Non riuscivo a capire cos'avesse di speciale. Le mie riviste di videogiochi preferite parlavano di Final Fantasy VIII e ne tessevano le lodi, ma io ero troppo piccola per riuscire a mettere insieme in modo corretto i significati di "gioco di ruolo alla giapponese con combattimento a turni". Misurarmi con le sue pagelle, però, mi incuriosì: poche volte avevo visto dei "10" alla fine delle recensioni firmate dai miei redattori preferiti.
Sarà un gioco perfetto? mi domandavo. E, soprattutto, visto che già all'epoca i videogiochi richiedevano un certo esborso – ancora di più, se devi ancora compiere undici anni – sarà un gioco per me? E se non mi piace? Io non so niente, di "giochi di ruolo alla giapponese con combattimento a turni".
Alla fine Final Fantasy VIII ci finì, dentro la mia casa. Me lo prestò un caro amico, nella versione fresca d'uscita per PC. Era il 2000 e quella fu la mia prima volta con la saga Final Fantasy. E, non c'è nessun dubbio al riguardo, fu sicuramente anche la vostra.
Final Fantasy VIII vent'anni fa
Giocandoci su PC ebbi, probabilmente, in alcuni dettagli un'esperienza differente da quella di chi lo visse prima di tutto su PlayStation – dove lo recuperai dopo, quando il prestito dell'amico era finito ma io non volevo dire addio a quel mondo. Ricordo, ad esempio, che su PC fosse possibile accedere al Chocobo World, il mini-gioco del Guardian Force Boko che richiamava una sorta di tamagotchi in salsa Chocobo.
Di Final Fantasy VIII mi affascinò prima di tutto l'introduzione. Non avevo idea di cosa millantassero i cori di "Liberi Fatali", ma l'epicità espressa da quell'insieme, l'espressività dei modelli dei personaggi in CG (ma una bambina di undici anni di CG che ne vuole sapere?) e l'urgenza della gestualità di Squall e Seifer durante lo scontro mi dicevano che questo videogioco era avanti. Amavo Metal Gear Solid, un gioco dove dovevo immaginare i volti dei personaggi o al massimo vederli al codec, e quei video in computer grafica di Final Fantasy VIII sembravano semplicemente visionari.
Lo sembravano anche quegli sfondi pre-renderizzati che mi fecero desiderare di frequentare una scuola «bella come il Garden di Balamb». Immaginerete che le scuole medie del mio paesello isolano non avessero esattamente lo stesso stile e non abbondassero di laghetti rilassanti o giardini in cui far riposare la mente.
Avevo saltato a pie' pari Final Fantasy VII – a chi ha dieci anni, a malapena, alla fine degli anni Novanta, possiamo concedere di non sapere molto di inglese – e anche per questo finii pienamente nel target immaginato da Squaresoft: quelli che sarebbero rimasti stupiti da un design dei personaggi più realistico, oltre che semplicemente ed essenzialmente bello, che abbandonava lo stile deformed o semi-deformed per proporre richiami e proporzioni vicini al mondo reale.
Squall, Rinoa e compagni non sembravano più "personaggi finti". Erano come le persone vere, di tutti i giorni. Infinitamente più belli, questo lo concediamo, ma reali, tangibili.
Più di vent'anni dopo, che succede?
Sorprende poco, allora, partendo da queste basi, il fatto che praticamente consumai i quattro dischi di gioco di Final Fantasy VIII. Esplorai ogni segreto, avevo un PC con connessione internet e all'epoca fioccavano i siti di fan che consigliavano strategie, svelavano segreti, raccomandavano le migliori tecniche e Junction per sconfiggere Ultima Weapon e Omega Weapon.
Il mondo di gioco di FFVIII mi sembrava straordinariamente ricco e pieno di possibilità. Da una certa parte del CD 3 in poi potevo davvero girarlo tutto, volare dove mi pareva e atterrare dove più mi andava. Fu vero amore, quasi con tutto. Complice anche il fatto che la prima volta non si scorda mai, alcuni dei difetti del gioco passarono completamente in secondo piano, nella mia esperienza: uno su tutti, una narrazione fatta di cerchi concentrici che si susseguono ma non sempre allineandosi, sorretti e messi insieme però da una memorabile caratterizzazione dei personaggi principali.
È per tutti questi motivi che, qualche giovedì fa, ho deciso di dedicare l'appuntamento del RetroGiovedì sul nostro canale Twitch – quello dove riviviamo giochi vecchi, perché vecchi siamo, su – a rivivere le prime battute di Final Fantasy VIII in vostra compagnia. È venuto fuori un appuntamento pieno di ricordi da tutti coloro che hanno partecipato in chat e, ancora di più, è venuta fuori la voglia di trovare una trentina di ore da incastrare alla mia routine per rigiocarlo.
Una cosa che ho fatto davvero di rado e probabilmente solo con il decimo episodio, il mio preferito, e con il sesto, che poi recuperai: rigiocare da cima a fondo un intero Final Fantasy. Armata di Nintendo Switch e complice il fatto che Final Fantasy VIII Remastered introduca alcune importanti migliorie nella quality of life – una sua tutte, la velocità x3 che evita i lunghi tempi morti di ingresso e uscita dalle battaglie casuali – mi sono messa l'uniforme da SeeD e sono partita alla volta di Balamb.
Quello che ho trovato mi ha sorpresa, perché si vede proprio che sono passati vent'anni. Ma non solo per Final Fantasy VIII.
Final Fantasy VIII e quello che non è cambiato, dopo vent'anni
Il Triple Triad è un gioco-nel-gioco straordinario. Il percorso metaludico di questo gioco di carte, all'interno di Final Fantasy VIII, rimane affascinante anche nel 2021 e se avete tempo da dedicargli aggiunge tante ore al contatore dei vostri giorni trascorsi tra Galbadia, Centra e zone attigue. Ingegnarsi per trovare le carte più rare, per scoprire i membri segreti del Trepe Fan Club, districarsi tra le regole che rendevano tutto più complicato: il fascino di tutto questo è straordinariamente immutato.
Sono diverse, in realtà, le cose che ho ritrovato esattamente come le ricordavo vent'anni fa: la caratterizzazione dei personaggi che riesce a fare da collante e da magnete molto di più dell'intreccio che li vede lottare contro la mitologica figura della strega, ad esempio. Il senso di urgenza dato dai turni in tempo reale per cui sai che, mentre stai decidendo cosa fare, il nemico potrebbe agire prima di te. La volontà di darsi al grinding più selvaggio, che purtroppo o per fortuna non è stato corretto.
Alla prima run era difficile accorgersene, ma tornando dopo su Final Fantasy VIII, da smaliziati, era facile notare che mettendo insieme abilità come ElbMag, Assimila e i punti AP a iosa che era possibile ottenere combattendo sulla spiaggia di Balamb, si finiva con l'avere presto accesso a magie troppo potenti (Idro in Junction FRZ prima dell'esame SeeD ed Energiga in Junction HP subito dopo, ad esempio), con il risultato di "rompere" la sfida del gioco. Con la consapevolezza di oggi è quasi impossibile non farlo, perché non stai barando o rubando: ti stai solo migliorando legittimamente, anche se succede troppo in fretta.
Così in fretta, che tutte le strategie e le unicità dei boss che ho affrontato in questa nuova run finivano appiattite dal fatto che "sono così forte che se tiro fuori tre Renzokuken ti faccio fuori". È andata così anche con il boss finale e ormai la cosa è un po' un marchio di fabbrica del gioco, dove il sistema di Assimila della magia ha comunque un suo fascino: di fronte a ogni nuovo nemico, oggi come vent'anni fa, è impossibile non correre subito a vedere quali nuovi incantesimi sarà possibile rubacchiargli.
Allora, a fronte di un gioco che mantiene intatti molti dei suoi pregi e anche le sue ingenuità, a colpirmi non sono stati i momenti da ritorno a casa in cui ho ritrovato quello che mi aspettavo, ma quelli in cui mi sono accorta di quanto vent'anni di evoluzione del videogioco – e dell'individuo – cambino le percezioni.
1999 vs 2021
A volte non riusciamo a renderci conto di quanto siano cambiati ed evoluti, davvero, i videogiochi, senza darci un'unità di misura. Immaginiamo che quest'unità di misura sia Final Fantasy VIII. Parliamo di un videogioco che, nel 1999, è sulla cresta dell'onda: una storia epica, una grande longevità, un mondo da scoprire straordinario, tanti segreti da svelare. Un'opera diventata di culto, un classico dei JRPG ai tempi d'oro delle tre dimensioni, che per fortuna anche i più giovani possono riscoprire con le sue rimasterizzazioni.
A sorprendermi è stata però proprio l'unità di misura di cui dicevo: mi sono resa conto di quanto siano cambiati i videogiochi nel giro di vent'anni quando ho notato che nella mia mente era rimasta come la percezione che quello di Final Fantasy VIII fosse un open world simile a quelli odierni, cosa che non era. Oggi i mondi di gioco sono perfino troppo grandi, dispersivi: quello di FFVIII era grande il giusto e, diciamocelo pure, al timone della Laguna Rock era in realtà abbastanza minuscolo. E, soprattutto, è un mondo che esiste in funzione di Squall.
Da bambina mi sorprese in modo straordinario il poter prendere il mio party, la mia aeronave e decidere di tornare a Balamb, a Deling, a Dollet: mi dava una straordinaria sensazione di libertà. Vent'anni dopo ho percepito invece in modo molto più netto che, all'infuori di quella narrazione per cerchi concentrici a cui accennavo e di piccoli easter egg qua e là, in quel mondo a cui tornare liberamente non succede un granché.
È statico, un insieme di scenari concatenati dove chiacchierare con NPC che raccontano qualche piccolo dettaglio curioso. Capiamoci: è legittimamente statico. Era già straordinario che ci fosse, quel mondo, nel 1999. È solo curioso vedere oggi quanto la cosa sembri evidente, quasi accecante, rispetto a quel senso di meraviglia del 1999: sono tornata a Balamb, ho parlato anche con la Regina delle Carte, ma che altro faccio? Niente, perché non succede niente.
È una sensazione, quella di unità di misura dell'evoluzione del concetto di free roaming e di mondo a suo modo aperto, che in FFVIII ho vissuto molto anche in alcuni dungeon. Da bambina passavo pomeriggi interi a sbloccare tutte le abilità congelate dalla malvagia strega nel (meraviglioso) dungeon finale. Questa volta, nel giro di venti minuti avevo fatto tutto e ci stavamo già prendendo a sberle e limit break. Ho trovato quindi una differenza netta nella percezione della grandezza – intesa in senso letterale, di pure dimensioni fisiche – dell'universo di Final Fantasy VIII, che mi ha detto in modo più chiaro di qualsiasi altro quante ere geologiche vivano e superino i videogiochi nel giro di vent'anni.
Da inguaribili nostalgici, ci diciamo spesso che un tempo i giochi erano più belli. Sono uscita da questo viaggio partito da Balamb, ancora bellissimo da spolpare, con la sensazione che un tempo i giochi erano belli, e oggi siano non certo meni belli – anzi – ma, semplicemente, diversi. Più consapevoli. Abituati ad altri standard che diamo per scontati fino a quando non torniamo nel passato per vedere non da dove siamo partiti, ma che vette avevamo già raggiunto e quanto l'industria sia stata capace di costruire partendo da quelle, anziché sedercisi sopra e godersi il panorama.
L'intimismo di Final Fantasy VIII, quando però hai più di trent'anni
C'è un altro punto che voglio toccare e che è legato proprio alla narrativa di Final Fantasy VIII. Sappiamo tutti, come accennavo in precedenza, che il gioco mette basi molto interessanti nel primo CD, le sviluppa aggiungendo un po' di adrenalina e azione nel secondo CD, per poi partire per una tangente tutta sua nel terzo CD e concludersi nella breve parentesi di compressione temporale del quarto.
Già da bambina trovai che alcune scelte narrative – una su tutte, l'intero filone di Esthar, di chi la amministra, del destino di Tear's Point e dell'origine lunare dei mostri – suonassero un po' come un'accozzaglia di cose che non si allineavano molto bene, ma che davano un pretesto per portare avanti le vicende. E fin da bambina trovai interessanti soprattutto i personaggi, più che l'intreccio che li univa. Rigiocando questo gioco da adulta, la cosa si è fatta macroscopica.
Lo spauracchio della guerra contro la strega, che pure ha un suo fascino finché regge il dilemma morale di Edea e Rinoa come streghe, e quindi sulla carta come nemiche dei SeeD, è troppo volatile e flebile rispetto al fascino esercitato dai legami tra i personaggi. Sono quelli che ti fanno tornare e andare avanti, ed è una cosa che la saga Final Fantasy, soprattutto nei suoi episodi storici, ha saputo fare meravigliosamente bene.
Sembra quasi che, così, Final Fantasy VIII voglia partire dal piccolo e dall'individuale per raccontare il grande – la battaglia contro la strega, la salvezza del mondo, il concetto del tempo. Invece, parte dall'individuale per raccontare il grande, ma dal punto di vista intimistico: la scelta di mostrare i pensieri del protagonista su schermo, per poi far notare che magari non dirà nulla di tutto ciò che ha pensato, o ne dirà forse un decimo, permette di pennellare Squall a 360°, mente compresa.
Sappiamo cosa pensa, cosa prova, cosa lo spaventa. Le grandi cose che narra il gioco sono quelle a misura d'uomo, e sono anche quelle che racconta meglio.
La cicatrice della solitudine. Il mettersi sulla difensiva perché feriti dal non poter controllare la permanenza altrui nella nostra vita. La paura data dal doversi prendere sulle spalle le responsabilità di decidere.
La realizzazione di non poter controllare razionalmente cosa ti stia a cuore e cosa no, come se ci fosse un telecomando. Nell'evoluzione – a tratti repentina – di Squall, nel suo rapporto con Rinoa, nel legame che sviluppa con gli altri membri del party, Final Fantasy VIII tratteggiava un essere umano decostruito e sfaccettato. La battaglia che doveva affrontare fisicamente era un pretesto per vivere quella interiore.
A più di trent'anni, queste sfumature passano ovviamente in modo diverso rispetto a quando si è bambini, motivo per cui raccomando a chi visse il gioco a ridosso degli anni Duemila di provare a concedersi un nuovo viaggio al Garden. E, a rigiocare oggi, ci sono anche messaggi che ti si fanno davanti agli occhi e a cui prima non avevi prestato nemmeno attenzione – o che magari ti irritavano anche un pochino.
È il caso della vicenda di Laguna. Se è vero che alcuni dei momenti a lui dedicati sono uno stacco di punto in bianco e servono anche da puro siparietto da commedia, lo è anche che alla fine della storia il momento probabilmente più emozionante dell'epilogo è proprio il suo. O, almeno, lo è quando hai trent'anni suonati (quasi trentadue, a dire il vero) e, proprio come Laguna, è normale non guardare solo in verticale: Squall e gli altri, alla loro età, guardano soprattutto da oggi a domani. Laguna guarda in orizzontale, al presente, e in verticale vede anche un po' indietro, non solo in avanti. Saluta chi voleva salutare e, a un passo di distanza, ha le persone a cui vuole bene, quelle i cui rapporti ha costruito durante tutta la sua vita. Quelle che rimangono, nonostante tutto, nonostante gli anni e nonostante te.
La risposta migliore, mostrata senza nemmeno dire una parola, alle paure di Squall che sta cercando di capire non come si sopravvive ma come si vive – perché non ha mai vissuto, questa è la prima volta, e non sa come si fa.
In conclusione
È curioso ritrovarsi nel 2021 a parlare di sfaccettature e cosa sia invecchiato (e cosa no) di Final Fantasy VIII. Non so se avrebbe potuto prevederlo la bambina che ci si misurava con innocenza e che trovava quasi magico che qualcuno avesse nascosto nel gioco un'isola nell'angolo della mappa del mondo, dove trovare un certo Bahamut e combattere con Ultima Weapon.
La verità è che rigiocare questo classico dopo tutti questi anni, ripercorrendo le tappe della prima volta con Final Fantasy che tanti abbiamo avuto, ha permesso di aprire tante porte anche e soprattutto sul videogioco e su dove abbia messo gli accenti negli anni successivi.
E le porte aperte non sono mancate anche e soprattutto sull'Io, non poteva essere altrimenti davanti a un titolo che racconta come accettare la vulnerabilità e le mani tese rimanendo nel qui e ora. Final Fantasy VIII fa finta di volervi raccontare come si salva il mondo dalla strega: in realtà dà il meglio di sé quando racconta come lasciarci salvare da noi stessi.
Se volete rivivere un altro grande classico che ha appena compiuto vent'anni, dovreste mettere le mani su Final Fantasy X HD Remaster.