La censura e Catherine: c’è, non c’è o non serve?
Una riflessione sul recente giro di vite di Sony, intrapreso a seguito di recenti fatti di cronaca.
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a cura di Adriano Di Medio
Redattore
Informazioni sul prodotto
- Sviluppatore: Studio Zero (Atlus)
- Produttore: Atlus
- Piattaforme: PS4 , SWITCH , PSVITA
- Generi: Puzzle game
- Data di uscita: 3 settembre 2019 - 7 luglio 2020 (Switch)
Nell’appena apertosi 2019 vedremo tornare sulla scena un videogioco che, nel lontano 2011 (2012 per l’Europa), fu qualcosa di più unico che raro. Stiamo chiaramente parlando di Catherine, il puzzle-game ibrido di Atlus che il 14 febbraio (data non casuale) è uscito su attuale generazione con la remaster plus Catherine Full Body. Per chi ai tempi ha avuto modo di giocarlo o più semplicemente di dargli una possibilità tale notizia fu una gradevole sorpresa qualche mese fa, ma allo stesso modo si sono susseguite indiscrezioni impaurite sul fatto che il gioco potesse subire qualche forma di “censura” in tale ripubblicazione, specialmente per l’ingerenza di Sony. Da questo spunto, proviamo a indagare.
Pecorelle smarrite…
Ancora non sappiamo quando sarà distribuito in Occidente Catherine Full Body: quella del 14 febbraio 2019 è infatti la data giapponese. In ogni caso tra i dettagli che sono stati resi noti c’è il fatto che questa riedizione aggiungerà un nuovo ramo alla trama del gioco Atlus, introducendo una “terza Catherine”. Con o senza essere al corrente dell’intreccio e dei possibili finali della storia (che sarebbe imperdonabile svelare) quello che rimane impresso di Catherine è la sua atmosfera, un perfetto amalgama tra l’occulto, l’horror e l’erotico. Quest’ultima caratteristica è ovviamente quella che a livello “quotidiano” è stata la parte più attrattiva della creatura di Atlus. Ma la trovata cardine degli sviluppatori è stata quella di impiegarla non come mezzo “magnetico” fine a sé stesso, ma come perfetto “cavallo di Troia” per introdurre nel mondo videoludico una rappresentazione sorprendentemente realistica della psicologia maschile giovanile, ovvero dai venticinque anni alla fine dei trenta.
Ma lo svantaggio di un simile modus operandi è che molti guarderanno il cavallo di legno senza vedere cosa c’è dentro. Molto pubblico ai tempi si fermò all’apparenza più “pruriginosa” del titolo, credendo che fosse un videogioco in cui l’ingrediente sessuale era preponderante. In realtà così non è, e Catherine è sorprendentemente “casto”. Un contrasto alla sua stessa situazione storica, in quanto la settima generazione fino a quel momento aveva provato a sdoganare la componente erotica nel videogioco. Catherine invece addirittura evitava di mostrare “contenuti espliciti” anche in scene in cui sarebbe stato perfettamente lecito farlo. Anzi, Atlus aveva costruito un universo narrativo sì “adulto” e “cruento”, ma che non mancava mai di fare autoironia.
… O stiamo vedendo il lupo dove non c’è?
Le paure su Catherine si sono susseguite a seguito di un deciso cambio di rotta da parte di Sony. L’inventrice di PlayStation ha infatti recentemente applicato un giro di vite riguardo la natura dei contenuti da pubblicare su PlayStation 4, tanto sul digitale quanto sul fisico. È notizia recentissima che gli sviluppatori dei Senran Kagura hanno dovuto ritardare l’uscita del loro ultimo lavoro per togliere la modalità in cui era possibile scambiare effusioni virtuali con le varie ragazze del cast. La paura per Catherine stava nel fatto che Sony avrebbe potuto mettersi a sindacare anche sull’imminente riedizione Full Body. La risposta di Atlus non si è fatta attendere: gli sviluppatori hanno detto che non ci saranno censure di alcun tipo perché loro per primi si sono spinti fin dove era lecito, ma non un millimetro di più.
D’altro canto chi l’ha giocato ha visto come i contenuti dell’originale Catherine non presentassero niente di veramente “censurabile”. Tanto che pure la valutazione che il PEGI fece nel 2011 non presentava il simbolo dei contenuti sessualmente espliciti (erano presenti quelli di “violenza” e “linguaggio scurrile”). Tuttavia il fatto che si sia tutto a un tratto diffusa una simile condotta in Sony è qualcosa di ancora un po’ inspiegato e inspiegabile, anche visto il considerevole laissez-faire adottato fino a neanche dodici mesi fa. Basti pensare che appena l’anno prima all’originale pubblicazione di Catherine (2010) God of War III mostrava Afrodite in topless, Bayonetta si contorceva acrobaticamente contro gli angeli e David Cage arrivava nel suo Heavy Rain a una scena di sesso assolutamente non fine a sé stessa. E ancora prima Gloria in Devil May Cry 4 (2008) esibiva una flessuosità in pieno stile female power fantasy. E dulcis in fundo, ancora più recentemente Grand Theft Auto V di Rockstar mostra parodisticamente strip-club e balletti “privati” con inclusi topless e movimenti equivoci.
Da un lato all’altro
Nei fatti, basta guardare ad appena qualche anno fa per evidenziare uno strano “scambio di rotta”. Nelle generazioni precedenti la casa più “severa” sui contenuti da ospitare non era Sony, bensì Nintendo. Il controllo dei contenuti e le operazioni di auto-tutela attuate su Wii e WiiU sono rimasti proverbiali, dall’impossibilità di comunicare liberamente tramite i servizi online ai moltissimi videogiochi respinti appunto perché giudicati troppo “oltre”. Tanto che quando ne appariva qualcuno di questo tipo (come lo stilizzato e tagliente MadWorld) finivano col rappresentare più che altro eccezioni che confermavano la regola. Le procaci lottatrici di Dead or Alive avevano subito pesanti censure su 3DS, ma del resto tale serie è da sempre un po’ nell’occhio del ciclone. Anche senza andare troppo lontano con gli anni, basti pensare che Nintendo nella remaster di Dragon Quest VIII uscita su 3DS nel 2017 modificò persino i costumi, non tollerando che la rossa Jessica potesse indossare bikini o guêpière troppo scollati. Tutte cose che invece Sony aveva tranquillamente lasciato correre dieci anni prima su PlayStation 2.
Una risposta “ufficiale” alla questione è arrivata a ottobre dell’anno passato, quando il presidente di Sony Japan e Asia Atsushi Morita ha detto che tali cambiamenti nelle politiche sono per aderire ai nuovi standard globali. Evidentemente Sony ha ricevuto polemiche non abbastanza grosse da arrivare alle orecchie del resto del mondo, ma comunque verificatesi e fonte di preoccupazione. Come contraltare c’è da dire che il panorama dei videogiochi recenti si era preso un bel po’ di libertà, dagli atteggiamenti equivoci alle modalità e alle estetiche fin troppo sessualizzate e provocanti oltre il banale fanservice. Senran Kagura è quello più recentemente finito sotto i fari di scena, ma basta pensare al genere maid o ai contenuti tagliati della serie Yakuza per farsi un’idea. Tra l’altro per quest’ultima saga i tagli alle versioni occidentali erano stati giustificati perché il materiale tagliato era stato giudicato come “incomprensibile” da un pubblico differente da quello giapponese. Con il paradosso finale a chiudere: dalla versione PS4 di Dead or Alive Xtreme 3: Scarlet verranno rimossi due oggetti “discutibili” (una lozione per “ammorbidire le forme” e un ventaglio che volendo poteva essere usato per alzare gonnelle). Il paradosso non è tanto che tali oggetti fossero presenti nelle versioni precedenti per PS4 e Vita, ma che saranno tranquillamente accessibili nell’edizione per Nintendo Switch.
Alla fine dei conti, come pensare il “discorso censura” affermatosi negli ultimi mesi e tornato su in funzione di Catherine? È un quesito al quale non possiamo dare una risposta definitiva, non fosse altro che si tratta di un concetto in continuo cambiamento ed evoluzione. Cose che per i tempi erano scandalose oggi sono assolutamente normali, e viceversa. Certo è che questo 2019 si avvia ad essere uno degli anni più “attenti” e “puntigliosi” in questo senso. Badate: non stiamo assolutamente dicendo che i principi di tutela di quelle identificate come “fasce deboli” siano sbagliati, tutt’altro. Quello che purtroppo potrebbe accadere (e che abbiamo già visto accadere in questi anni, in molti altri mass media) è che si parta da un principio sano per poi imporre (o auto-imporsi) decisioni arbitrarie a tutto il pubblico, anche a quella parte che invece sa utilizzare il medium in modo corretto. Forse stiamo solo vedendo il prurito lì dove non c’è.