Kingdom Hearts II | XIII anni dopo
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a cura di Adriano Di Medio
Redattore
Informazioni sul prodotto
- Sviluppatore: Square Enix
- Produttore: Square Enix
- Distributore: Halifax
- Piattaforme: PS4 , XONE
- Generi: Gioco di Ruolo
- Data di uscita: 29 gennaio 2019
Il 29 gennaio 2019 uscirà finalmente Kingdom Hearts III. Dopo Duke Nukem Forever e The Last Guardian, questo videogioco è l’esempio per antonomasia di quelle opere talmente rimandate da essersi quasi meritate il destino dell’incompiutezza. Se tralasciamo infatti i prequel e i vari capitoli di raccordo spalmati sulle portatili di ieri e oggi (solo recentemente riuniti grazie alle Collection) per un capitolo “maggiore” della saga di Tetsuya Nomura dobbiamo tornare indietro al 2006, con Kingdom Hearts II. Ma nonostante Square-Enix e Disney siano dovute ripartire proprio da quest’ultimo per costruire l’imminente (grandioso?) epilogo, in che condizioni tale avventura “maggiore” di Sora, Paperino e Pippo è giunta ai giorni nostri? È quello che vogliamo indagare in questo speciale.
Passi avanti, in conciliazione
Innanzitutto dobbiamo capire cosa è stato Kingdom Hearts II. Uscito su PlayStation 2 in Giappone a fine dicembre 2005, in America a marzo 2006 e in Europa a settembre dello stesso anno, prima di tutto doveva essere “più grande” e “migliore”. Il primo Kingdom Hearts era stato ben accolto dalla critica e soprattutto dal pubblico, ma si vedeva tutta l’inesperienza di Square nello sviluppo di un action-RPG. La rigidezza di interazione con l’ambiente si sommava a un protagonista ancora troppo legato nei movimenti, il tutto unito a una trama dall’accezione prepotentemente “orientale” e “manichea” nella sua netta separazione tra Luce e Oscurità. Dopo un ulteriore tentativo con il capitolo di raccordo Chain of Memories (da noi rimasto per decenni confinato al solo Game Boy Advance) la nuova incarnazione su console casalinga doveva rispondere a molte domande e slegarsi dalle corde di gameplay che si era autoimposta alla nascita. E, a scanso di equivoci, ci riuscì appieno.
L’azione raggiunse una fluidità prima solo sperata grazie ai Comandi di Reazione: gesti contestuali da effettuare con la pressione del tasto triangolo quando compariva a schermo e sul menu dei comandi. La trovata fu tanta e tale che non solo poté essere impiegata anche fuori dai combattimenti (ad esempio parlare con gli NPC o fare acquisti), ma è finita col divenire un vero e proprio segno distintivo della saga, immancabilmente riproposto in ogni successiva incarnazione. A livello di trama, nonostante le premesse di fondo siano ancora le stesse dell’originale (un altro viaggio tra i mondi di Sora, Paperino e Pippo alla ricerca di Riku e di Re Topolino) Kingdom Hearts II non solo espandeva l’universo narrativo, ma chiariva molti punti oscuri dei precedenti capitoli e dello stesso Chain of Memories. Lo stesso protagonista diventava più maturo, sviluppando concretamente il senso della giustizia che poi lo renderà famoso. Parimenti il debutto e ritorno di personaggi originali come il malinconico Roxas e la dolce Naminé dava più forza alla vicenda, allontanandola dall’attrattiva basica di “esploriamo i mondi dei classici Disney famosi”. Senza poi dimenticare che Kingdom Hearts II è ad oggi (almeno finché non uscirà il III) l’unico episodio della saga che non si chiude con un cliffhanger o sospendendo gli eventi. Anzi, epilogo a parte poteva benissimo fungere da conclusione.
Mondi in convergenza
Nei fatti, la capacità con cui Kingdom Hearts II tratteggia figure e personalità è in grado di lasciare basiti a prescindere dagli anni. Oltre ai già citati Roxas e Naminé, è negli antagonisti dell’Organizzazione XIII che viene fatto un grande lavoro. I misteriosi incappucciati che stanno ingannando Sora hanno delle personalità così definite che si arriva, se non a simpatizzare, quantomeno a comprendere i loro motivi. Oltre al loro capo Xemnas a fare la parte del leone sono il rosso Axel, prima spia-sicario e poi pentito alla ricerca di un amico brutalmente strappatogli, fino all’ambigua figura di Ansem il Saggio. Ciò è possibile anche grazie a un cast vocale di alta caratura, che recupera per quanto possibile le voci originarie per i personaggi Disney e Final Fantasy e riconferma le scritture “storiche” per i protagonisti. Da segnalare la potente voce di Christopher Lee (Saruman de Il Signore degli Anelli, all’epoca ancora vivo) su Ansem il Saggio, anche se non è l’unica delle voci “celebri” presenti.
Dove i personaggi di Final Fantasy vengono collocati in mondi originali e si approfittava per introdurne qualcuno “nuovo” per il brand, l’attrattiva di fondo per molto pubblico è sempre quella per i mondi Disney. Come il predecessore, Kingdom Hearts II li colloca tutti in un universo “comune”, seppure le storie siano tutte individuali e fedeli ai classici da cui sono tratti. Anche oggi è un piacere vedere la cura pedissequa con cui ciascuno ricrea le vicende del film originale, inserendo qua e là piccoli riferimenti che ne contestualizzino la presenza nella trama generale del gioco. Purtroppo però non si può non notare come la rievocazione sia un po’ irregolare. Mondi come il Castello della Bestia, il Monte Olimpo, il Fiume Senza Tempo, Port Royal e Space Paranoids (tratto dal film Tron) sono ispiratissimi, mentre altri come la Terra dei Dragoni e le Terre del Branco appaiono troppo “vuoti”. Ve ne sono poi alcuni (Atlantica) paradossalmente velleitari. La colonna sonora di Yoko Shimomura, seppur bellissima, riesce a coprire solo in parte.
Il Regno dei Cuori, oggi
Ma a fronte degli oggettivi miglioramenti alla formula, in che condizioni Kingdom Hearts II è arrivato ai giorni nostri? Meglio di quanto fosse lecito. La grafica ha retto bene: le ambientazioni pastello trasmettono un solido calore familiare (al contrario di Dream Drop Distance) e ancora adesso si rimane piacevolmente stupiti dalla messa in scena. Il gioco infatti abbonda di scontri e momenti memorabili, dai combattimenti contro mostri giganti a vere e proprie scene di massa. Queste ultime, pur costrette dall’hardware originario a qualche stratagemma scenografico, sono un piacere da giocare anche dopo tredici anni. Ma senza scomodare i momenti “clou”, anche in condizioni normali l’azione è sinceramente spettacolare. La pioggia di effetti visivi e la creatività con cui si immergono nel contesto Disney sarà probabilmente superata solo da Kingdom Hearts III.
Il problema sta nel fatto che Kingdom Hearts II è un videogioco talmente immerso nel proprio contesto (anche storico e culturale) da portarsi dietro rigidezze e “trucchi” a cui ormai non siamo più abituati. Le aree da esplorare sono veramente piccole (con anche caricamenti, più o meno estesi a seconda di che edizione avete), c’è un continuo scambio di modelli dei personaggi (quelli con labiale e animazioni facciali sono utilizzati solo per i primi piani) e la narrazione è eccessivamente sezionata. La sceneggiatura alterna in continuazione filmati con recitazione vocale a momenti puramente testuali, con i dialoghi piazzati in classiche “nuvolette”, che pur essendo di necessità virtù rallentano incredibilmente il ritmo. Con picchi grotteschi: saltare dialoghi e scene di intermezzo fa calare vistosamente le ore totali dell’avventura, fin quasi a dimezzarle.
Ugualmente sono presenti le “abitudini” strutturali dei videogiochi di ruolo degli anni Duemila, come l’affidarsi alla casualità per ottenere certi oggetti rari e una buona dose di grinding e farming; c’è comunque da specificare che il “salire di livello” ha un’importanza solo relativa. Per molti saranno solo difetti marginali, ma ci portano a quello che forse è l’unico vero “punto controverso” del gioco: la difficoltà. L’azione è così dipendente dai Comandi di Reazione che a livello normale la sfida è davvero bassa, col risultato che a volte è sufficiente accanirsi sul tasto di attacco per vincere. Era e rimane un peccato, perché la gestione di equipaggiamenti e abilità è di invidiabile accessibilità e con le giuste combinazioni si possono fare virtuosismi notevoli. A parte la notevole sfida della Modalità Critica (introdotta nell’edizione Final Mix) il gioco si riprende da un simile livellamento solo durante le battaglie con i membri dell’Organizzazione XIII e con i superboss di endgame e post-game (la Volontà Residua di Terra è a prescindere tremendamente difficile). Completano il tutto delle sezioni con la gummiship diventate con gli anni piuttosto insipide.
Kingdom Hearts II è arrivato al 2019 in maniera controversa. A fronte di un’indole straordinaria e di una grafica che ha retto bene l’invecchiamento, l’opera di Square e Disney è saldamente ancorata a un modo di pensare e narrare che ormai non c’è più. All’uscita Kingdom Hearts II pareva aver capito solo a metà che il suo pubblico era cresciuto, finendo con l’infilare una trama profonda in una struttura troppo semplicistica seppur spettacolare. Eppure, pure con questi difetti l’importanza storica che questo videogioco ha avuto è oggi se possibile ancor più dirompente di quanto non fu nel 2006. La naturalezza con cui l’opera di Nomura prima fonde mondi lontanissimi e poi combina temi universali con storie grandi e piccole è disarmante, così come la cura con cui tratteggia personaggi e situazioni irreali ma riconoscibili. Ancor prima che punto di partenza concettuale del terzo capitolo, Kingdom Hearts II è una svolta nella sesta generazione di videogiochi, da giocare prima di tutto per cultura personale.
Voto Recensione di Kingdom Hearts III - Recensione
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