Porting, remaster, remake | Una questione di termini
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a cura di Adriano Di Medio
Redattore
È uno spettro nato dalla generazione precedente, ma che da quella attuale è divenuto molto più solido. Stiamo parlando delle riedizioni, ovvero la pratica di riproporre software vecchio di qualche anno, spesso su macchine più moderne di quelle originarie. Nell’ultimo anno però questa pratica si è così espansa e sfaccettata da divenire troppo espansa per una sola parola. Anche in virtù dell’imminente pubblicazione di Spyro: Reignited Trilogy, in questo approfondimento vogliamo provare a dare una definizione più precisa di “porting”, “remaster” e “remake”. Una riflessione che pensiamo sia necessaria ma di cui siamo consapevoli anche della sua volatilità, a causa del continuo cambiamento dell’industria videoludica.
Porting e Remaster: una questione di piattaforme
Partiamo dalle origini: il porting. Si ha un porting quando un codice originariamente scritto su una determinata piattaforma (PC o console) viene portato su un’altra. Fino qualche decennio fa la grande varietà di hardware in circolazione rendeva tale operazione particolarmente difficile. Non poche volte le differenze di linguaggio e di potenza di calcolo rendeva necessario riscrivere il gioco da zero o quasi. Ne abbiamo parlato brevemente nella recente retrospettiva su Ghosts’n Goblins. Nell’epoca moderna invece il porting è divenuto relativamente più facile, in virtù dell’adozione di architetture e linguaggi di programmazione condivisi, oltre che risorse hardware simili. Ciò ha sancito la nascita di quelli oggi universalmente noti come multipiattaforma, ovvero il medesimo videogioco pubblicato su più piattaforme contemporaneamente.
La differenza principale con la Remaster sta appunto nella piattaforma, tuttavia non è l’unica. La remaster è prendere il videogioco in questione e trasporlo in un ambiente hardware più performante, in grado di renderizzarlo a una maggiore risoluzione e volendo dandogli anche prestazioni migliori. A parte queste cose la remaster non fa nulla o quasi per alterare il prodotto originale, anzi spesso molti elementi non processati dal sistema (come i filmati in CG) non vengono toccati, rendendo evidente lo stacco. Questa non particolare cura ha generato un certo clima di diffidenza già in settima generazione, in quanto erano lacune presenti in molti dei videogiochi della collana ai tempi noti come Classics HD (o anche HD Collections). Oltre ai miglioramenti di resa la remaster può essere anche occasione per fare piccoli aggiustamenti a livello di comandi, come l’introduzione della seconda levetta per le schivate in God of War Collection Volume II, adattati da PSP a PS3.
Stiracchiando un po’ la definizione possiamo far entrare nella categoria dei porting anche le versioni emulate. Da diverso tempo infatti gli store digitali propongono versioni “classiche” di videogiochi ormai vecchi. La particolarità, specialmente sull’attuale generazione, che tali giochi sono versioni emulate degli originali. Un’emulazione ricrea su una macchina le modalità e l’architettura di un’altra. Le differenze tra remaster e emulazione sono due: la prima è che il processo di emulazione ha requisiti di sistema sensibilmente maggiori (il programma deve processare sia il gioco che l’ambiente software cui questo si appoggia); la seconda è che con l’emulazione non si può approfittare della potenza in più del nuovo sistema per correggere eventuali lacune del software. Un videogioco che per esempio in originale aveva bruschi cali di frame-rate in linea di massima li avrà anche quando emulato: pensiamo alla trilogia di Jak & Daxter attualmente in vendita su PS4. A questo si deve infine aggiungere che le periferiche attuali potrebbero non essere in grado di restituire la stessa resa del passato. Per fare un esempio estremo: la versione di Ape Escape 2 in vendita su PlayStation Store per PS4 è il gioco originale per PS2 emulato, ma tale versione ha una risposta dei comandi sensibilmente differente dall’originale a causa della differente progettazione del pad PS2 (analogico) rispetto a quello PS4 (digitale).
Remaster Plus e Remake: una questione di contenuti
Immediatamente al di sopra delle Remaster “semplici” vi sono le “Remaster Plus” (a volte stilizzate anche “Remaster+”). In questo caso il videogioco non viene solo riportato su un ambiente più performante, ma gli sviluppatori tentano per quanto possibile di aggiungere contenuti o di aggiustare ciò che in originale era lacunoso. Un paio di esempi ci vengono dati dalla Square-Enix: Final Fantasy X e le recenti raccolte dedicate a Kingdom Hearts. Il primo ha visto diverse modifiche, con addirittura la rimodellazione dei volti. La saga di Sora, Paperino e Pippo ha invece molti contenuti aggiuntivi, alcuni dei quali mai visti in Occidente, oppure la recentissima riedizione di The World Ends With You, che oltre ai capitoli di storia aggiuntivi aveva anche la traduzione in italiano. È rimasto poi celebre l’aneddoto che il primo KH ha dovuto essere riassemblato praticamente da zero perché non si riusciva a trovare il master originale. In questo caso però l’inclusione nelle “Remaster+” anche delle riedizioni che contengono solamente tutti i contenuti posteriori alla distribuzione (comunemente dette Game of the Year) dipende solo dai vostri gusti.
Fuoriusciti per un momento dalle considerazioni personali, è nella distinzione tra Remaster e Remake che si consuma la vera frattura. Dove la Remaster porta il gioco su una nuova generazione, il Remake crea un videogioco completamente nuovo prendendo l’originale come inamovibile ispirazione. Esattamente come nel cinema, è una pratica molto più comune di quanto non sembri, e soprattutto applicata in ogni genere. Già nel 2006 vi era Medieval II Total War, remake dell’originale Medieval: Total War del 2002. Un altro remake celebre è Metal Gear Solid: The Twin Snakes (2004) per GameCube, che per quanto assai aderente all’originale PSX di Kojima rispetto a quest’ultimo si prendeva alcune notevoli “licenze poetiche” che hanno avuto il loro strascico di sguardi interdetti. Oppure, per rimanere ancora più in attualità viste le notizie che si rincorrono sul suo conto, MediEvil ha già avuto un remake. Chiamato MediEvil Resurrection, è uscito su PSP nel 2005: pur non alterando assolutamente la trama originale (Sir Dan e la sua lotta di riscatto contro Zarok) cambiava molte cose tanto nei livelli quanto negli avvenimenti, con l’introduzione di un oggetto magico (la Pietra di Anubi) assolutamente non presente nell’originale, e soprattutto togliendo per somma parte l’aura di cupezza che invece caratterizzava il gioco su PSX.
Remake Shot-for-Shot: una questione di estremità
Arriviamo infine alla categoria più estrema: il Remake Shot-for-Shot. Ancora una volta si tratta di una definizione presa dal cinema: in tale settore il termine indica un film in cui ogni cosa (sceneggiatura, montaggio, scenografia e inquadrature) ad eccezione del cast è fatta in maniera assolutamente identica a un film precedente. È comunque una pratica relativamente poco comune, probabilmente perché è più visto come un virtuosismo che una vera e propria produzione originale. È arrivato al grande pubblico nei tardi anni Duemila anche in Italia con Benvenuti al Sud (2010) remake del francese Giù al Nord (2008).
A livello videoludico la pratica si è invece affermata solidamente solo in anni recentissimi. Potremmo considerare un primissimo shot-for-shot moderno Halo: Combat Evolved Anniversary (2011), che ricreava il primo Halo in un nuovo motore grafico derivato da un’evoluzione di quello di Halo 3. La particolarità era dovuta al fatto che il programma faceva girare il gioco su entrambi i motori grafici contemporaneamente. Da circa un anno e mezzo invece tale modus operandi per i remake ha preso un notevole sopravvento su tutti gli altri tipi di riedizioni. Possiamo dire che l’“ariete di sfondamento” sia stato proprio Crash Bandicoot Nsane Trilogy, arrivato a giugno 2017 su PS4 e poi variamente convertito. Il lavoro dei Vicarious era inizialmente (e per somma parte lo è tuttora) la definizione plastica di Remake Shot-for-Shot: hanno preso i videogiochi originali, li hanno studiati a fondo e li hanno ricreati in maniera pressoché identica, dalle dinamiche ai controlli, passando per la difficoltà, i giochi di telecamera e le sceneggiature. Il tutto però ripartendo da zero con una nuova tecnologia e un nuovo hardware. La rievocazione è stata tale che molte lacune degli originali (come il trucchetto del camminare sulle corde nei livelli dei ponti) sono presenti in una maniera tale da lasciar sospettare che sia tutto di proposito. Ciò non può che testimoniare il fatto che molti videogiochi di quegli anni avessero sfruttato in maniera creativa le risorse hardware limitate, cosa oggi non più possibile (nel caso di Crash, è diventato celebre l’aneddoto dei “piedi a pillola”).
Dal risuscitato marsupiale arancione in poi c’è stato un notevole incremento di questo tipo di remake. Nel febbraio 2018 BluePoint Games ha pubblicato il remake di Shadow of the Colossus, in questi giorni sentiamo parlare sempre più di MediEvil e del suo remake fedele all’originale, mentre per l’imminente Spyro: Reignited Trilogy gli sviluppatori Toys for Bob hanno pubblicamente ammesso di aver ricreato i giochi da zero prendendo a riferimento gli originali di Insomniac.
Il mondo delle riedizioni videoludiche si è largamente esteso, specialmente negli ultimi anni. Dopo la “scoperta” delle Remaster nella precedente generazione e la loro conseguente aura di ambiguità, il passo successivo è stato quello di portare il Remake a un livello se vogliamo assai più “estremo”. Le conseguenze di questo le abbiamo davanti agli occhi, e una di queste (Spyro) avrà un certo spicco questo novembre. In questo pezzo abbiamo provato a raccogliere ed elaborare delle definizioni di massima di ciascun tipo di riedizione. Definizioni derivate da esempi reali, ma che comunque non hanno la pretesa di essere assolute o immodificabili proprio in funzione del continuo cambiamento del mezzo espressivo videoludico, in ogni sua forma.
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