Tra le serie più prolifiche ed amate degli ultimi quindici anni, a cavallo tra tre generazioni di hardware portatili (dal glorioso Game Boy Advance fino all’attuale 3DS), la serie di Phoenix Wright Ace Attorney ha resistito quasi indenne al passare degli anni e all’evolversi del medium e della tecnologia videoludica, puntando forte sul concept, sull’eccellente scrittura, sul carisma dei suoi personaggi. In questi giorni, in concomitanza con il lancio europeo dell’ultima avventura del furbo avvocato difensore, denominata Spirit of Justice, la serie tenta, timidamente, di dare una svecchiata ad alcuni aspetti del gameplay, poggiando comunque sulla poderosa base costruita nel corso degli anni, raffinata di episodio in episodio.
Come sarà venuta quest’avventura esotica del nostro Phoenix? Continuate a leggere la nostra recensione per scoprirlo.
Lavoro anche in vacanza
La scintilla narrativa di questo nuovo episodio scocca proprio mentre il nostro Phoenix Wright è in vacanza, convinto di staccare la spina dai casi spinosi a cui lavora tutto l’anno: la sua guida viene però accusata di omicidio e il nostro, viste le bizzarre usanze del luogo, non può esimersi dall’accettarne la difesa. Questo perché in Khura’in, il paese immaginario creato dagli sceneggiatori di Capcom (fortemente debitore nei confronti dell’oriente più mistico e tradizionalista), la figura degli avvocati semplicemente non esiste: a decretare la colpevolezza o l’innocenza degli imputati ci pensano le capacità divinatorie dei medium, come la focosa principessa Rayfa, la più rispettata e venerata di questa categoria. Questi spiritisti sono in grado di visualizzare gli ultimi istanti di vita del defunto, percependone tutti e cinque i sensi e giungendo, così, alla soluzione del caso: non tutti gli omicidi, però, possono essere risolti con questa tecnica e anzi, spesso, l’apparenza inganna…
Starà allora all’avvocato di blu vestito dimostrare come la spiritualità e la fede nelle capacità divinatorie dei medium valgano meno di un’indagine condotta scrupolosamente e di un arguto spirito d’osservazione.
Al di là della svolta “mistica” dell’intreccio principale, che potrebbe piacere o meno, il colorato cast di personaggi si riunisce ancora una volta, e i fan dei precedenti capitoli ritroveranno gli immancabili Athena Cykes e Apollo Justice, tra gli altri, nonché il gradito ritorno di Maya Fey. L’eccentricità dei personaggi, la loro inusuale caratterizzazione e linee di dialogo spesso brillanti (sebbene un po’ ridondanti, soprattutto nella parte centrale del titolo) sono ingredienti fondamentali della saga, e anche in questo Spirit of Justice non mancheranno di allietare il giocatore, tanto occasionale quanto di lunga data.
Come per i titoli passati, non è necessaria alcuna conoscenza pregressa della serie per godere del titolo, ma i fan della prima ora coglieranno battute, citazioni e richiami al passato della serie, giunta ormai alla sesta incarnazione.
La stessa obiezione dell’ultimo caso
In sede di analisi di Dual Destinies, tre anni or sono, lamentavamo una certa stanchezza dell’impianto di gioco, che pure non impediva al prodotto Capcom di divertire tanto i neofiti quanto (se non soprattutto) i fan della prima ora del brand: ad Osaka nessuno deve aver letto la nostra recensione, perché le novità innestate nel gameplay di questo Spirit of Justice si contano sulla punta delle dita della mano…di un monco. Di fatto, la sola fase di divinazione irrompe nelle meccaniche, laddove sono rimaste immutate la bipartizione dei casi, divisi ancora in una prima fase di raccolta degli indizi e in una successiva discussione in aula: uno schema consolidato nella sua affidabilità ma anche, fatalmente, nella linearità.
La possibilità di vedere gli ultimi istanti di vita delle vittime della principessa Rayfa si traduce, a livello ludico, in una fase in cui al giocatore sono richiesti attenzione e spirito di osservazione, visto che le parole corrispondenti agli stati d’animo, agli odori, ai rumori percepiti dalla vittima fluttuano dinanzi ai suoi occhi: trovare contraddizioni, incongruenze o conferme alle proprie teorie porterà alla soluzione del caso.
La novità, come si vede, è più consistente a livello narrativo di quanto non sia a livello pratico, eppure l’oliato meccanismo della serie funziona meglio che mai, conducendo il giocatore attraverso cinque casi dalla qualità media molto alta, con la parziale eccezione del terzo, più lento e meno riuscito dal punto di vista meramente logico, a nostro parere.
Spirit of Justice, lo avrete capito, è un po’ come la squadra che, dopo una serie di vittorie convincenti, schiera lo stesso undici anche al mercoledì, in coppa, per essere sicura di ottenere risultati affini: la buona notizia è che vi riesce senza dubbio, rivelandosi anche mediamente più impegnativo del predecessore, quella meno buona è che rimane il dubbio che, con un paio di innesti freschi, avrebbe stravinto invece che imporsi di misura.
Al di là del fatto che continuiamo a ritenere che le dinamiche di gioco andrebbero arricchite ed allargate, quindi, il prodotto Capcom si conferma degno esponente della saga, solido, divertente, e, come da tradizione, trae la sua forza da una scrittura che alterna momenti maturi ad altri completamente fuori di testa e da una struttura che unisce sapientemente elementi da visual novel ad altri presi di peso dai puzzle game.
Più filmati per tutti
Il comparto tecnico della produzione si allinea al recente passato, con qualche piccolo passo avanti rispetto a Dual Destinies, che pure si era rivelato gradevole per gli occhi: abbiamo notato un aumento del numero di filmati, che mantengono la splendida caratterizzazione anime della serie, e un maggior numero di dialoghi doppiati, quasi come se lo sforzo produttivo complessivo sia stato leggermente più significativo rispetto al 2013.
Nel complesso, comunque, il titolo non si segnala né per particolari vette d’eccellenza ne per scivoloni consistenti, rimanendo fedele all’aspetto visivo che ha caratterizzati gli episodi del franchise su 3DS (con la parziale eccezione del crossover con il Professor Layton, che ha subito influenze visive in stile Level 5), semplicemente con un tocco orientale in più per le sequenze che hanno luogo a Khura’in.
Come per il precedente capitolo, gli appassionati della prima ora del franchise potrebbero non apprezzare la sola distribuzione digitale e la mancanza della lingua italiana: se, da un lato, godere delle ottime traduzioni italiane viste sino a qualche anno fa non sarebbe stato affatto male, dall’altro, se questo è l’unico modo per continuare a godere delle avventure del nostro avvocato preferito, probabilmente tocca fare di necessità virtù.
Chiosa finale per la durata complessiva, difficilmente quantificabile (dipende da quanti game over vedrete e da quanto vi fermerete a riflettere dinanzi allo schermo), ma che si attesta grossomodo sulla ventina di ore, in linea con quanto offerto dai precedenti capitoli.
Funziona come un orologio svizzero…
Prezzo budget…
Scrittura e caratterizzazione dei personaggi al top
Enigmi leggermente più impegnativi rispetto al passato
…ma sempre uguale a se stesso
…al costo della localizzazione italiana
Con Phoenix Wright Ace Attorney Spirit of Justice Capcom si conferma regina delle reiterazioni di qualità, sfornando un prodotto con novità minime rispetto al recente passato ma pur sempre ben confezionato, divertente e finanche un po’ più impegnativo se comparato a Dual Destinies.
I punti di forza della serie rimangono immutati, da un cast sopra le righe ad una scrittura sempre brillante, e con essi anche alcune delle limitazioni che ci piacerebbe vedere rimosse una volta per tutte, dalla linearità congenita a qualche sporadico calo qualitativo nei singoli casi (qui è il terzo il meno ispirato).
Nel complesso, siamo di fronte ad un prodotto di buona fattura, che farà sicuramente la felicità dei fan più appassionati, nonostante l’assenza della lingua italiana.