Final Fantasy VII: storia di un'emozione - Speciale
Che cosa ha reso così indimenticabile Final Fantasy VII? Ogni persona che ci abbia giocato all'epoca avrà una sua risposta, ma allo stesso tempo condividerà con tutti gli altri giocatori le medesime emozioni: scopriamo quali.
a cura di Silvio Mazzitelli
Redattore
Informazioni sul prodotto
- Sviluppatore: Square Enix
- Produttore: Square Enix
- Distributore: Koch Media
- Piattaforme: PC , PS4 , PS5
- Generi: Azione , Gioco di Ruolo
- Data di uscita: 10 aprile 2020 - 16 dicembre 2021 (PC)
Attenzione: questo articolo contiene piccoli spoiler da Final Fantasy VII e Final Fantasy VII Remake. Non leggetelo se non avete completato i due giochi.
La vita di un videogiocatore è fatta di tante esperienze diverse, sin da quando si prende il pad in mano per la prima volta: il primo gioco finito, la prima partita online, il primo rage quit. Con il passare degli anni si accumulano nella memoria tanti ricordi che delineano così il nostro essere affamati di videogame.
Esistono, però, alcuni titoli che non si limitano a rimanere un semplice ricordo archiviato nella mente, ma che entrano direttamente nel cuore per il loro essere stati in grado di emozionarci profondamente – e, magari, anche di cambiarci. Ognuno di noi, in base ai suoi gusti e alle sue esperienze di vita, ha i suoi punti fermi personali, ma alcuni titoli sono più di questo, perché hanno oggettivamente cambiato la storia del medium videoludico: uno di questi è senza dubbio Final Fantasy VII.
L’importanza dell’epica avventura di Cloud e dei suoi compagni sta nell’aver pienamente aperto le porte dell’Occidente al genere dei JRPG, una nicchia conosciuta da pochi giocatori fino ad allora, che divenne ponte tra culture e concezioni diverse. Il motivo di tale successo risiede soprattutto in una storia dai temi profondi e validi sia per l’epoca della sua uscita che per quelli attuali. A questo, aggiungete un cast incredibile di personaggi complessi e ben caratterizzati e i tantissimi momenti unici che costellano i tre CD di cui il gioco era composto.
Se Final Fantasy VII è così importante non è soltanto per i meriti appena elencati, ma per ciò che è riuscito a lasciare nel cuore dei milioni di giocatori che si sono fatti rapire dalle storie di un mondo tanto affascinante. Una Lifestream di emozioni condivise, dove ogni giocatore ha una sua personale storia legata alle esperienze vissute fianco a fianco con Cloud e il suo mitico party. Ecco: ciò che accomuna ognuna di queste storie è il sentimento di amore e gratitudine che tutti provano verso questo settimo capitolo. Quest’eredità fatta di emozioni indimenticabili è stata fatta rivivere oggi dopo ventitré anni e vi racconterò perché nell’unico modo che conosco, ossia raccontandovi della storia del mio legame con FFVII.
Passato: un treno per un nuovo mondo
Era l’estate del 1998 quando entrai in possesso della mia preziosa copia di Final Fantasy VII. A quei tempi ero ancora un ragazzino delle scuole medie che durante l’anno non aveva molte occasioni di ricevere nuovi giochi. Vivevo in terra calabra, in un paesello sperduto affacciato sul mare, letteralmente in mezzo al nulla. Non c’erano negozi di videogiochi vicini a me e internet era ancora poco diffuso; la mia prima connessione, con il rumoroso modem a 56k, sarebbe arrivata soltanto uno o due anni dopo.
Quando uscì Final Fantasy VII, verso la fine del 1997, non sapevo nemmeno cosa fosse un gioco di ruolo e la mia primaria fonte d’informazione erano le riviste specializzate dell’epoca, su cui avevo letto del nuovo titolo dell’allora Square Soft. Non ricordo quando nacque in me il desiderio di giocare a FFVII, ma pian piano i miei pensieri iniziarono a ruotare intorno a quel titolo, come se fossi destinato a giocarci – anche se, dalle sole informazioni in mio possesso, non comprendevo bene neppure che tipo di gioco fosse.
Proprio in concomitanza delle vacanze estive riuscì a farmelo regalare (la leggendaria generosità dei nonni non ha mai eguali) – e finalmente anch’io potei dare inizio all’avventura su Gaia, scendendo da quel fatidico treno in una Midgar affascinante quanto opprimente.
Inutile dire che fu amore a prima vista per i personaggi e per il mondo di gioco. All’epoca conoscevo molto poco l’inglese, dato che nella mia scuola assurdamente si insegnava solo il francese, ma ciò non mi impedì di armarmi di dizionario per tradurre i dialoghi principali. Probabilmente mi persi molti passaggi importanti per via dell’età e della mia scarsa conoscenza della lingua, ma ciò non mi vietò di restare affascinato da una storia magnifica e dai suoi personaggi ben caratterizzati.
Più che affascinato si può dire che ne ero veramente ossessionato, tanto che, pur vivendo – come accennavo prima – in una località marittima dove avevo la fortuna di poter andare al mare tre mesi l’anno, in quel periodo arrivai persino ad inventare scuse per evitare di andarci e restare così nel mondo incantato di Gaia, a inseguire Sephiroth e combattere la Shinra insieme a Cloud e agli altri indimenticabili membri del party.
Arrivai alla conclusione in circa due settimane. Fu uno shock, come quando si dice addio a un caro amico senza sapere se lo si rivedrà ancora, ma si è comunque grati del tempo trascorso con lui. Gli eventi narrati nel settimo capitolo della saga ebbero un importante impatto su di me, mi fecero capire per la prima volta che il videogioco non era fatto solo di livelli da superare e record da battere nella sala giochi del paese, ma che poteva anche narrare grandi storie, di quelle che ti entrano dentro al cuore e non ti lasciano più.
Passate le vacanze estive mi rimisi a giocare a Final Fantasy VII: non riuscivo a pensare di giocare a nessun altro gioco, in quel momento. Stavolta puntai a scoprire ogni minimo segreto grazie ad alcune guide che mi ero procurato. Riuscii a ottenere tutte le limit break di quarto livello dei personaggi, compresa quella di Aerith, ad avere tutte le armi finali, il Chocobo d’oro e la Knights of the Round.
Riuscii anche, con molto impegno, a sconfiggere le infamissime Weapon, Ruby ed Emerald, dopo due infinite battaglie da oltre un’ora ciascuna, per via della ripetizione di sei volte a turno della lunghissima sequenza di evocazione dei Cavalieri della Tavola Rotonda, mentre speravo di non essere annientato per non dover finire a ripetere tutto.
Tentai anche di verificare alcune leggende metropolitane, come quella dell’esistenza di una Weapon segreta nascosta tra le montagne del mondo di gioco. Sì, sto dicendo che andai a toccare ogni singola montagna della world map, per verificarne l’esistenza.
Furono mesi intensi e indimenticabili passati in compagnia di quelli che divennero alcuni dei miei personaggi preferiti di sempre – e mi sentii spesso incompreso perché a nessuno dei miei amici dell’epoca piaceva quel gioco, troppo strano rispetto ai loro canoni, indirizzati più all’azione diretta che al sistema a turni. Ammetto che, in effetti, mostrare loro dei semplici combattimenti fuori contesto, quando venivano a farmi visita, non li aiutava a capirci molto – non quando si tratta di un videogioco che chiede immersione in un mondo grande e pulsante che va al di là dei meri scontri.
Negli anni successivi sentii altre volte la necessità di immergerci ancora in quella realtà e di tornare su quel treno dove tutto era iniziato. Final Fantasy VII mi aprì un mondo, diventando il pilastro principale della mia attuale e immutata passione per i videogiochi. Da quell’esperienza imparai molto, soprattutto in inglese, tanto che fu l’unica materia in cui ebbi la media dell’8 al liceo (sulle altre sorvoliamo).
Il gioco mi fece appassionare ancor di più alla cultura giapponese, che poi divenne una delle discipline da me studiate durante gli anni universitari, e rese il genere dei JRPG uno dei miei preferiti in assoluto. Ne giocai tantissimi altri, dopo questa prima esperienza, sperando inconsciamente di riprovare quelle stesse emozioni. Alcuni titoli, come i successivi capitoli della fantasia finale, gli si avvicinarono, ma mai nessuno è più riuscito a trasmettermi le stesse sensazioni. Questo, almeno, fino a qualche settimana fa.
Presente: Midgar vent’anni dopo
La nostalgia è una brutta bestia. Abbellisce i ricordi del passato più di ogni filtro di Instagram e, soprattutto, mina irrimediabilmente il giudizio obiettivo. Ho sempre cercato di non abbandonarmi a questo sentimento per evitare di rimanere troppo scottato, come è già successo, e infatti quando nel 2015 arrivò l’annuncio del remake di Final Fantasy VII cercai di frenare l’entusiasmo con lo scetticismo.
D’altronde gli studi principali di Square Enix non erano più quelli di un tempo, basti vedere come i capitoli XIII e XV di Final Fantasy non siano stati all’altezza di quelli passati, per non parlare poi del recente Kingdom Hearts 3.
L’E3 dell’anno scorso, però, mi convinse della bontà del progetto, nonostante qualche riserva, e, trailer dopo trailer, iniziai a cedere al richiamo dell’hype. Per evitare paragoni falsati da un velo troppo fitto di nostalgia ricominciai per l’ennesima volta anche il titolo originale, così da averne fresca memoria al momento di affrontare la nuova avventura.
Finalmente arrivò il fatidico giorno. Quando ho inserito nella PS4 il primo Blu-Ray della nuova incarnazione di FFVII, ho realizzato che erano trascorsi più di vent’anni da quando avevo messo nella PlayStation il primo CD del gioco originale; sono però bastate poche ore passate nuovamente a Midgar per far esplodere come un vulcano tutte le emozioni sopite e ormai quasi dimenticate che provai da ragazzino. Emozioni che inconsciamente continuavo a ricercare in tanti altri titoli.
Le passeggiate nei bassifondi del Settore 7 con Tifa, gli scambi di battute tra Cloud e Barret, l’incontro con Aerith: tutto quanto è stato riproposto in maniera perfetta e con un profondo rispetto dell’originale, sia nella regia che nella caratterizzazione dei personaggi, grazie a delle animazioni e a una mimica facciale impressionante, senza contare poi un doppiaggio di altissimo livello sia in inglese che in giapponese. Ma non è tutto.
Anche quelle aggiunte che vanno ad espandere e approfondire la storia sono state fatte in maniera eccelsa. Personalmente, ho adorato ogni istante dedicato al maggior coinvolgimento di Jessie, Biggs e Wedge, per non parlare del Wall Market: reimmaginato nella maggior parte delle scene, è diventato ancora più epico e folle rispetto all’originale.
La cura dei dettagli è maniacale in tanti aspetti, con alcuni PNG molto secondari “ripescati” e valorizzati ancor di più. Prendete ad esempio i due soldati che sorvegliano un cancello nel Settore 7: macchiette divertenti ventitré anni fa, ora hanno anche un minimo di spessore, mostrato durante un tragico evento della storia. C’è persino la scena, nel Wall Market, del mitragliatore che spara se si prova a utilizzare il distributore automatico, dettaglio irrilevante ma che denota l’amore degli sviluppatori verso questo rifacimento del gioco originale
Tornare in una Midgar rinnovata e piena di vita, ma allo stesso tempo fedele all’originale idea di metropoli soffocante con il suo cielo d’acciaio, è stata un’esperienza che mi ha ricordato i motivi per cui amo così tanto questo titolo. Naturalmente non è possibile per me, e probabilmente per chiunque abbia vissuto all’epoca l’esperienza dell’originale, non mettere in conto che l’affetto pregresso verso il capolavoro di tanti anni fa abbia reso ancor più speciale giocare a questo remake, ma il fatto che il titolo attuale sia un grande gioco non si può soltanto attribuire all’eredità che porta sulle spalle.
Ogni aspetto è di primo livello, dal combat system alla direzione artistica. Certo, non mancano alcuni difetti – come alcuni problemi alle texture o la lentezza e la linearità di alcune nuove mappe, ma ho amato ognuna delle oltre quaranta ore che ho impiegato per arrivare alla conclusione, o meglio, fino alla fine del capitolo 17, perché purtroppo esiste anche il capitolo 18.
Futuro: strade vecchie e nuove
Non mi sbilancerò troppo sul finale, anche perché è ancora troppo presto per parlarne liberamente senza entrare nel campo dello spoiler selvaggio. Dirò soltanto che la delusione più grande mi è stata data proprio da quell’ultima parte, insalvabile per una meta-narrativa così piatta che a volte mi sembrava di assistere alla resa di una fan-fiction di livello altamente discutibile. L’esperienza è surreale, data la cura che è stata riposta nei precedenti 17 capitoli, tanto da venirmi il dubbio che a realizzarla sia stato un altro team completamente differente. Al momento è ancora tutto lasciato sul vago e quanto accade non rovina affatto tutto quello che è venuto prima.
Dopo aver finito il gioco ho passato una giornata a riflettere sulle possibili conseguenze dell’atto conclusivo di questa prima parte, ma la voglia di tornare a ripercorrere le strade di Midgar era troppa, nonostante la delusione. Immediatamente, ho ricominciato da capo il titolo, proprio perché sentivo che non sarei riuscito così presto a giocare ad altro, né ad abbandonare Cloud, Tifa, Aerith e Barret.
È ancora presto per pensare al futuro della saga e giungere a conclusioni affrettate, dato che del proseguimento di questo remake non sappiamo ancora nulla (anche se sono giunte recenti rassicurazioni); non posso però negare di avere una certa paura per quel che potrebbe succedere. Se, ipoteticamente, si andassero a intaccare i punti cardine dell’originale, sarebbe molto difficile riuscire a ricreare la stessa magia che mi ha fatto amare questo titolo e che ho ritrovato intatta in gran parte di questo rifacimento.
I cambiamenti all’opera originale non devono essere visti negativamente a priori – e infatti ho amato tantissimo molte delle nuove sequenze aggiunte, come il capitolo 4, dedicato a Jessie, Biggs e Wedge, o le novità inserite nel Wall Market, e spero vivamente di poter vedere trasformazioni e approfondimenti simili nei prossimi episodi; allo stesso tempo ritengo che la cosa più importante sia non snaturare il messaggio originale di Final Fantasy VII, veicolato dalla natura dei personaggi e da certi momenti entrati nella storia del videogioco.
Penso che rivivere alcune scene significative, magari cambiate nella forma, ma non nella loro essenza, sarebbe una nuova eredità da ricordare per altri vent’anni e che, magari, farà innamorare di questo gioco le nuove generazioni, proprio come è successo a me e a molti altri fan ventitré anni fa.
Sakaguchi e Kitase scelsero la vita stessa come uno dei temi principali di Final Fantasy VII – tematica che venne perfettamente incarnata dai tanti personaggi principali e dal loro viaggio, che lì portò a confrontarsi con il mondo e soprattutto con se stessi, in un percorso di forte crescita interiore.
Ventitré anni dopo, quel viaggio è ricominciato e riesce a veicolare le stesse emozioni di una volta, come se il tempo si fosse fermato. Non si sa ancora se questa nuova strada seguirà gli stessi sentieri del passato, ma per il momento è bello rivederti, Cloud.