Prey - Backlog

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a cura di Gianluca Arena

Senior Editor

Inauguriamo oggi una rubrica nuova di zecca, dedicata, come avrete intuito dal titolo, al backlog, quell’animale mitologico che incalza tutti noi videogiocatori, incutendo un misto di ansia e di una rassicurante sensazione di opulenza (“se domani diventassi povero all’improvviso, avrei comunque da giocare per anni”). In questa rubrica tratteremo di giochi che hanno ottenuto un riscontro minore di quello che avrebbero meritato, a causa di un cocktail di fattori non necessariamente concomitanti: genere di nicchia, recensioni troppo severe, o, semplicemente, sfortuna.
Non potevamo che cominciare con uno dei titoli migliori dell’anno scorso, la cui unica colpa è stata quella di venir pubblicato in uno degli anni qualitativamente migliori(e più affollati) della recente storia videoludica: Prey, di Arkane Studios.
Ready Player One
Alla faccia di chi continua a profetizzare, con un che di catastrofico, la fine dei giochi in single player, Bethesda continua, imperterrita, a proporre avventure di grande spessore, pregne di contenuti e con valori produttivi di un certo livello: Prey, reboot di una sfortunata proprietà intellettuale vista fugacemente su Xbox 360, ha portato una storia avvincente e meccaniche di gioco brillanti e varie su PS4, PC e Xbox One, ruotando attorno a due capisaldi, ovvero la libertà di approccio e un problem solving mai banale.
Prima, però, Arkane Studios ha lavorato sulla cornice narrativa, fornendo un contesto assai affascinante alla sua creatura, a metà tra la science fiction e l’horror, con un intreccio non particolarmente elaborato ma in grado di suscitare diverse domande nel giocatore più incline a porsene: qual è il confine tra lecito e illecito quando si parla di scienza? Quanto la memoria umana può essere considerata affidabile? E, soprattutto, che valore avrà la famiglia nel futuro che ci apprestiamo a vivere?
Questi ed altri interrogativi si faranno strada durante la trentina di ore necessarie a completare l’avventura e buona parte delle numerose missioni secondarie, scritte con la medesima maestria e capaci di spingere il giocatore ad esplorare Talos I da cima a fondo.
Prey è innegabilmente figlio dei suoi tempi, e non ha paura di pescare a piene mani dalla fantascienza di genere, da altre serie videoludiche (da Deus Ex a Bioshock) e da quella letteratura che ha spopolato negli ultimi vent’anni, impegnata a dipingerci futuri a tinte fosche, dove i contatti con altre forme di vita non hanno nulla a che vedere con il gioioso “telefono casa” di spielberghiana memoria.
Libertà di approccio e problem solving, si diceva: dopo l’ottimo lavoro svolto con la serie Dishonored (anche lei presto ospite di Backlog), il team di sviluppo transalpino si è concentrato su ciò che sembra riuscirgli meglio, ovvero mettere il giocatore all’interno di ambientazioni ampie e liberamente esplorabili, fornendogli gli strumenti per trovare, al loro interno, la strada e gli incontri che preferiscono.
Sotto molti punti di vista, un’avventura do it yourself, insomma.
Jack-of-all-trades
Stante una forte impronta ruolistica, evidente sin dalle prime battute dell’avventura, Prey unisce in maniera armonica e brillante diversi generi ludici, disimpegnandosi bene in praticamente tutte le situazioni, sebbene le sparatorie in campo aperto non possano essere paragonate, per fluidità e fisicità, a quelle dei migliori FPS sul mercato.
D’altronde, arrivare a far parlare le armi, su Talos I, equivale, quasi sempre, all’anticamera di un game over: i Typhon sono troppi per essere semplicemente riempiti di piombo dal primo all’ultimo, e la loro velocità, unita alla furbizia, li rendono bersagli tutt’altro che semplici da colpire.
Il giocatore può scegliere se servirsi del loro patrimonio genetico, combattendo il fuoco con il fuoco, oppure rimanere rigorosamente umano, escludendo ogni potenziamento dalla progressione: nel primo caso, nonostante l’accesso a poteri decisamente utili (come la mimetizzazione o la capacità di infilarsi in qualsiasi pertugio) sono però controbilanciati dal rischio concreto di essere riconosciuti dalle difese di Talos I come una minaccia, con tutto ciò che ne consegue.
Per non parlare dell’Incubo, entità capace di braccare il giocatore come faceva solamente Nemesis in Resident Evil 3 (cui il team di sviluppo non ha fatto mistero di essersi ispirato)
Qualora, invece, si optasse per rimanere totalmente umani, l’avventura si farebbe mediamente più difficile, dovendosi basare solamente sulle proprie forze: in questo caso, grazie a sottosistemi molto ben implementati, come il Riciclatore, capace di convertire gran parte di ciò che si raccatta durante l’esplorazione in oggetti utili, come munizioni e kit di soccorso, il giocatore sarà chiamato a farsi strada in diversi ambienti molto ben realizzati, colmi di frammenti di narrativa ambientale e aree opzionali.
Poggiandosi su un level design intricato e mai banale, il prodotto Bethesda incita il giocatore a risolvere i problemi a modo suo: lo stealth è raccomandato, ma nulla vieta di farsi largo tra i nemici a colpi di fucile a canne mozze, così come molte delle quest secondarie si aprono a soluzioni molteplici, alcune delle quali capaci di aprire o chiudere ulteriori archi narrativi.
Posto al centro di una enorme stazione spaziale, che lascia ampio margine all’esplorazione pur senza risultare troppo dispersiva, il giocatore può sollazzarsi come all’interno di un parco giochi, dove, però, ad attendere il proprio turno sullo scivolo non ci sono bambini sorridenti ma entità aliene affamati di sangue.
Più profondo e ragionato di uno sparatutto in prima persona, più adrenalinico e ansiogeno di un gioco di ruolo, Prey non si vergogna di essere iterativo, ma riesce a farlo con una classe e un livello di scrittura sconosciuti a moltissimi dei suoi congeneri.
Prey oggi
A poco più di un anno dal debutto sul mercato, Prey è oggi un titolo estremamente rifinito ed economico: oltre a ripulire il codice del gioco da bug e glitch assortiti emersi nei giorni successivi al lancio, Bethesda ha rilasciato una serie di migliorie per il titolo, a cominciare dal supporto ad entrambe le console premium.
Su PS4 Pro, il titolo Arkane Studios gira a 1440p, con un framerate più stabile rispetto alla versione base di PS4 e con diverse migliorie dal punto di vista delle ombre e dei particellari.
Ancora meglio su Xbox One X, che mette a frutto la sua potenza bruta per offrire una risoluzione in 4K, con texture enormemente più definite e realistiche, effetti di luce assenti nelle altre versioni e tempi di caricamento sostanzialmente più rapidi.
I maggiori siti di ecommerce e i rivenditori fisici qui in Italia propongono l’avventura di Morgan Yu ad un prezzo compreso tra la ventina scarsa di euro (per una copia multilingua nuova o una in italiano usata) e i poco più di venticinque per una nuova con retrocopertina nella lingua di Dante Alighieri, con la possibilità di rinvenire qualche fondo di magazzino con tanto di steelbook inclusa.
Un prezzo davvero irrisorio per un prodotto tanto brillante e longevo.
Ciliegina sulla torta, il DLC Mooncrash, pubblicato subito dopo il suo annuncio allo scorso E3, che aggiunge un’avventura inedita (e l’elemento procedurale) alla già cospicua offerta contenutistica del prodotto base: se non aveste ancora acquistato il titolo Bethesda, potreste optare per la Digital Deluxe Edition, che comprende gioco e contenuto scaricabile a meno di quaranta euro complessivi.

Eccellente nel rapporto qualità/prezzo, rifinito e dotato di un DLC stand alone che ne varia ritmi e meccaniche, Prey è oggi un acquisto ancora migliore di quanto già non fosse a maggio dell’anno scorso.

Oltre che per il piacere di gustarvelo, dovreste dargli una possibilità anche per supportare team di talento come i ragazzi di Arkane Studios, autori, tra gli altri, dell’ottimo Arx Fatalis e della recente serie di Dishonored.

Se, poi, foste possessori di Xbox One X o PS4 Pro, potreste godervi le (dis)avventure dei fratelli Yu nella gloria di risoluzioni superiori al full HD.

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