Monark | Recensione - Sulle orme di Persona
Non tutte le ciambelle vengono col buco
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a cura di Gianluca Arena
Senior Editor
Informazioni sul prodotto
- Sviluppatore: Lancarse
- Produttore: NIS America
- Distributore: Koch Media
- Piattaforme: PC , PS4 , SWITCH , PS5
- Generi: Gioco di Ruolo
- Data di uscita: 22 febbraio 2022 (PC) - 25 febbraio 2022 (console)
Preceduto da una demo gratuita scaricabile da un paio di settimane dagli store digitali tanto di Nintendo quanto di Sony, Monark è l'ultimo progetto dell'accoppiata Lancarse (sviluppatore) – Furyu (publisher), un JRPG che ha a lungo rischiato di rimanere confinato al suolo giapponese per via delle tematiche trattate e dello stile profondamente nipponico.
Invece, come annunciato nel corso del 2021, questo gioco di ruolo strategico ispirato al brand Persona di Atlus arriverà a breve sugli scaffali nostrani, e noi non potevamo non testarlo per voi per verificare se si trattasse di una possibile sleeper hit o di un passaggio a vuoto.
Le aspettative erano abbastanza alte, dal momento che all'interno del team di sviluppo sono presenti membri che avevano lavorato ai primi tre episodi della succitata serie Persona, ma in ambito videoludico le sorprese sono sempre dietro l'angolo...
Come Persona, ma molto più incasinato
La Shin Mikado Academy sembra una scuola giapponese come tante: studenti e studentesse nelle loro impeccabili divise standardizzate, plessi moderni che si mescolano ad altri assai più vecchi, attività scolastiche in grande quantità. Tutto regolare, tutto già visto.
Se non fosse che il nostro alter ego si sveglia, in medias res, in una versione da incubo della stessa, immersa in una nebbia fittissima che avrebbe fatto invidia anche al liceo di Silent Hill.
Tutti gli studenti che entrano in contatto con questa misteriosa nebbia perdono completamente il senno, con l'eccezione di alcuni di loro, miracolosamente immuni alle esalazioni mefitiche: tra questi, nemmeno a dirlo c'è il nostro, ma anche alcuni dei suoi compagni di viaggio e gli antagonisti, che pure sono studenti che frequentano la medesima accademia.
La responsabilità di salvare tutti coloro che hanno perso la ragione e riportare la Shin Mikado alla sua forma originale ricade, nemmeno a dirlo, sulle spalle dell'eroe androgino che saremo chiamati ad impersonare e la trama, nonostante premesse interessanti ed alcune delle penne che hanno lavorati ad alcuni dei primi capitoli della saga di persona, si perde presto in un gorgo di spiegazioni ed elucubrazioni di stampo junghiano.
Senza addentrarci nel campo minato degli spoiler, ci limitiamo a dire che anche in Monark a giocare un ruolo chiave saranno la proiezione del proprio ego, la possibilità di stipulare patti con entità ultraterrene e la capacità di piegare al proprio volere le menti altrui: tutti elementi presi di peso dalla saga Atlus, che singolarmente funzionerebbero anche, nonostante una scrittura spesso inutilmente farraginosa (e non localizzata nella nostra lingua, bene chiarirlo subito).
Il problema è che molti di questi elementi si amalgamano male gli uni con gli altri, dando vita ad un intreccio poco coeso e con problemi di ritmo, che alterna fasi dolorosamente lente, in cui non succede nulla di significativo per quattro o cinque ore buone, ad altre in cui la spirale degli eventi si accartoccia assai rapidamente, rendendo poi necessari delle fasi di spiegazione e di riassunto di quanto accaduto.
Medesimo discorso per i personaggi: per ognuno gradevole e che esula dagli stereotipi tipici del genere (la signorina Chiyo Aikawa su tutti), ce ne sono almeno tre talmente dimenticabili da faticare a riconoscerli dopo sei o sette ore off-screen.
L'impressione è che la sceneggiatura sia stata scritta a più mani, esattamente come la regia che è divisa tra Fuyuki Hayashi e Mitsuhiro Hoshino, e che le differenti anime della produzione non siano riuscite a sintonizzarsi sulla medesima linea d'onda, generando così una scrittura idiosincratica, che alterna buoni spunti (pochi) a ridondanti cadute di stile (decisamente di più).
Proprio a causa di questo intreccio difficile da digerire, e della già citata mancata localizzazione nella nostra lingua, Monark può richiedere, più di altri JRPG recenti, una buona conoscenza della lingua inglese per essere fruito a pieno: non dite che non vi avevamo avvisato.
Errori da matita blu
Sorprendentemente, Monark inciampa in due dei fondamentali del genere: il sistema di combattimento e le fasi di esplorazione, che, al netto dei dialoghi, spesso fin troppo prolissi, costituiscono l'ossatura del prodotto e rappresentano il sessanta - settanta per cento del tempo speso in compagnia del prodotto.
Il primo si accontenta del minimo sindacale, proponendo arene assai poco ispirate nelle quali muoversi liberamente, in un incrocio poco riuscito tra un gioco di ruolo a turni classico ed uno strategico: il posizionamento delle proprie truppe e dei nemici riveste un'importanza capitale, visto che moltissime abilità (tanto del nostro party quanto delle creature che saremo chiamati ad affrontare) sono ad area, e possono quindi colpire più personaggi.
Al netto dell'assoluta mancanza di guizzi o di novità che possano distinguere questo combat system dalle centinaia di titoli similari, a balzare subito all'occhio sono la scarsa libertà di personalizzazione lasciata al giocatore e l'utilizzo di vere e proprie pedine anonime al posto dei membri del party, presenti in numero in genere limitato ad un paio di unità, con qualche eccezione sul finire della campagna principale.
Se combattere annoia ma non offende, sono però le fasi di esplorazione quelle veramente difficili da digerire: regolate da una meccanica tanto inutile quanto odiosa, quella legata ad un indicatore numerico che sale progressivamente e che rappresenta il livello di follia del party, aumentato dalla nebbia e ancora più drasticamente dal contatto con studenti infetti, queste diventano presto un vero e proprio supplizio.
Non solo tarpano le ali all'esplorazione, che pure avverrebbe all'interno di dungeon assai poco immaginativi, ma spezzano continuamente il ritmo, costringendo il giocatore ad uscire dalle aree intrise di nebbia per far ritorno all'infermeria e curarsi: basta infatti una rapida capatina dal dottor Kasekawa per azzerare i valori di follia in un istante, ottenendo anche un oggetto atto a tenere a bada la prossima ondata, peraltro in forma del tutto gratuita.
La meccanica non è quindi pensata per aumentare artificialmente il livello di sfida, quanto piuttosto per prolungare il tempo necessario a portare a termine dungeon sempre più intricati, che spesso richiedono la soluzione di puzzle decisamente ottusi per essere completati e schiudere le porte della sfida contro il boss di turno.
Già nelle prime ore di gioco si hanno diversi esempi di questa discutibile scelta di design: in un'occasione è necessario parlare con tutti gli NPC di un dungeon per scoprire cosa vuole sentirsi dire una di loro, terrorizzata, per aprire una porta, in un'altra bisogna darsi al pixel hunting (mentre il livello di pazzia sale inesorabilmente) per cercare la combinazione di una cassaforte.
Facciamo davvero fatica a comprendere il motivo per il quale il team di sviluppo abbia optato per questa ed altre scelte di design sadomasochistiche, anche alla luce del fatto che queste vanno a peggiorare un aspetto, quello dell'esplorazione, che già risultava di per sé piuttosto debole, a causa di un dungeon design banale e di una scarsissima interattività ambientale.
Queste mancanze così gravi assumono contorni ancora più incomprensibili se si pensa che dietro a Monark ci sono due etichette storiche, sebbene non di primissimo piano, della scena ruolistica giapponese come Lancarse e FuRyu: nel curriculum dei primi ci sono titoli del calibro di Shin Megami Tensei Strange Journey e Persona Q2, acclamati anche su queste pagine, mentre i secondi hanno sviluppato e pubblicato, tra gli altri, Crystar, i due Caligula Effect e The Alliance Alive, tutti titoli godibili e certamente più rifiniti nelle meccaniche di gioco rispetto a Monark.
Purtroppo, la precedente creatura di Lancarse più vicina a Monark in quanto a dinamiche di gioco e combat system è Lost Dimension, uscito per PS3, Vita e PS4 otto anni fa e presto dimenticato, e il risultato è purtroppo sotto gli occhi di tutti.
Disastri inattesi
Il comparto tecnico della produzione è, senza mezzi termini, disastroso.
Conta poligonale, comparto animazioni, texture di superficie sembrano tutte uscite dall'epoca d'oro dei JRPG su PlayStation 2, e non intendiamo con questo fare un complimento alla produzione: che il budget fosse risicato e che il focus fosse sulla narrativa e sul sistema di gioco appare chiaro, ma in tante circostanze qui si è passato il segno.
Tanto su Nintendo Switch quanto su PS5, le due versioni che abbiamo avuto modo di provare, la sensazione è di stare giocando ad un classico riportato in vita tramite una di quelle operazioni di remaster e riproposizione che vanno tanto di moda negli ultimi tempi, con l'ammiraglia Sony che, se da un lato accorcia i tempi di caricamento ed innalza la risoluzione, dall'altra non consente la scappatoia del gioco in portabilità, che, complice il piccolo schermo di Switch, maschera alcune delle magagne più evidenti.
Da qualsiasi parte la si voglia vedere, però, la situazione è alquanto deprimente: i personaggi, anche principali, si muovono in maniera ingessata, sfoggiando un set di animazioni veramente ridotto ai minimi termini, mentre le costruzioni poligonali, che pure possono ripetersi senza ritegno, soprattutto nella prima parte dell'avventura, per motivi di trama, non avrebbero sfigurato su una console di tre generazioni fa.
Nintendo Switch ha dimostrato di saper fare molto meglio di così, e anche produzioni a basso budget come il recente Caligula Effect 2, anch'esso pubblicato da NIS, sono riuscite laddove Monark fallisce miseramente.
Le uniche due ancore di salvezza sono rappresentate dalla direzione artistica, piuttosto anonima ma non sgradevole, e dal fatto che la totalità delle nostre ore di giocato sia stata fatta prima del rilascio della fatidica (e già annunciata) patch del day one, che potrebbe accorciare i tempi di caricamento (al momento significativi soprattutto sulla console Nintendo) e migliorare la resa visiva generale.
Ma, a meno di sconvolgimenti clamorosi su cui dubitiamo fortemente, l'aspetto tecnico e, più in generale, visivo della produzione non riescono a raggiungere nemmeno la sufficienza, per quanto ci riguarda.
Non ci scaglieremo contro la produzione, invece, per la completa mancanza di localizzazione nella nostra lingua cui abbiamo accennato in precedenza: sebbene questo fattore rimanga un grosso impedimento, vista la complessità dei temi trattati e l'importanza della trama nello sviluppo del gioco, con i mezzi a disposizione sarebbe stato oggettivamente impossibile per FuRyu e Lancarse sobbarcarsi la localizzazione nelle lingue occidentali, fosse anche solo per i sottotitoli, che non fossero quella inglese.
Almeno la colonna sonora, a firma del compositore veterano Tsukasa Masuko, rimane uno dei pochi aspetti apprezzabili della produzione: intensa e ritmata, soprattutto in occasione delle boss fight, alterna pezzi jpop cantati di buona fattura a melodie originali di tutt'altra profondità, sottolineando sempre i momenti più drammatici della pur confusa sceneggiatura.
Versione recensita: PS5 e Nintendo Switch
Voto Recensione di Monark - Recensione
Voto Finale
Il Verdetto di SpazioGames
Pro
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Tratta temi maturi e per nulla banali
Contro
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Fasi di esplorazione azzoppate da incomprensibili meccaniche a tempo
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Combat system senza guizzi
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Narrativa lenta e zeppa di cliché
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Comparto tecnico degno di un gioco PS2