La Storia segreta di Ghost of Tsushima

A un anno dalla sua uscita, approfondiamo le radici storiche, culturali e tematiche di Ghost of Tsushima, l’opera magna di Sucker Punch

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a cura di Adriano Di Medio

Redattore

È nato da uno sviluppatore che fino a quel momento aveva vissuto di videogiochi supereroistici. Ha fatto i conti con la pubblicazione in un anno difficile come il 2020, ritrovandosi anche nella scomoda posizione di essere un “videogioco giapponese realizzato da occidentali”. Ma Ghost of Tsushima ha saputo travalicare tutto ciò, assumendo i tratti di una grande rievocazione di un Giappone mitico e iconico, che gli ha fruttato un successo inaspettato anche da parte dei suoi stessi creatori ed editori.

Nell’anno successivo alla sua distribuzione approfondiamo le radici storiche, culturali e tematiche dell’opera magna di Sucker Punch.

https://www.youtube.com/watch?v=Y4g1hdQSdi8

Ghost of Tsushima: una storia che non è solo sfondo

Togliamoci subito il dubbio più pressante: Jin Sakai e tutti i suoi comprimari e antagonisti sono personaggi di fantasia. Si hanno comunque notizie di un clan che faceva di nome Sakai, ma la sua fondazione risale comunque al XIV secolo, e si cominciano ad avere nomi e persone chiave solo nel Cinquecento, quando appoggiarono il clan Tokugawa nell’unificazione del Paese (il daimyo Tadatsugu Sakai è tutt’oggi ricordato per essere stato uno dei migliori militari al servizio di Ieyasu). Tra l’altro il clan Sakai storico è detto essere originario della provincia di Mikawa, ben lontana dall’isola di Tsushima.

Eppure, nonostante la vicenda di Ghost of Tsushima sia alla base un enorme romanzo storico, il contesto storico è ben più importante e sfaccettato di quanto non sembri a una prima occhiata. A cominciare dalla premessa: l’invasione di Tsushima da parte dei mongoli è infatti realmente avvenuta, ed è ancora oggi ricordata come una delle più cruente mai subite dal Paese.

Nel novembre del 1274 iniziò la prima invasione. I giapponesi opposero una fiera resistenza, ma i nemici gli inflissero diverse sconfitte e si impadronirono rapidamente delle isole Tsushima e Iki. Poi si abbandonarono ad efferate crudeltà, infierendo sui civili, donne e bambini. Ciò violava ogni codice militare, e i giapponesi si trovarono del tutto impreparati di fronte a crimini del genere.

(Leonardo Vittorio Arena ed. 2009, Samurai – Ascesa e declino di una grande casta di guerrieri, Mondadori Oscar storia, p. 84)

Una decisione da parte di Sucker Punch che appare audace già all’origine, scegliendo di raccontare un periodo storico che al di fuori del Giappone è oggettivamente poco noto. La maggior parte delle storie sul medioevo giapponese sono infatti ambientate tra la seconda metà del 1500 ai primi anni del 1600, ovvero quella che viene comunemente chiamata Sengoku Jidai, o “epoca degli stati combattenti”.

Nota: abbiamo approfondito il contesto storico di Ghost of Tsushima qualche mese fa, con l’aiuto della professoressa Virginia Sica dell’Università degli Studi di Milano.

Ugualmente, un’altra insospettabile fonte di riferimenti storici è Khotun Khan. Stiamo ancora una volta parlando di un personaggio di finzione, ma in questo caso è anche l’unico ad avere un collegamento autentico con una figura storica realmente esistita: egli si presenta come cugino di Kublai Khan, nipote di Gengis. In Italia Kublai è noto per essere il famoso Gran Khan presso cui lo stesso Marco Polo sarebbe stato a corte per quasi vent’anni.

L’antagonista di Ghost of Tsushima tuttavia non si limita alla parentela, anzi è scritto per essere un’incarnazione dell’atteggiamento che i Mongoli hanno avuto nei confronti dei giapponesi durante quel difficile periodo.

La pacata spietatezza con cui Khotun Khan tratta Lord Shimura (zio di Jin) riflette i toni ipocriti e le minacce velate di cui erano intrise le prime ambasciate che Kublai storicamente aveva mandato ai giapponesi a partire dal 1268.

Tributi che passano per i nomi e i filtri

Dove Jin Sakai diventa, come è canonico per ogni videogioco, un blocco di argilla da modellare in base ai desideri e alle necessità del giocatore, anche i suoi comprimari nascondono qualche tributo in più. Tra i più palesi vi è la co-protagonista femminile, che si chiama Yuna esattamente come la celeberrima invocatrice di Final Fantasy X. Fin dai tempi proprio del grande poema di Squaresoft è noto al grande pubblico che tale nome significa “Luna” nel dialetto di Okinawa, altra isola a sud ovest sia di Tsushima che dello stesso Giappone.

Altri riferimenti più oscuri si trovano in altri comprimari: la triste Masako potrebbe essere un tributo sia all’omonima moglie di Minamoto Yoritomo (il primo a cui fu ufficialmente attribuito il titolo di shogun) che a Masako Nozawa, la celebre voce originale di Son Goku, Son Gohan e Son Goten di Dragon Ball.

Ci sono state anche delle speculazioni secondo cui lo stesso nome di Jin, quando detto alla giapponese (quindi, “Sakai Jin”) sarebbe molto assonante con il termine kaijin (怪人), che appunto vuol dire “fantasma”.

Infine, l’ultimo riferimento affonda le proprie radici nel folklore giapponese più accademico: il sensei Ishikawa, mastro arciere aiutato da Jin, è alla ricerca della sua allieva rinnegata Tomoe. La colpa di lei è aver passato le sue conoscenze ai Mongoli, che adesso se ne servono per i loro crimini. Tomoe Gozen è ancora oggi ricordata come l’unica donna samurai “ufficiale”. Di umili origini (esattamente come la Tomoe di Ghost of Tsushima), le sue gesta raccontate in Heike monogatari, il poema epico che parla della guerra Gempei, conflitto che avrebbe portato alla fondazione dello shogunato Kamakura del 1192. La Tomoe storica sarebbe poi morta attorno al 1247, trent’anni prima di Ghost of Tsushima. Le sue doti di spadaccina leggendaria sono state anche riprese con un altro personaggio omonimo in Sekiro: Shadows Die Twice, tuttavia solo nominato.

Ghost of Tsushima e lo stravolgimento del samurai

Al di là degli istinti rievocativi e di tributo, uno dei motivi più probabili per cui Sucker Punch ha scelto come ambientazione proprio la tentata invasione mongola del Giappone sta nell’impatto culturale che essa ha avuto sulla popolazione giapponese. Ancora una volta, è Leonardo Vittorio Arena a spiegarci il perché.

La guerra dei Gempei ne aveva temprato le forze [dei giapponesi]. Mise a dura prova le loro capacità strategiche, predisponendoli alla lotta. Ma i mongoli ricorrevano a tattiche inedite, e imprevedibili. Le loro armate lottavano in vaste schiere, al suono dei tamburi, dei gong e delle campane, astenendosi dal corpo a corpo. Come organizzazione e compattezza, si avvicinavano alle falangi macedoni. I giapponesi, invece, combattevano diversamente.

Innanzitutto cercavano di attaccare per primi e impetuosamente, come mostra l’esempio di Minamoto Yoshitsune. La formazione d’assalto era piuttosto libera, e talvolta non sottostava a nessuna struttura prefissata. La spada del samurai si rivelava un’arma molto evoluta e micidiale, ma non tutte le strategie ne consentivano l’uso. I mongoli scagliavano frecce avvelenate, e preferivano non entrare in collisione con il nemico. Simulavano ritirate, per aggredire a tradimento i loro inseguitori. […] Tutte queste componenti giocavano a sfavore dei giapponesi. Ma il vero motivo delle disfatte era un altro: la sottovalutazione del nemico. Tsushima fu difesa da una sparuta compagine. Con certe premesse, l’esito di tante battaglie non era da biasimare.

(Leonardo Vittorio Arena, ed. 2009, Samurai – Ascesa e declino di una grande casta di guerrieri, Mondadori Oscar storia, p. 85)

Ecco quindi che la tematica dell’onore samuraico diventa uno dei fondamenti di Ghost of Tsushima. Il videogioco di Sucker Punch ruota tutto intorno all’onore e alla necessità di adattarsi. Chiaramente, considerando l’anno di ambientazione sarebbe stato anacronistico parlare di “shinobi”, dunque il contrasto portato in scena dal gioco è appunto quello tra chi è disposto a seguire le regole fino alla morte e chi adotta uno spirito più pragmatico, non capendo che però così rischierebbe di rinnegare quegli stessi valori che dice di proteggere insieme agli innocenti.

A fare da contraltari di queste due concezioni dell’onore sono appunto Jin e suo zio Lord Shimura, e la loro diversa visione della medesima medaglia sarà all’origine di un “elefante nella stanza” che si tramuterà in conflitto strisciante.

Oltre che nei panorami e nei colori, è proprio su questo tema dell’onore che si concentra maggiormente il tributo di Ghost of Tsushima ad Akira Kurosawa. Abbiamo già visto come i Sucker Punch non abbiamo mai fatto mistero dell’ammirazione nei confronti del grande regista nipponico (e qui trovate un approfondito speciale sul tema). Ma allo stesso tempo, pur se completamente in buona fede, con tutta probabilità hanno dovuto anche glissare sui temi sottesi di Kurosawa.

Il regista, infatti, aveva cercato ai suoi tempi di demolire il mito del samurai e il suo stereotipo che si sarebbe poi diffuso presso il pubblico occidentale. Da qui l’idea di un personaggio come Kikuchiyo, il samurai contadino de I Sette Samurai nonché fortunata invenzione simultanea al nostro Brancaleone, il cavaliere straccione di Vittorio Gassman e Mario Monicelli.

Lo Spettro e il vento divino

Ma dove la storia di Jin Sakai avrà una sua conclusione (che ovviamente non vi spoilereremo), la fine dell’invasione mongola del Giappone è tranquillamente riportata da tutti i libri di storia. Alle sconfitte iniziali i giapponesi reagirono con una resistenza ad oltranza. Gli invasori fecero un grosso errore di valutazione, accecati dall’idea di completare l’occupazione di Tsushima in poco tempo. La strenua resistenza della popolazione consumò le loro risorse molto in fretta (cosa che il gioco accenna lasciando intendere che potrebbero esserci “altri Spettri” oltre a Jin). I mongoli decisero quindi di ritirarsi dalle isole, quando si verificò il primo dei “prodigi”: la loro flotta fu gravemente danneggiata da un uragano, che trascinò tredicimila guerrieri al naufragio.

Tuttavia, non è questo l’evento da cui sarebbe nato il termine kamikaze, ovvero vento divino. Kublai Khan infatti tentò una seconda volta l’invasione, nel 1279. Le forze che si portò dietro erano ben più grandi, forte com'era della conquista della Cina meridionale.

Stavolta i giapponesi erano preparati e la resistenza fu ben più agguerrita rispetto a cinque anni prima – ma stavano affrontando solo l’avanguardia: quando sarebbe arrivata la flotta completa di Kublai, composta da più di 4400 navi, non ci sarebbe stato scampo. E fu lì che avvenne il miracolo: un gigantesco tifone spazzò via la flotta degli invasori.

Le due sconfitte mongole furono dovute da un lato all’agguerrita resistenza giapponese, dall’altro dal fatto che Kublai si era affidato a truppe cinesi e coreane, soggiogate di recente, le quali avevano ben poco interesse nella causa mongola. Tuttavia, anche i due uragani ebbero un’influenza notevole sull’esito delle battaglie. Quei venti provvidenziali furono battezzati shinpu o kamikaze, letteralmente «vento divino»: i giapponesi credevano infatti che la propria fosse la terra degli dei, e godesse della loro protezione.

(Kenneth G. Henshall ed. 2010, Storia del Giappone, Mondadori Oscar storia, pp. 63-64)

La combinazione di fortuna, agguerrita resistenza ed errori di valutazione degli avversari permise quindi al Giappone di resistere all’invasione. In questo senso comunque le isole del Sol Levante non se ne andarono mai dalla mente di Kublai Khan, il quale programmò altri tentativi (mai concretizzatisi) fino alla sua morte nel 1294. Dopo di lui i giapponesi non ebbero più nulla da temere dai mongoli, ma era già tempo di altri problemi: gli enormi costi della difesa avevano infatti prosciugato le finanze dello shogunato Hojo, che si ritrovò a non mantenere le promesse di ricompense e beni per chi aveva rischiato la vita nelle due guerre. Il malcontento sarebbe poi esploso meno di trent’anni dopo, con la salita al potere dell’imperatore Go-Daigo (1288-1339). Chissà se tutti questi stravolgimenti futuri non possano essere proprio il punto di partenza per un ipotetico Ghost of Tsushima II, magari ambientato proprio durante la seconda invasione mongola.

Conclusione: un ribaltamento di idealizzazioni

Infine, l’ultima cosa da dire riguardo Ghost of Tsushima è come sia al centro di un curioso ribaltamento. L’ispirazione alla cinematografia e alla produzione di intrattenimento a tema antico Giappone ha infatti prodotto una rappresentazione molto particolare di quell’epoca. Un’idea di Giappone antico che appare sostanzialmente ingenua, nonché talvolta spinta verso un romanticismo stereotipato.

Tutto vero, ma è anche qualcosa che nei videogiochi abbiamo sempre visto: se lo percepiamo così tanto con Ghost of Tsushima è perché finora era successo per la maggior parte delle volte solo a parti invertite. Basta ripensare a tutti quei videogiochi a ispirazione occidentale ma prodotti da giapponesi per capire come anche loro abbiano un’idea “patinata” di quello che per loro è l’altra parte del mondo. Invece di un videogioco occidentale realizzato da giapponesi, ecco che degli occidentali hanno fatto un videogioco giapponese.

Tutto questo perché Ghost of Tsushima è un videogioco che, prima di tutto, è fatto con passione. E la sua non è una passione solo tecnica, ma prima di tutto un grande omaggio a quello che l’immaginario collettivo definisce il “giapponese”. Ma di nuovo, esattamente come i giapponesi hanno fatto negli anni con l’Occidente, ecco che l’avventura di Jin assume i tratti della lettera d’amore al genere jidaigeki e ai film di samurai, dai suoi panorami ai suoi valori immortali, fino alla sua stessa decostruzione. Un grande tributo in movimento, che trova in se stesso piena realizzazione.

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