Oro e Gloria: La Strada per El Dorado – La Giungla dei Tie-In #4

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a cura di Adriano Di Medio

Redattore

Bentornati nella Giungla dei Tie-In, gli speciali per scoprire (e riscoprire) le trasposizioni videoludiche di proprietà intellettuali dal vero o presunto successo. Dopo aver esordito con uno dei “grandi vecchi” quale è l’Hercules della Eurocom e proseguito con due prospettive di carattere quasi storico dedicate a Harry Potter e al Signore degli Anelli, per questa nuova parte della “giungla” torneremo a un’impostazione più monografica e se vogliamo “snella”. Ciò è necessario perchè il videogioco di oggi è abbastanza sconosciuto, ma che ai tempi è stata una delle trasposizioni più divertite della cosiddetta “prima epoca del 3D”. Parliamo infatti di Oro e Gloria: La Strada per El Dorado, sviluppato e pubblicato nel 2000 in concomitanza con l’omonimo film d’animazione.

Antefatto: quando Jeffrey partì 

Più che in altre occasioni, la storia di questo tie-in è strettamente intrecciata con il suo film di derivazione. Sotto la regia di Will Finn, Don Paul, David Silverman e di Eric Bergeron detto Bibo, La Strada per El Dorado esce nelle sale nel 2000. È l’ennesima produzione, dopo Il Principe d’Egitto, Z la Formica e Giuseppe il Re dei Sogni, di una casa cinematografica che da circa un lustro sta causticamente insidiando il predominio della Disney: la DreamWorks SKG. La storia di questo studio (oggi noto come DreamWorks Pictures) inizia nell’ottobre del 1994, quando il dirigente Disney Jeffrey Katzemberg decide di andarsene dall’azienda. Nella sua durezza e inflessibilità lavorativa Katzemberg è l’autore indiretto del Rinascimento Disney, che ha risollevato la casa di Walt dopo degli anni Ottanta a dir poco da dimenticare. Quando Jeffrey se ne va è appena uscito nelle sale Il Re Leone, ma i suoi ultimi contributi sono stati l’aver assegnato Gary Trousdale e Kirk Wise alla direzione del Gobbo di Notre Dame e Ron Clements e John Musker alla regia di Hercules. Katzemberg comunque non è da solo: si associa con Steven Spielberg e David Geffen, e mosso da un inconfessato desiderio di rivalsa decide di sfidare la Disney nel campo privilegiato, quello dei film d’animazione. I suoi sforzi cominciano a concretizzarsi nel 1998 con già citato Principe d’Egitto, ma già da queste premesse le intenzioni erano chiare: la sfida della Disney andava vinta, e senza badare a spese. Una condotta che va avanti per tutti gli anni Novanta e Duemila, quando la casa di produzione è ancora alla ricerca del “grande franchise” che potesse darle stabilità intellettuale, prima ancora che economica.

Allons à la Revolution (software)

La Strada per El Dorado nasce proprio da questa ambizione, che spinge la produzione a tirar fuori dei budget incredibili per un film di animazione. Forti di quasi cento milioni di dollari di finanziamenti (cifra paragonabile ai classici Disney che tanto inseguivano) i registi DreamWorks possono ingaggiare alcuni dei migliori talenti sulla piazza. Per i protagonisti vengono chiamati gli attori Kevin Kline e Kenneth Branagh, viene coinvolta la CG per le scene più complesse e alla colonna sonora viene chiamato nientemeno che Sir Elton John, la cui voce potente accompagna fuori campo le vicende di Tullio e Miguel. E come vuole la tradizione di quegli anni c’è bisogno di una trasposizione videoludica. Dove la Disney preferiva prendere sviluppatori abili ma ancora non famosi e aiutarli con la propria casa (la celebre e bistrattata Disney Interactive), la DreamWorks punta direttamente al meglio ingaggiando Ubisoft e anche Revolution Software, la casa di sviluppo inglese già autrice della celeberrima serie di avventure grafiche Broken Sword. All’epoca del film la casa ha pubblicato i primi due episodi delle avventure di George Stobbart e Nicole Collard (ovvero Shadow of Templars e Smoking Mirror) e in funzione di questo il gioco che ne esce è, nelle sue versioni per PC e PlayStation, un’avventura grafica di mestiere. In Oro e Gloria: La Strada per El Dorado si controllano il corvino Tullio e il biondo Miguel attraverso cinque macro-livelli (Spagna, nave di Cortés, Giungla, fuga dal giaguaro di pietra e infine il tempio dell’acqua; sono tutti divisi in due parti tranne l’ultimo). Come da tradizione non sono presenti combattimenti, e l’unico modo per risolvere i quadri è affidarsi all’ingegno e ai (pochi) oggetti che si recuperano in ciascun troncone. Il movimento dei personaggi avviene tramite sia il mouse che i tasti direzionali dei controller, e gli oggetti con i quali è possibile interagire sono indicati tramite un leggero lampeggiare quando il personaggio vi si avvicina. I livelli avanzati richiederanno inoltre la cooperazione tra i due amici, il cui scambio avverrà selezionando la faccia del personaggio nell’inventario: Tullio e Miguel si daranno il cambio con un ovvio “Tocca a te”. A questo si aggiunge qualche sezione trial & error, come prendere il tempo per saltare da una roccia all’altra nella giungla senza farsi mordere dai piranha o attirare un giaguaro di pietra verso una botola.

L’ironica magia del rendering

In effetti, ciò su cui Oro e Gloria: la Strada per El Dorado fondava (e fonda tuttora) la sua attrattiva è il suo comparto tecnico. Di base il gioco si rifà alle tradizioni grafiche di fine anni Novanta: personaggi (e alcuni oggetti interagibili) poligonali inseriti in sfondi pre-renderizzati a inquadratura fissa. La progettazione degli ambienti segue ovviamente quella delle singole stanze, in cui portare avanti più enigmi intervallandoli a qualche interazione con dei personaggi non-giocanti. L’aspetto generale restituisce un feeling particolarmente “sbozzato”, quasi fosse tutto di legno intagliato. Uno stile che può piacere o non piacere, ma che comunque si capisce come sia realizzato con competenza. La vera parte del leone la fanno dialoghi e recitazione: la trama in sé segue (di nuovo in maniera lasca ma non troppo) il film originale, ma il gioco abbonda di dialoghi ironici, per quanto non particolarmente graffianti. In tal senso riesce perfettamente la trasposizione dei caratteri dei due protagonisti, con Miguel sognatore e Tullio pragmatico, complementari come tanti buddy-movie loro contemporanei. Kline e Branagh furono infatti scritturati per prestare le loro voci anche nel videogioco, registrando parecchi dialoghi unici. Una condotta parimenti riportata anche nella versione italiana, con Gian Marco Tognazzi e Alessandro Gassman che ripresero i loro ruoli. La loro capacità attoriale, fortunatamente non abbinata a un labiale da seguire, permise loro anche una certa libertà nell’interpretazione. Memorabile la scena nel penultimo livello in cui i due devono rifilare delle cianfrusaglie a degli idoli capricciosi: in quell’occasione Tognazzi e Gassman adottano uno stile da imbonitori televisivi ante-litteram che ancora ancora adesso strappa sorrisi. Contribuiscono alla trama anche le scene prese direttamente dal film, sulla cui qualità non si discute, ma la scelta di ingaggiare gli attori originali ha obbligato a ridurre il cast totale, con il risultato che ai personaggi secondari si alternano sempre le solite cinque voci. La stessa Cielo (o Chel), co-protagonista femminile del film e interesse amoroso di Tullio, nel gioco è ridotta a un ruolo praticamente marginale.

La fretta e i suoi consigli, seconda parte

Di fondo comunque il titolo Revolution non ha grandi spinte innovative, e allo stesso modo la sua attrattiva non va cercata nel gameplay. Da quel punto di vista, infatti, il gioco finisce contro il muro del sistema di controllo. Di fondo è abbastanza semplice, con l’impiego dei tasti direzionali e soli due tasti, uno per l’inventario e l’altro per le interazioni contestuali. A renderlo “faticoso” è la sua rigidezza, con il tasto avanti che fa avanzare e i tasti di destra e sinistra fanno girare il personaggio sul proprio asse. Dove in altri contesti (ad esempio in Resident Evil) una simile idea poteva aver senso ai fini della tensione, qui rappresenta solo una lungaggine inutile specialmente nelle sezioni più trial & error. Il supporto al controller analogico smorza solo in parte questo disagio, dato che a volte il programma si accorge in ritardo del cambio di input e continua a ragionare in digitale quando invece si è passati all’analogico.
Ma pure considerando le rigidezze sui controlli come il retaggio di un’epoca videoludica ormai lontana un ventennio, la stessa progressione è abbastanza guidata. Ancora una volta bisogna fare i conti con quella che è la grande piaga dei tie-in: la fretta. Per quanto graficamente esuberante e dalla grande ironia, Oro e Gloria: La Strada per El Dorado ha una durata esigua (sotto le 5 ore) ed enigmi troppo semplici. Per quanto fosse banalmente ovvio che il gioco avesse come pubblico anche i bambini, è anche vero che Revolution possa essere stata un po’ “vittima di se stessa”. Per quanto non fosse un film d’azione, la pellicola presentava poche sezioni autenticamente adattabili in avventura grafica, elemento testimoniato anche dal brusco stacco temporale presente tra il terzo e il quarto livello. Il gioco è infatti costretto a fare un grosso omissis di tutta la parte in cui Tullio e Miguel raggiungono El Dorado e vengono scambiati per delle divinità. Sezioni che probabilmente avrebbero potuto essere sviscerate un po’ meglio adottando la “solita” progressione platform, la quale però sarebbe stato un terreno avulso ai Revolution. Tutti questi difetti vennero notati dalla critica e dal pubblico di quei tempi. Ciò si rispecchiò in valutazioni al gioco decisamente basse, facendolo galleggiare (e pure a fatica) nell’usuale mediocrità. Un destino che stavolta fu lo stesso della pellicola di origine, un vero flop al botteghino: riuscì a recuperare appena ottanta milioni di dollari.

Nonostante gli sforzi e l’ambizione cui la DreamWorks aveva deciso di dedicarsi anche con il film di derivazione, Oro e Gloria: la Strada per El Dorado rimane uno dei tanti tie-in ormai dispersi nella giungla delle trasposizioni videoludiche. Un videogioco che per i tempi (e volendo ancora oggi) rappresentò a sua volta una sfida, nel suo tentare di convertire un road-movie precolombiano all’inedito genere dell’avventura grafica. Un compito che, nonostante l’assodata competenza degli sviluppatori coinvolti, riuscì solo a metà per via delle sue rigidezze, della sua durata esigua e dei controlli controversi anche per essere l’inizio degli anni Duemila. Se nonostante questo vorrete comunque imbarcarvi in questa (breve) avventura dalla mano (qui un po’ stanca) di Charles Cecil, il consiglio è di recuperare la versione PC, a causa dei frequenti caricamenti da disco che affliggono la versione PSX. E non dimenticate di rimanere qui con noi nella giungla, nella prossima puntata si torna in Europa!

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