Se GTA 6 fa sparire Red Dead, L.A. Noire e Bully - Speciale
a cura di Paolo Sirio
Informazioni sul prodotto
- Sviluppatore: Rockstar North
- Produttore: Rockstar Games
- Distributore: Take-Two Interactive
- Piattaforme: PS5 , XSX
- Generi: Azione
- Data di uscita: TBA 2025
Siamo di fronte ad uno snodo cruciale nell’esistenza di uno studio e probabilmente di un’intera industria. Il primo rumor attendibile, arrivato ieri, ha confermato di fatto l’esistenza di un piano perché sia GTA 6 il prossimo grande titolo di Rockstar Games, giungendo a destinazione dopo mesi di speculazioni, e spesso illazioni, sia sul tema narrativo che sulle dinamiche della presentazione del gioco.
L’entusiasmo per la raccolta e la segnalazione di una notizia di un simile spessore ha lasciato presto spazio a considerazioni meno idilliache, però, e questo mi ha trovato abbastanza sorpreso; nel riportarvi che, sì, GTA 6 esiste ed uscirà presto o tardi su PC, PS5 e Xbox Series X, mi sono scoperto abbastanza amareggiato dalla scelta di Rockstar – o di chi per essa – di non puntare su qualcosa di nuovo e diverso ma scommettere ancora una volta sul cavallo sicuro vincente.
Ovviamente, mi rendo conto che di quanto questo pensiero sia controcorrente – lo testimonia l’attesa già elevatissima che riscontriamo nelle reazioni ai nostri contenuti dedicati al titolo, anni prima che venga effettivamente annunciato – e io stesso, pur non essendo troppo legato al franchise, pensavo che sarei stato colto da un hype istantaneo per il seguito di quello che ritengo il gioco della passata generazione.
Eppure, c’è qualcosa di sbagliato in tutto questo, e lo spettro di percorsi già intrapresi altrove – forse con successo commerciale ma per il disappunto del sottoscritto e di tanti che la vedono come me – non mi permette di essere felice; c’è il rischio che quello snodo cruciale porti ad una destinazione che non possiamo in alcun modo ritenere auspicale, e comporti cioè che Rockstar diventi la fabbrica di GTA.
La legge dei numeri non salva nessuno
Il fatto stesso che GTA 6 esista sottende all’esistenza anche di ragionamenti portati avanti a livello dirigenziale, dalla proprietà di Take-Two Interactive così come dai vertici di Rockstar Games, sconquassati di recente, non a caso, da un addio eccellente. Ragionamenti del tutto legittimi ma di puro business, che prestano il fianco a diverse criticità e problematiche che potrebbero pagare i giocatori.
Grand Theft Auto è un franchise che vende troppo per essere ridotto ad un’uscita ogni dieci anni, nonostante la gestione della transizione da una generazione all’altra abbia contribuito enormemente al successo di vendite e di incassi, dettati dalle fortune e dal lungo supporto a GTA Online che ha di fatto sostituito il modello delle uscite più piccole e delle espansioni implementato fino a GTA IV.
È naturale, in tal senso, che si chieda di più a questa proprietà intellettuale: i numeri registrati dal 2013 ad oggi sono impressionanti, ma con un quantitativo maggiore di uscite e gestendo il supporto post release con la stessa intensità si sarebbero potuti registrare introiti della medesima portata dal comparto online arricchiti ulteriormente dall’arrivo nei negozi di prodotti da 60-70 euro a copia.
Il problema è che, innescandosi un ragionamento di puro business, Rockstar Games potrebbe non uscire più dalla “fabbrica di GTA”: se parliamo soltanto di incassi, non esiste alcuna proprietà intellettuale dell’etichetta dei fratelli Houser in grado di competere con Grand Theft Auto, ed è soltanto una conseguenza logica il fatto che d’ora in avanti si dovrebbero occupare soltanto di questa serie.
Ciò vorrebbe dire mettere una pietra tombale sulle speranze dei fan desiderosi di saperne di più, e giocarne di più, di franchise sperimentali e affermati come L.A. Noire (Team Bondi), Max Payne (Remedy/Rockstar San Diego), Bully, Manhunt, Midnight Club. Da oggi, insomma, smettano i rumor di circolare in rete e gli appassionati di sperare in qualcosa da questi franchise, perché il focus di Rockstar è ora evidente e non lascia alcun margine di manovra perché queste IP possano tornare presto o tardi.
Per non parlare, chiaramente, di nuove proprietà intellettuali: nell’era PS3, lo sviluppatore ha provato a lanciarne una, Agent, rimediando soltanto la brutta figura di una presentazione raffazzonata e una cancellazione silenziosa, e si è presa in tempi recenti soltanto un rischio creativo, con Red Dead Redemption, che potrebbe rivelarsi esso stesso, ormai, soltanto un investimento una tantum.
Nonostante le vendite ottime, Red Dead Redemption 2 è ben lontano dal successo di GTA V e salvo sorprese non arriverà neppure a sfiorarlo; se questo era prevedibile, forse ci si aspettava di più da Red Dead Online, che nei piani della software house avrebbe dovuto prendere il posto di GTA Online in termini di supporto post lancio e accogliere contenuti al ritmo e delle dimensioni delle espansioni del diretto predecessore.
Questo, è evidente, non è successo perché fin dal lancio Rockstar Games ha visto un’accoglienza abbastanza tiepida – in rapporto alle aspettative, ben inteso – e ha dovuto “ritrattare” sul pensionamento di GTA Online, riportandolo di nuovo al centro del villaggio o quantomeno con un ruolo, inatteso a sette anni dal lancio, di co-protagonista insieme al collega western.
Una conseguenza logica al ragionamento affaristico che sembra essere stato messo in opera è che persino una serie affermata come Red Dead Redemption potrebbe fermarsi qui: perché sprecare, in questo senso, cinque-sei anni di lavoro su un altro franchise che si sa essere per sua stessa conformazione meno remunerativo quando puoi dedicarli a GTA?
L’applicazione delle logiche di mercato, con Grand Theft Auto, è qualcosa che non fa prigionieri e non lascia scampo – a nessuno. Non ci sarà mai alcunché all’altezza, in termini di prestazioni commerciali, di questo franchise, ed è molto probabile che persino GTA 6 non farà registrare le vendite e le entrate dopo l’uscita di GTA V, un caso evidentemente più unico che raro nel panorama dell’industria videoludica.
Presumiamo sia anche per questa ragione, oltre alla necessità di accelerare il passo e avere più copie fisiche “fresche” in circolazione, che dall’alto si stia spingendo per giochi più piccoli – che abbiano bisogno di meno tempo per giustificare un investimento minore – e per l’abbandono della logica del kolossal che tanto bene ha fatto all’etichetta e ai suoi prodotti nell’ultimo paio di generazioni.
Una perdita per Rockstar Games – e per l’industria
La strategia che prevede l’accelerazione del passo sulla serie di Grand Theft Auto potrebbe avere conseguenze letali sotto tutti i punti di vista. Ne abbiamo parlato parzialmente a proposito di Resident Evil, per il quale si prospetta un’annualizzazione delle uscite voluta da Capcom, ma per il caso di GTA quella è soltanto una faccia della medaglia, e forse la meno inquietante delle due.
Diventare una “fabbrica di GTA” vorrebbe dire spingere Rockstar Games a farne di più in un lasso di tempo minore e, per permettere che questa visione si concretizzi, farli più piccoli; è questo ciò che viene del resto suggerito nel report di Kotaku, che suggerisce come le dimensioni del prossimo episodio sarebbero poi destinate a crescere col tempo similmente a quanto avvenuto con GTA Online.
In un nostro articolo sull’argomento avevamo prospettato un futuro del genere per il franchise, ovvero uno scenario in cui la componente multiplayer sarebbe stata preponderante e forse persino dominante rispetto a quella single-player, un coacervo di influenze che sapevamo non avrebbe fatto piacere ai fan del filone tradizionale; quello che si starebbe verificando potrebbe tuttavia essere persino più preoccupante.
GTA è stata una delle prime IP a lanciarsi nel mondo degli open world tridimensionali, e questo segmento si poggia su tre pilastri fondamentali: mondi grandi, mondi densi e mondi credibili. Avere un gioco più piccolo che si debba inserire in tale ramo significherebbe semplicemente non proporre un titolo all’altezza dello standard qualitativo (e quantitativo) impostato dalla serie sin qui e specialmente dopo la buona riuscita di Grand Theft Auto V.
Rockstar Games ha sempre fatto leva sulla qualità della sua narrazione, capace di spaziare dal dissacrante al drammatico leggendo sempre i momenti storici (GTA V con la satira su e gli squilibri del sogno americano ai giorni nostri) e le transizioni dall’uno all’altro (Red Dead Redemption 2 con il passaggio dal vecchio e selvaggio west alla civiltà moderna) e sulla capacità di tratteggiare personaggi sfaccettati, divertenti e profondi.
Ma è innegabile che queste abilità necessitino di mondi che le facciano respirare, e che senza certe dimensioni con ogni probabilità non staremmo parlando dell’iconico franchise nei termini che usiamo oggi. La software house ha alzato notevolmente l’asticella in questo senso nella generazione PS360 e PS4One, e indietreggiare anche di un minimo rispetto a questo standard significherebbe deludere le enormi aspettative riposte dai fan oltre che non vedere riflesse nel nuovo gioco le proprie specificità.
Rockstar è assurta allo status di sviluppatore di primissima fascia negli ultimi anni, insieme ad una manciata di altri team considerati all’apice delle possibilità dell’industria dei videogiochi, e lo ha fatto proponendo un tratto e un modello riconoscibilissimo. Un modello che include sia il contenuto, come vedremo nelle righe di seguito, ma anche la promozione del proprio brand: uscite evento rese tali dalle lunghe attese e assenza dalle fiere di settore sono soltanto due frammenti di un modus operandi unico che impreziosisce l’immagine dello studio e dei suoi titoli.
L’epica, che sia contemporanea o del passato, del kolossal; giochi che trasmettono grandezza dal dettaglio delle animazioni all’area macroscopica, ovvero le proporzioni dei mondi di cui sopra, ed è evidente come accelerare il passo significherebbe quantomeno rischiare di mettere in crisi questi valori.
Sfortunatamente, tali logiche hanno mietuto numerose vittime negli ultimi anni – pensiamo, per fare dei nomi, a Bungie e BioWare, che si sono snaturate (anche più volte) per perseguire un singolo franchise o una rotazione fissa anziché la creatività dei propri talenti – e sono davvero pochissimi i casi in cui le abbiamo visto trasformarsi in esempi virtuosi.
Naughty Dog, una delle poche realtà in grado di rivaleggiare con Rockstar Games per qualità e impatto del prodotto (purtroppo anche per la cultura del crunch, ma questa è un’altra storia), ha dovuto imprimere la scelta shock di lasciare la serie di Uncharted per provare a mantenere il suo standard e non finire in un circolo vizioso che ne avrebbe reso le uscite stantie. Ma parliamo veramente di mosche bianche ora come ora.
Come se ne esce
Questo cambio di strategia è tutt’altro che una sorpresa, e proviene da abbastanza lontano. In tempi non sospetti abbiamo riportato di come Take-Two Interactive, secondo rumor, stesse facendo pressioni a Rockstar Games perché riducesse i tempi di attesa tra un gioco e l’altro, e – pur sollevando dubbi sull’opportunità di certe pressioni – possiamo cogliere come mai venga mossa una richiesta del genere.
GTA 6 uscirà praticamente a dieci anni dal diretto predecessore, e ogni anno che acuisce il gap tra una release e l’altra è un’opportunità di guadagno non sfruttata – e che persino il dolcissimo palliativo di GTA Online non riesce a colmare.
Il tema è molto sentito in Take-Two, al punto che il CEO Strauss Zelnick, in alcune dichiarazioni pubbliche, aveva già anticipato che avrebbe voluto giochi più piccoli ma più frequenti da tutte le etichette del gruppo, pensando anche oltre Grand Theft Auto e in particolare a marchi come BioShock che sono spariti a lungo dalle scene proprio perché ne condividono la realizzazione finora autoriale del “parliamo soltanto quando abbiamo qualcosa da dire”, ovvero creiamo nel momento in cui vogliamo dare forma ad una visione e non perché ci servono soldi.
Appare palese come questo switch avvenuto ai piani alti non sia andato a genio a Rockstar Games o perlomeno ad una sua parte fondamentale: l’addio di Dan Houser, penna dietro GTA V e Red Dead Redemption 2 (giusto per nominarne due), è stato in tal senso chiaro fin da subito nelle sue ragioni, ed è forse il segnale più allarmante di tutta la faccenda – non solo avremo GTA più piccoli ma pure privi della verve di uno dei creatori? – arrivato in tempi non sospetti.
È probabile che, oltre al burnout da straordinari cui per primo si sarà sottoposto e cui abbiamo accennato in alto, Houser abbia avvertito questo cambiamento come un’imposizione che non avrebbe potuto combaciare con la tenuta avuta fino ad ora, e abbia per questo deciso di cambiar aria.
Al di là della perdita (gravissima di nuovo non solo per Rockstar ma per tutto il settore: facciamo fatica ad associare un Houser a qualcosa di diverso dalla label che hanno fondato ma speriamo vivamente di rivederlo all’opera), un modo per uscirne c’è e risiede nel passato, e nella struttura multi-studio di Rockstar Games.
Negli anni, attraverso diverse acquisizioni, Rockstar ha creato un vero e proprio network di studi, che in origine prevedeva diversi uffici nei quali ognuno lavorasse alla propria IP distinta e separata dal quartier generale; così sono nati Red Dead Revolver e Redemption nonché Max Payne 3, e si era avviata la progettazione del già menzionato Agent.
Con la crescita esponenziale dei giochi della casa madre e la loro sponda nella componente multiplayer, però, tutti i team sono stati coinvolti in aspetti specifici del loro sviluppo, ed è così che di fatto non esiste più la distinzione – già in partenza alquanto sfumata ma riconoscibile ad un occhio più attento – in Rockstar North, Lincoln o San Diego, ad esempio.
Un modo per uscirne potrebbe essere quindi il ritorno a quel modello, fortissimo negli anni 2000: prevedere sì l’esistenza di studi satellite che assistano la produzione dei prodotti più grandi – pratica ormai comune nel settore – ma anche di più di un team di sviluppo titolare che possa portare avanti il proprio progetto distinto e separato.
L’idea di creare titoli più piccoli sembrerebbe offrire una sponda in tal senso, a voler vedere il bicchiere mezzo pieno, e siamo abbastanza convinti che soltanto così titoli dalle proporzioni e dalle aspettative commerciali inferiori a Grand Theft Auto potranno continuare a provenire da Rockstar Games. Per la gioia di fan che ancora meritano di giocare Bully, L.A. Noire, Max Payne… e magari qualcosa di nuovo e diverso.
Rockstar Games si trova davanti ad una fase molto delicata della propria esistenza, e una nella quale potrebbe dover rinunciare allo standard qualitativo a cui è assurta grazie agli sforzi creativi dei suoi vertici e al sudore della fronte dei propri team; ha a disposizione alcuni spunti interessarti per uscirne senza rompersi troppe ossa e mantenere quello status, ma è evidente come questa sfida per la sua stessa esistenza sia di quelle complicate e che rischia di deludere, inaspettatamente, più di un fan in fervente attesa per GTA 6.