprio come per i villain della serie open world Ubisoft, mentre l’ex Navy Seal James Wolfe sarebbe stato la controversa guida del Team Rainbow.

Nonostante questo focus sulla storia, Rainbow 6 Patriots avrebbe mantenuto l’approccio tattico dei predecessori, basando il proprio gameplay sulla preparazione – per quanto diversa, ancora presente – della missione prima ancora di dare il via all’azione. Tuttavia, differentemente dalla camera di Vegas, avremmo utilizzato una lente AR una volta scesi sul campo di battaglia, con la quale avremmo identificato i nemici e i loro armamentari attraverso muri e oggetti sulla mappa. Un sistema next-gen di copertura avrebbe permesso di reagire in maniera dinamica alla minaccia nemica, insieme a numerose tecniche mutuate direttamente dal linguaggio militare come il Wall & Ceiling Breach, la Fast Rope Rappel, l’Infiltrate & Subdue e altre ancora.

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Un’evoluzione dell’intelligenza artificiale dei compagni di squadra li avrebbe visti realizzare azioni in tempo reale basandosi sulle istruzioni dei giocatori ma adattandosi alle situazioni che di volta in volta avrebbero incontrato, raggiungendo – questo perlomeno l’intento dello sviluppatore – uno stato di semiautonomia nella loro esecuzione.

Fedelmente ai giorni gloriosi del franchise, ci sarebbe stato naturalmente un comparto multiplayer, che avrebbe però presentato alcune trovate che ebbero subito una certa risonanza per la qualità dell’innovazione visiva e pratica su cui puntavano. La Sandtable, ad esempio, avrebbe permesso di utilizzare ancora prima dell’inizio del match un tavolo olografico dove insieme ai propri compagni di squadra si sarebbero potuti studiare i movimenti lungo tutte le mappe e preparare le partitte analiticamente, creando un piano per ogni situazione che avrebbero potuto incontrare negli scontri con gli avversari. Si sarebbe potuto persino scegliere un comandante che avrebbe potuto assegnare ordini alla sua squadra nel bel mezzo della battaglia, e sarebbero state previste delle ricompense per quanti avrebbero giocato maggiormente di squadra, ponendo come da tradizione della serie la cooperazione al centro della scena. Le armi confermate includono ARX-160, M16A4, SCAR-H CQC, ACR, M1014, M107 e DSR-1.

Sfortunatamente, non c’è footage proveniente dal multiplayer e non abbiamo mai avuto neppure un assaggio delle mappe in cantiere, mentre per quanto riguarda il single-player abbiamo avuto – nel corso di una presentazione altamente atipica di cui vi parleremo nelle prossime righe – un assaggio con un prototype video e un trailer di debutto che arrivarono a distanza l’uno dall’altro di appena un mese.

Cos’è stato

  • La cronistoria

Abbiamo parlato di presentazione atipica per Rainbow 6 Patriots e mai parole furono più adatte. L’esistenza del gioco venne a galla il 23 giugno 2011 grazie ad un leak di Kotaku, che diede così inizio alla controversa e tribolata relazione tra la pubblicazione americana e Ubisoft, in cui venivano mostrate immagini estrapolate da un “target gameplay”, ovvero una clip che mostrava – attraverso scene non realizzate con il motore del gioco – gli obiettivi del team di sviluppo nella realizzazione del prodotto. Dopo alcuni mesi vissuti nel dubbio che quel leak non fosse altro che una bufala ben articolata, il gigante transalpino si vide costretto a riconoscere che in effetti quel Patriots esisteva per davvero, dando l’annuncio formale tra il 3 e il 4 novembre 2011 con un’uscita programmata l’anno successivo per PC, PlayStation 3 e Xbox 360.

Contestualmente, fu esibito proprio il target gameplay da cui arrivavano le immagini giunte nelle mani della redazione di Kotaku, un fatto estremamente inusuale se consideriamo che quel tipo di video è di norma riservato e non viene mai mostrato ai consumatori finali, se non in circostanze assai rare dove il team di sviluppo è sicuro al 100% di quello che riuscirà ad ottenere una volta ultimata la fase di lavorazione. Ubisoft spiegò che quel reveal prematuro avvenne dopo aver avuto la prova che “qualcuno potrebbe aver trafugato footage relativo al target gameplay preliminare”, e tenne a precisare come si trattasse di un concept pre-renderizzato creato nel 2010 di come avrebbe potuto essere, nella build finale, un livello del titolo. Come vedremo avanti, quando fu prodotto quel render lo studio non aveva neppure ancora una controparte su un engine reale.

Nel novembre 2011, contestualmente a questa presentazione affrettata, Rainbow 6 Patriots è protagonista di un coverage su Game Informer dal quale proviene gran parte del materiale giunto dalle nostre parti. Tra questo, veniamo a conoscenza del fatto che un team di 200 persone sta lavorando sul progetto, guidato dal creatore della serie SOCOM David Sears; in un curioso intreccio, Sears è attualmente design director di Compulsion Games, software house ora parte di Microsoft Studios.

O perlomeno lo è fino al marzo 2012 quando, a sorpresa, viene annunciata una pesante riorganizzazione della squadra al lavoro sul titolo: il creative director viene rimpiazzato da Jean-Sebastien Decan, un veterano di Quantic Dream e Ubisoft Reflections; in precedenza narrative designer di Ubisoft Montreal, starà a lui effettuare l’ultimo tentativo di portare in porto Patriots così com’è stato svelato al grande pubblico, sfortunatamente non riuscendoci. Stessa sorte toccò al narrative director Richard Rouse III, al lead designer Philippe Therien e all’animation director Brent George. Come vedremo tra poco, alla base di quello che parve un cambio repentino di gestione ci fu il percorso tribolato di un team che non fu mai realmente vicino a produrre qualcosa di simile a quanto esibito nel target gameplay, pur essendo la dirigenza, per almeno due anni, intenzionata a sovvenzionare quella visione credendo davvero in un possibile cambio di prospettiva della saga.

Nel novembre 2012, ad un anno dal reveal – un anno di silenzio -, il CEO Yves Guillemot accennò per la prima volta ad un possibile passaggio alla generazione di console successiva, ribadendo come il gioco fosse ancora in cantiere. L’anno dopo, però, emerge come quest’ultimo fosse addirittura in una fase di brainstorming, segno che a Montreal si stesse faticando a trovare un’identità calzante e fattibile all’atto pratico per Patriots. Curiosamente, quello stesso anno, in aprile, Jade Raymond fece sapere come la porzione multigiocatore fosse stata completata presso Ubisoft Toronto e che la software house fosse passata agli altri progetti assegnati dalla casa madre, tra cui Splinter Cell: Blacklist, l’Assassin’s Creed che avrebbe seguito Black Flag e due nuove IP. In questo frangente, il lancio venne programmato per il 2013.

A maggio, tuttavia, il prodotto sparisce dai listini di GameStop ed inizia a serpeggiare una certa preoccupazione sul suo destino. Una preoccupazione che sfocia nella conferma, all’E3 in giugno, del passaggio alle piattaforme next-gen, ovvero PS4 e Xbox One. Il senior VP di Ubisoft Tony Key spiegò come “Rainbow 6 è finito nella transizione da una generazione all’altra, ed essenzialmente ci stiamo chiedendo ‘stiamo facendo il gioco giusto per l’hardware giusto?’”. A dicembre, arriva la parola fine a questa sfortunata corsa, con il presidente della divisione nordamericana Laurent Detoc che spiegò: “abbiamo dovuto rifarlo”. “Ora avranno i benefit delle nuove console, se e quando uscirà”. Nonostante il comprensibile eccesso di prudenza, soltanto sei mesi dopo, all’E3 2014, arrivò la presentazione di Rainbow Six Siege e l’1 dicembre 2015 la sua uscita.

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  • Le ragioni dietro la cancellazione

Come avrete intuito seguendo Post Mortem, non c’è mai una sola ragione dietro la cancellazione di un videogioco, specialmente quando questo è stato già presentato e ha ricevuto investimenti, in termini di risorse economiche e umane, davvero ingenti come nel caso di Rainbow 6 Patriots. La stessa Ubisoft non è giunta, in via ufficiale, ad una visione univoca di quei fatti. Nel 2014, Guillemot spiegò come il team di sviluppo avesse capito, soltanto a sviluppo su quel target gameplay avviato da qualche mese, di volersi concentrare su un titolo multiplayer first e non avere in questo ramo i limiti imposti da una campagna single-player.

Sarebbe stato insomma un cambio d’approccio: in origine era single > multi, con Siege si sarebbe invece passati a multi > single. Il technical artist Oliver Couture, una settimana dopo, fu invece di diverso avviso: Patriots era old-gen e con le nuove console in arrivo lo studio voleva ricominciare da zero e provare tecnologie che altrimenti non sarebbero state implementabili, come la distruttibilità degli ambienti, testata sul primo gioco ma resa complicata dalla scarsità dei mezzi a livello hardware.

Da quanto emerso, in ogni caso, le complicazioni più importanti derivarono dal fatto che per Patriots si era abbandonato l’Unreal Engine adoperato per le precedenti iterazioni della serie e che Ubisoft impose l’uso del nuovo motore proprietario Anvil, che non era mai stato “messo in moto” per un first person shooter. L’Anvil era l’engine di Assassin’s Creed II (poi diventato AnvilNext e AnvilNext 2.0, la versione attuale in campo da Unity in poi), un’evoluzione dello Scimitar dietro AC e Prince of Persia del 2008.

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Lo stesso problema che ebbe BioWare con Dragon Age Inquisition, insomma: tempistiche allungate per ogni minima operazione perché sostanzialmente bisognava creare dei sistemi ex novo per ciascuna di esse, solo che in questa circostanza l’ostacolo è stato troppo alto per venire superato. La gran parte del tempo di sviluppo fu spesa per provare a ricreare in un gioco vero e proprio il target del 2010, mostrato l’anno seguente, e un realizzare un gameplay trailer per l’E3 2012; in entrambi i casi, complice l’impossibilità di mantenere un frame rate accettabile, furono registrati dei fallimenti.

È in questo momento che, con Xbox One e PS4 dietro l’angolo, si pensa di fare tabula rasa e passare ad un titolo progettato da zero per le console di nuova generazione. Il compito viene assegnato ad un manipolo di sviluppatori giovani e con idee fresche, il cosiddetto team Unbreakable composto da appena 25 staffer, che in due anni realizza Rainbow Six Siege riuscendo a portarlo all’E3 2014 con addirittura del gameplay, conditio sine qua non dopo il flop del troppo nebuloso Patriots. Pochissimi asset e pochissime idee di Patriots vengono riutilizzati in Siege, così da permettere a questo gruppo di sviluppatori di ripensare a cosa fossa alla base dell’esperienza Rainbow Six – spoiler: si giunse alla conclusione che ci fosse il multiplayer – e che funzionalità avrebbe potuto distinguere una nuova iterazione da tutto il resto in circolazione – altro spoiler: si puntò sulla distruttibilità delle ambientazioni, che come anticipato ea già stata provata a più riprese sulle versioni old gen di Patriots ma senza successo.

Per chiudere, è interessante dare uno sguardo alle tempistiche con cui sono stati lavorati Patriots e Siege, visto che rendono molto l’idea di come un progetto nasca bene o nasca male e cosa questo voglia dire all’atto pratico. Rainbow 6 Patriots è stato in sviluppo, secondo le nostre ricostruzioni, per tre anni e mezzo, all’incirca dalla metà del 2009; Siege è stato in cantiere da inizio 2013, venendo annunciato all’E3 2014, dunque dopo un anno e mezzo di lavoro a testa bassa e bocche cucite. A quello stesso E3 fu certificata la cancellazione di Patriots. Al tempo si parlava della volontà di mantenere un single-player di qualche tipo, anche se non si sapeva se sarebbe stato possibile rimanere con la campagna cinematografica impostata sino ad allora. Una strada che Ubisoft non volle intraprendere, evidentemente, e che dubitiamo tornerà nella serie Rainbow Six visto il successo per certi versi inatteso riscontrato con la release di fine 2015.

Voto Recensione di Rainbow 6 Patriots, il padre di Siege | Post Mortem #3 - Recensione


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Per chiudere, è interessante dare uno sguardo alle tempistiche con cui sono stati lavorati Patriots e Siege, visto che rendono molto l’idea di come un progetto nasca bene o nasca male e cosa questo voglia dire all’atto pratico. Rainbow 6 Patriots è stato in sviluppo, secondo le nostre ricostruzioni, per tre anni e mezzo, all’incirca dalla metà del 2009; Siege è stato in cantiere da inizio 2013, venendo annunciato all’E3 2014, dunque dopo un anno e mezzo di lavoro a testa bassa e bocche cucite. A quello stesso E3 fu certificata la cancellazione di Patriots. Al tempo si parlava della volontà di mantenere un single-player di qualche tipo, anche se non si sapeva se sarebbe stato possibile rimanere con la campagna cinematografica impostata sino ad allora. Una strada che Ubisoft non volle intraprendere, evidentemente, e che dubitiamo tornerà nella serie Rainbow Six visto il successo per certi versi inatteso riscontrato con la release di fine 2015.
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