La parentesi Ghost Games, e l'ombra di Need for Speed Underground – Speciale
Dove porterà la serie l'ennesimo cambio di sviluppatore?
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a cura di Paolo Sirio
Informazioni sul prodotto
- Sviluppatore: Ghost Games
- Produttore: Electronic Arts
- Distributore: EA
- Piattaforme: PC , PS4 , XONE
- Generi: Guida Arcade
- Data di uscita: 8 novembre 2019
Proprio quando sembrava aver raggiunto una propria stabilità, con una ricostruzione difficile passata per la chiusura di uno studio e la fondazione di un altro, ecco che la serie Need for Speed torna in bilico: Ghost Games non esiste più, o quantomeno nel suo cambio di nome comunicato questa settimana c’è poco di una semplice nuova intitolazione e più di un dirottamento su altri scopi “aziendalistici”.
La palla è passata di nuovo nella metà campo di Criterion Games, un team esperto che – oltre ad averne firmato un paio come software house titolare – ha collaborato ad uno dei capitoli più apprezzati dell’era moderna di questo franchise, bizzarramente aggiungeremmo, proiettato sempre e comunque in un passato glorioso dal quale non riesce a divincolarsi.
Quella che viene raccolta quest’anno e per i prossimi appuntamenti per la saga è un’eredità pesante, perché a prescindere dallo spessore di certi episodi acclamati da pubblico e critica la sfida più grande è trovare un pubblico nuovo, che non viva appunto dei ricordi di quelle iterazioni ormai andate e forse irreplicabili per una pletora di ragioni.
Chi viene
Criterion Games non è uno sviluppatore che ha bisogno di troppe presentazioni, ma di certo è uno che aveva necessità di ritrovarsi dopo una manciata di pericolose esperienze da tappabuchi che gli sono costate una perdità esponenziale di quell’identità che si era costruito nel corso degli anni e che avrebbero potuto portare ad un finale immeritato – vedasi Visceral Games dopo Battlefield Hardline.
Il team di sviluppo con sede a Guildford, Regno Unito, è noto per aver partorito l’amata serie di Burnout, che si è prodotta in sette episodi – l’ultimo dei quali, Crash!, risale all’epoca di PlayStation 3 e Xbox 360, e fu pubblicato esclusivamente in digitale (anche su iOS). I primi due capitoli (a partire dal 2001, era PS2) sono precedenti all’acquisizione da parte di EA del lontano 2004.
Quello che viene ricordato con maggiore piacere da più parti è Paradise, paradossalmente piuttosto diverso dai canoni del franchise dal momento che vi introduceva un’ambientazione open world oltre che un’ispirata direzione artistica e una colonna sonora spettacolare (con tanto di Paradise City dei Guns N’ Roses come tema principale).
Paradise è particolarmente importante nelle nostre considerazioni dal momento che è stato oggetto di recente di una rimasterizzazione per PC, PS4 e Xbox One, che aveva fatto immaginare la volontà del publisher di recuperare il franchise. Il ritorno appena annunciato di Criterion su Need for Speed sembrerebbe escludere questa possibilità, a meno che l’IP non venga affidata al team che si è occupato del remaster, Stellar Entertainment, fondato non a caso dal veterano della serie Paul Ross.
Quel che è certo è che Electronic Arts si è ritrovata per un lungo periodo – precisamente dal 2012, quando ha consegnato Need for Speed Most Wanted – con uno studio a cui non sapeva bene cosa affidare: dal 2013 ad oggi ha infatti semplicemente sfruttato il numero cospicuo di dipendenti, poco meno di un centinaio, per fornire supporto prima a NFS Rivals, poi a Star Wars Battlefront X-Wing e II e infine a Battlefield V, del quale ha realizzato la modalità battle royale Tempesta di Fuoco (Firestorm).
Il fatto che Criterion sia tornata ad essere titolare di un franchise è dunque una buona notizia per una realtà tutto sommato storica del mondo dei videogiochi, e anche per i fan che sanno adesso di avere una squadra competente quando si parla di Need for Speed: suoi sono infatti Need for Speed Hot Pursuit del 2010 (Metacritic 89 nella versione PS3) e Most Wanted del 2012 (Metacritic 84 per la stessa piattaforma), titoli accolti generalmente bene dal pubblico e dalla critica.
Chi va
La Ghost Games che abbiamo conosciuto finora non esiste più, di fatto: lo studio svedese è tornato EA Goteborg, o EA Gothenburg nella denominazione ufficiale, qual è stato per un anno dalla fondazione del 2011 prima che le venissero affidate le sorti del franchise di Need for Speed. Gran parte dello staff rimarrà a disposizione, ma una trentina di persone verranno ricollocate nel gruppo o, evenienza che si spera di evitare, licenziate nel passaggio.
La software house è composta dalla nascita prevalentemente da ingegneri e al suo itnerno trovano spazio membri del team che ha dato origine al motore grafico Frostbite; l’area scandinava è una sorta di Silicon Valley d’Europa, in cui sono stati creati alcuni degli engine più prestanti e avanzati (anche) grazie ad incentivi statali e una tassazione molto agevole che la rende appetibile ai giganti della tecnologia.
Un ritorno alla sua forma iniziale vuol dire sì un’ennesima discontinuità in una saga che stava cominciando a godere dei frutti della stabilità e del maggior tempo concesso allo sviluppo (si era passati da un ciclo annuale ad uno di almeno due anni) ma, guardando la questione dal lato positivo, i team di EA impegnati su giochi Frostbite-based – pensiamo specialmente a BioWare che ha sofferto molto questo motore con Dragon Age Inquisition, Mass Effect Andromeda e Anthem – potranno ora godere del giusto supporto quando si tratterà di creare personalizzazioni e nuove funzionalità.
Quella di Ghost Games si è rivelata una parentesi, alla fine dei conti, quando invece si immaginava che sotto la sua egida ci sarebbe stata una rifioritura del marchio Need for Speed. Eppure, alcuni buoni risultati erano stati conseguiti: Rivals, sviluppato con l’assistenza di Criterion, aveva ottenuto un punteggio medio di 80/100 su Metacritic, il più alto del nuovo ciclo, mentre l’ultimo Heat è stato il più giocato della current-gen nella settimana di lancio.
Tuttavia, è vero anche che tra questi due risultati agli estremi dell’esperienza dello sviluppatore sull’IP ci sono state due uscite non felicissime: la prima fu un reboot della serie, chiamato semplicemente Need for Speed (del 2015), che al di là dell’accoglienza da 66/100 su Metacritic pose una base dalla quale il franchise dovette prendere rapidamente le distanze, ovvero una dinamica always online che causò aspre polemiche tra i giocatori.
Capirete che partire in questo modo, con una retromarcia repentina quando ci si accorse della reazione stizzita della community (e ancora non era scoppiato il caso delle microtransazioni su Star Wars), non fece particolarmente piacere ad Electronic Arts; ugualmente, in termini di sviluppo, il successivo Payback rappresentò un focus narrativo che non era nei piani originali e che fu asservito alla voglia di una produzione prevalentemente single-player (un misero 61/100 su Metacritic).
Un’eredità pesante
Meriti e demeriti a parte, quello di Need for Speed – marchio capace di superare i 100 milioni di copie nel lontano 2009 nonché di prodursi pure in un’esperienza cinematografica – è un caso ai limiti del patologico, in cui ogni nuova uscita sembra condannata prima ancora di arrivare nei negozi a non essere all’altezza del suo passato glorioso.
Qualcosa del genere capita tuttora con Pro Evolution Soccer di Konami, “vittima” dei suoi predecessori illustri dell’era PS2, ma anche a Final Fantasy, che ha intelligentemente provato un’altra direzione col quindicesimo capitolo ma ha faticato a lungo a svincolarsi dall’ombra oltremodo ingombrante dei vecchi fasti.
Il punto di riferimento della community di NFS sono le corse illegali e la possibilità di truccare i propri bolidi all’inverosimile, seguendo quanto messo su pellicola dalle prime iterazioni di Fast and Furious al cinema; quello spirito è stato incarnato, almeno a detta degli utenti, alla perfezione da Need for Speed Underground e Need for Speed Underground.
Pur non avendo i metascore più elevati della serie (entrambi 82/100 a distanza di un anno dal 2002), questi sono stati i giochi che hanno definito l’aspettativa globale dei giocatori nei confronti della proprietà intellettuale e la colpa più grande di Electronic Arts insieme ai suoi studi è di averlo capito troppo tardi, riproponendo tale formula quando ormai il buzz intorno ad essa era sfumato e persino F&F si è votato al cinema d’azione sic et simpliciter.
Non è un caso che fin dall’introduzione di Ghost Games come sviluppatore principale, soprattutto negli episodi successivi al reboot, si sia sempre parlato di “rivitalizzare la fantasia street racer vs. cops che è al centro del franchise”, e questo è mancato quando l’IP ha preso una direzione più glamour e deviato per lidi più simulativi che erano sì alla base delle primissime versioni ma non ne hanno mai decretato il successo come un Underground.
Non ha molto senso ora come ora aspettarsi un ennesimo reboot ma, con un team di creativi come quello al servizio di Criterion Games, Need for Speed potrebbe cogliere l’occasione per coniugare il suo DNA storico con qualche guizzo serio, in modo da rivolgersi sia agli aficionados di vecchia data, che non saranno mai soddisfatti davvero quale che sia l’output proveniente dal team britannico, sia ad un pubblico nuovo e moderno che da tempo ha messo i denti su esperienze diverse.
I fasti del passato sono questo – fasti del passato. Come insegnano alcuni dei casi di cui abbiamo parlato poche righe fa, tra cui PES e Final Fantasy, spesso serve una rottura con la parte più nostalgica del proprio pubblico per trovarne uno nuovo, ed è possibile che, mantenendo un’identità ben precisa ma arricchendola di elementi di novità tecnica e stilistica, questo avvenga già nel prossimo paio di anni. Magari non una rivoluzione, ma un’evoluzione simile per proporzioni a quella di Grand Theft Auto con GTA Online sarebbe gradita.
Voto Recensione di Need for Speed: Heat - Recensione
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