La Fase 2 per la stampa videoludica è già iniziata, e potrebbe non finire più - Speciale
Il coronavirus mette videogiochi e stampa specializzata, che dedica loro tempo e risorse in un delicato rapporto di dare e avere, di fronte ad una sfida complessa
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a cura di Paolo Sirio
Il mondo dei videogiochi sta subendo, al pari degli altri settori che prevedano un’attività industriale, le ripercussioni della pandemia del nuovo coronavirus.
In queste settimane drammatiche abbiamo lasciato, con mestizia, che a parlare fossero i tristi fatti che si stanno susseguendo come in una nuova e luttuosa routine, nella quale abbiamo ormai fatto il callo a notizie come la cancellazione di questo o quella manifestazione e al rinvio di questo o quel gioco.
Tale dinamica non ha fatto prigionieri: ne hanno sofferto tutti, dal più piccolo come Minecraft Dungeons al più grande quali l’E3 2020 e The Last of Us Part II, segno che la situazione sta mettendo ogni membro dell’industry sullo stesso, per certi versi tragico, livello e che dal punto di vista del settore la luce in fondo al tunnel è ancora imprevedibilmente lontana.
Oggi, però, ci prendiamo un attimo per parlarvi di come il COVID-19 ha cambiato il nostro modo di lavorare, e quale impatto abbia avuto su un ramo a volte bistrattato ma fondamentale perché la giostra vada avanti, quello della stampa videoludica; perché è vero, ci abbiamo provato a non farvi sentire la differenza tra i giorni belli e quelli brutti, ma è evidente sia dentro che fuori come le cose siano diverse dai fasti di qualche settimana o al massimo mese fa.
Adesso, però, pensiamo sia arrivato il momento di coinvolgervi in questo difficile processo, raccontandovi nello specifico quali siano gli impatti che abbiamo dovuto subire e digerire nel tentativo di offrirvi un prodotto all’altezza del nome e della storia di Spaziogames, nonché delle vostre legittime curiosità e aspettative.
Per farlo, sono partito dalla mia esperienza professionale con il nuovo coronavirus, e ho sentito Stefania Sperandio, editor in chief di Spaziogames, il senior editor Domenico Musicò e la nostra eccellente penna Valentino Cinefra, per comprendere come la loro attività sul sito sia mutata dallo scoppio di questa crisi.
Incertezza e tensione: la Fase 1
Mutuando il linguaggio adoperato dalle nostre istituzioni, possiamo distinguere in tre fasi il processo di cambiamento – e adattamento – cui siamo stati sottoposti dall’arrivo del COVID-19 in Italia.
La prima fase è stata ovviamente quella immediatamente successiva alle notizie di questo approdo del virus sui nostri lidi, nella quale si sono rincorsi tentativi di mettere al sicuro gli eventi pianificati per il mese di febbraio e quello di marzo, voci di cancellazioni non confermate e cancellazioni che sono state poi ribadite nel momento in cui si era palesata la gravità della situazione prima su una scala italiana e infine globale.
«Forse sono banale nel dire che nessuno – o almeno, nessuno che non fosse un esperto in materia – si sarebbe mai aspettato una portata simile», ha osservato Stefania Sperandio quando le ho chiesto quale fosse stata la sua reazione agli avvii dell’emergenza sanitaria. Il suo ruolo su Spaziogames prevede, tra le altre mansioni, che provveda all’organizzazione delle nostre partecipazioni agli eventi in cui provare i videogiochi in anteprima e parlarvene su queste pagine.
«Quando è emerso l’ormai proverbiale caso del paziente zero, la stampa stava lavorando con i normali eventi su Milano e anzi si programmavano anche alcuni degli abituali press tour in Europa per alcuni appuntamenti – spostarsi da una nazione all’altra che, a pensarci ora, sembra una possibilità concessaci qualche vita fa», ha ricordato.
Nel momento in cui si è iniziato ad applicare la misura della zona rossa in località come Codogno, «ci sono stati alcuni tentativi di presentazioni alla stampa, a quel punto, che pianificavano ad esempio di far accedere i giornalisti con singoli appuntamenti e a orari differenti, in maniera tale da limitare i contatti tra loro: un singolo giornalista in una specifica fascia oraria».
Soltanto una porzione limitata di questi tentativi è andata a buon fine: «è capitato che diversi appuntamenti siano stati semplicemente annullati o rinviati a una data da destinarsi che, come hanno dovuto scoprire i publisher (e noi con loro) semplicemente non si poteva trovare, perché in breve l’Italia tutta è diventata zona rossa».
Un risvolto paradossale è stato regolato dalla disparità della diffusione iniziale dell’epidemia (poi pandemia) a livello europeo, dal momento che i publisher e le agenzie che avevano pianificato eventi esteri avevano una percezione diversa dalla nostra della situazione e non avevano messo in preventivo, in una fase ancora embrionale della crisi, cancellazioni dei loro eventi.
Stefania ricorda di avere avuto confronti con i diversi redattori che avrebbero dovuto prendere degli aerei e viaggiare, anche per qualche giorno di trasferta, per capire se i paesi ospitanti «stessero magari pianificando di bloccare gli accessi dall’Italia o meno – e dunque per capire se anche quegli eventi rischiassero l’annullamento. Annullamenti che poi puntualmente sono arrivati».
Innegabilmente, questa è la fase che suona più paradossale a riguardarla col senno di poi e a qualche settimana di distanza, adesso che è chiaro come le cose siano andate per il verso peggiore possibile – un verso che difficilmente avremmo potuto immaginare con tutta la logica del worst case scenario che vi si sarebbe potuta applicare. Erano i giorni in cui si discuteva della cancellazione dell’E3 2020, e anch’io l’avevo tenuta come extrema ratio in una situazione che avevo previsto si sarebbe evoluta più e più volte tra febbraio e giugno.
L’era degli eventi digitali: la Fase 2
Mentre l’Italia della politica si divide sulle date d’inizio della cosiddetta Fase 2, che prevederà un cauto ritorno ad una parvenza di normalità, la stampa videoludica vi è già entrata da alcune settimane, complice la possibilità – con qualche aggiustamento in taluni casi – di lavorare da casa in maniera abbastanza regolare.
I recensori di Spaziogames hanno lavorato senza interruzioni di sorta, ad esempio, ritrovandosi anzi avvantaggiati sulle consegne per via della quarantena che li ha costretti a casa e impedito loro di portare avanti il loro lavoro extra-videoludico. Domenico Musicò, che si è occupato di uno dei giochi più attesi della generazione ovvero Final Fantasy VII Remake nel bel mezzo della crisi, mi ha spiegato con un’amara ironia che «le full immersion le ho sempre fatte in passato, ma adesso sono facilitate e non danno sensi di colpa».
Ho sentito Domenico perché la situazione che ha vissuto da recensore è stata forse più surreale e paradossale, dal momento che si è ritrovato a dover discutere di un gioco con un embargo rigidissimo (non potevamo neppure dire sui social di aver ricevuto un codice review) mentre mezzo mondo, Italia compresa, aveva già messo le mani sulla propria copia grazie alla trovata di Square Enix di spedirle prima ai negozi per evitare ritardi sull’uscita del 10 aprile causati dal COVID-19.
Gli ho chiesto se avesse trovato frustrante sapere che in giro per il paese c’erano persone che parlavano liberamente del titolo, senza alcun vincolo, facendo spoiler a destra e a manca – circostanza che si è verificata anche una volta completato il lancio e di cui abbiamo discusso in un articolo a parte – mentre lui, per professionalità oltre perché sotto NDA, era costretto a tacere fino al tradizionale semaforo verde del publisher.
«No, devo dire di no», mi ha risposto, citando, grazie alla sua lunga esperienza nel settore, un altro caso simile – quello di Bethesda, che in un periodo non troppo lontano aveva stabilito che le copie per le recensioni sarebbero state inviate alle diverse redazioni soltanto al day one dei singoli giochi (ne furono toccati diversi, tra cui Skyrim Special Edition).
«Ricordo che quando mi è successo con Bethesda non mi cambiava nulla,» mi ha raccontato. «Non erano frustranti i commenti dei sapientoni, era frustrante solo dover lavorare alla velocità della luce per uscire subito» con una recensione quanto più approfondita possibile. «Con FF7 c’era un embargo lungo», ovvero abbiamo ricevuto il gioco con ampio anticipo, «e non mi interessava se qualcuno lo giocava prima. Ero isolato e non leggevo nulla».
L’isolamento nell’isolamento, quindi, ha permesso al nostro Valthiel di portare avanti il proprio lavoro su una delle produzioni più attese di sempre, si può dire; un titolo che è stato annunciato dopo anni di richieste nel lontano 2015, è sparito a più riprese dai radar, ha subito cambi di studi di sviluppo in corsa, rinvii, chi più ne ha più ne metta, e si è ritrovato ad uscire nel bel mezzo della fine del mondo. Bella fortuna.
La reazione dell’industria dei videogiochi al virus non ha tardato a farsi sentire: erano troppi e troppo importanti i titoli che erano previsti per la prima metà dell’anno o poco oltre, e – se poi per le uscite si sarebbe potuto ragionare con maggiore calma – il lato promozionale andava portato avanti in modo da far conoscere i prodotti più importanti in arrivo nel corso del 2020.
Questo ha portato alla transizione da eventi fisici ad eventi digitali di alcune delle presentazioni a cui avremmo dovuto partecipare in carne ed ossa. Mi è capitato per Minecraft Dungeons di Mojang e Microsoft, di cui ho giocato una closed beta in privato e ho assistito ad una dimostrazione dal vivo su un canale video riservato, ed è successo anche al nostro Valentino Cinefra per Valorant di Riot Games.
L’evento digitale cui ho preso parte per Minecraft Dungeons, un dungeon crawler in stile Diablo, è il simbolo di tutta la buona volontà del gaming per uscirne con la schiena più dritta possibile: la presentazione è stata condotta da tre diversi sviluppatori, due dei quali giocavano in multiplayer e un terzo che ci spiegava il funzionamento del gioco, mentre una PR di Minecraft da casa sua raccoglieva le domande sottoposte prima dell’evento e in tempo reale dai giornalisti su un canale Discord.
I mezzi per condurre una presentazione in queste circostanze ci sono eccome, pur con un minimo di ingegno per far sì di superare certe limitazioni congenite nelle strumentazioni messe a disposizione dei singoli lavoratori; la PR di Minecraft ha avuto problemi di connessione per tutto il tempo, ad esempio, e tra un salto e l’altro sentivamo più il ritorno delle notifiche di Discord che non riusciva a disattivare che la sua voce ad intermittenza.
Il video, però, non ha avuto interruzioni di sorta, e abbiamo potuto assistere al gameplay live nonché ascoltare le risposte alle nostre curiosità fornite dagli sviluppatori senza particolari intoppi; è stato qualcosa di nuovo, estremamente diverso, che forse non scambieremmo per un viaggio in una località esotica e/o una presenza fisica, ma che tutto sommato ha funzionato e che potrebbe rendere ancora di più nel momento in cui questa macchina – la macchina degli eventi digitali – dovesse venire oleata a dovere.
Valentino mi ha raccontato che l’evento durante il quale ha potuto scoprire in anteprima Valorant, shooter competitivo sulla scia di Counter-Strike Global Offensive dai creatori di League of Legends, «è andato davvero bene» – forse perché si aspettava in partenza «onestamente più difficoltà, ma è stata gestita benissimo».
«Mi sono sentito un po’ come in un Nintendo Direct esclusivamente per giornalisti», ha chiosato incuriosito dalla nuova condizione in cui si è visto catapultare da un momento all’altro. «Zoom con 300 persone da tutto il mondo è stato utilizzato per il primo talk di presentazione, più quelli di approfondimento successivi, mentre un canale Discord è rimasto attivo (e lo è tutt’ora) per le comunicazioni rapide».
Diversamente dalla presentazione di Minecraft Dungeons, i canali sono stati divisi per ciascun paese, mentre anche qui è stato fornito un «contatto diretto con gli sviluppatori, e in generale un filo direttissimo con tutta la community. Abbiamo assistito anche ad una scena che in un contesto normale sarebbe del tutto ininfluente, ma durante le call su Zoom è diventata quasi surreale, ovvero la compagna di Ninja che porta allo streamer un burrito (era ora di cena nel suo fuso orario) prima di iniziare la call».
Le uniche difficoltà tecniche sottolineate dal nostro Cinefra sono state relative alla qualità del video, «mai in full HD» e «ogni tanto una laggatina con l’audio – «ma considerando la chiamata con le 300 persone citate non è niente che non succeda durante una videochiamata su Skype». Per il resto, le impressioni sono state assolutamente positive, in senso più più generale in rapporto con questo tipo di interazione che non tecnico.
«Credo sia molto importante questo filo diretto, una cosa che generalmente noi della stampa abbiamo giusto durante le fiere (e dipende dal tipo di incontro, poi) e che durante l’anno è davvero difficile ottenere anche durante i press tour, figuriamoci con richieste dirette che esulano dall’evento specifico», mi ha spiegato.
Con un certo realismo, non ha mancato di sottolineare che «chiaro, andare di persona negli studi di sviluppo, o agli eventi, è tutta un’altra cosa, dal punto di vista umano e professionale. Però credo che eventi del genere, gestiti così, possano rappresentare paradossalmente un valore aggiunto».
Questo ci porta alla Fase 3, e al grande interrogativo di fronte al quale ci troviamo adesso: una volta superata la crisi, ci sarà un ritorno alla normalità per quanto riguarda gli eventi a cui abbiamo preso parte finora? Pare ovvio che qualche contabile in Sony, Microsoft, Nintendo e tutti gli altri a seguire – che sborsano somme di denaro non indifferenti per allestire questi eventi, incluse le spese per i viaggi dei loro ospiti – qualche dubbio al riguardo lo solleverà.
Una nuova normalità: la Fase 3
Nel pieno della Fase 2, è giusto iniziare a porsi delle domande riguardo a come sarà quella successiva, una Fase 3 che sa di “nuova normalità” – una condizione nella quale potremmo tornare ad alcune routine di tutti i giorni mentre altre potranno presentarsi quali del tutto diverse, che sia in meglio o peggio, nelle nostre vite così come nel nostro lavoro.
Il modo in cui i videogiochi saranno presentati, ma anche la loro stessa fibra e costituzione nonché la maniera nella quale ne fruiremo noi per documentarveli prima che escano come i lettori quando ci investiranno i loro risparmi, potrebbero uscire segnati dall’emergenza del coronavirus, modificati geneticamente rispetto ai piani di appena qualche settimana fa.
L’osservazione di Domenico Musicò, in aggiunta alla notizia che vi abbiamo fornito ieri proveniente da un report del New York Times, mi ha fatto particolarmente riflettere sull’argomento.
«La cosa che mi preoccupa sono i giochi che potrebbero uscire con delle castrazioni, pur di rispettare le scadenze», è il punto di Domenico. «Lo smart working» implementato in questi giorni difficili per permettere agli sviluppatori di lavorare da casa e rispettare così le stringenti deadline imposte dagli editori, «rallenterà i lavori e alcune aziende dovranno tagliare alcuni contenuti, o addirittura modificarne qualcuno in corsa».
«A noi non cambierà nulla, perché da casa abbiamo lavorato e da casa lavoreremo. Gli embarghi credo saranno uguali», mi ha inoltre spiegato, anche se «potremmo avere più giochi che escono nello stesso momento», per recuperare quanto più velocemente possibile dai recenti rinvii, prospettiva che si fa sempre più concreta quando mancano pochi mesi all’uscita di Xbox Series X e PS5, per i quali la fine del 2020 sembra un dogma inderogabile – con buona pace dei vari Ghost of Tsushima, The Last of Us Part II, Halo Infinite.
La nuova normalità potrebbe portare quindi nel breve e medio termine effetti collaterali come il rimpicciolimento dei videogiochi, con tagli che andrebbero a riguardare funzionalità, livelli e modalità; nel momento in cui si dovesse arrivare, speriamo presto, a togliere l’aggettivo “nuovo” alla normalità, potrebbe – come capita spesso – non esserci una possibilità di ritorno ai momenti più alti del gaming.
Una tendenza, questa, che abbiamo già affrontato e analizzato con gli ultimi rumor su GTA 6, che su pressioni della proprietà Take-Two Interactive dovrebbe vedere lo sviluppatore Rockstar Games lavorare ad un titolo dalle dimensioni di partenza più contenuto per poi aggiornarsi e ampliarsi dopo il lancio nel solco dell’attuale GTA Online. Storie epiche e corpose come Red Dead Redemption 2, spalmate lungo l’arco di oltre 60 ore, potrebbero essere un lontano ricordo.
La questione degli eventi di cui abbiamo parlato finora potrebbe risultare marginale per l’utente finale, ma è chiaro che sia soltanto una diversa sfaccettatura dello stesso problema.
«Mi piace pensare che si tornerà alla normalità, ma credo che sarò deluso abbastanza facilmente. Così come le fiere italiane ed internazionali saranno cambiate per sempre, purtroppo», mi ha confidato Valentino Cinefra.
«Anche perché, al di là degli interessi sanitari dell’emergenza, gli eventi digitali rappresentano un impegno monetario minore per le aziende», ha aggiunto, arrivando ad una conclusione simile alla mia di qualche riga fa. «Riot Games non avrebbe di certo, immagino, pagato 300 voli di linea, alberghi, buffet e tutto il carrozzone dei press tour. Avrebbe fatto una cernita, magari lavorando a ‘fasce’ di rilevanza di content creator e giornalisti. Così invece raggiunge tutti ed unisce l’utile al dilettevole: maggior copertura e minor spesa».
Previsione mossa anche da Stefania Sperandio, che senza mezzi termini ha rimarcato come la situazione del coronavirus ha «scoperchiato il vaso di Pandora degli eventi digitali. Considerando la necessità di distanziamento sociale, non è da escludere che questo tipo di approccio possa venire tenuto in considerazione anche in futuro».
«Nonostante l’importanza del confronto diretto e dell’interazione faccia faccia, gli eventi in presenza virtuale consentono certo di lavorare più scorrevolmente e senza dover abbandonare la sicurezza delle proprie case – che in questo momento storico abbiamo imparato essere fondamentale», ha precisato.
La sua idea è però che «con il passare del tempo, ci sarà sicuramente un ritorno degli eventi tradizionali, anche se magari si cercherà di evitare il più a lungo possibile di radunare quanti più giornalisti in un unico appuntamento, ma non è da escludere che altri preferiscano continuare a guardare all’evento virtuale».
Un sistema ibrido sia a livello di industria che all’interno delle stesse aziende, che potrebbero pensare di affiancare i tradizionali press tour con queste nuove e più leggere iniziative esclusivamente digitali. Questo permetterebbe ai big del settore sia di avere il marketing classico, pomposo e scintillante cui potrebbero non voler rinunciare per una questione di immagine, sia di risparmiare sugli eventi più intimi a porte chiuse che non producono rumore quando si fanno ma puntano a generarne il più possibile solo all’uscita sincronizzata delle anteprime sotto embargo.
Per i piccoli, che forse hanno già familiarità con queste dinamiche ma ora le vedono applicare come possibile nuovo standard, l’opportunità sarebbe quella di raggiungere più persone sia come membri della stampa che come utenti dei loro portali di riferimento senza sperperare risorse da destinare preferibilmente alla costruzione di videogiochi e magari di un futuro migliori.
«Parliamo indubbiamente di un settore in cui l’agilità digitale è imprescindibile e di conseguenza non è un problema contare su mezzi di telepresenza, per così dire, per interfacciarsi con giornalisti che proprio di virtuale parlano tutti i giorni», ha concluso Stefania.
«Oltretutto, gli eventi in praesentia (soprattutto i press tour che durano più di una giornata) per quanto spesso memorabili hanno anche dei costi logistici di cui tenere conto: un aspetto da non sottovalutare, in un settore in cui, allo stato attuale, molti publisher stanno vedendo slittare volenti o nolenti le loro uscite più importanti e più attese».
I videogiochi stanno affrontando un momento complesso e con esso la stampa specializzata, che dedica loro tempo e risorse in un delicato rapporto di dare e avere. Le tre stagioni delineate dalle istituzioni ci toccano sì, ma stanno probabilmente avendo una sfasatura dovuta al fatto che come industria – per la nostra innata tendenza al digitale – siamo già entrati sperimentando gli immediati input della seconda e ipotizzando con curiosità e perplessità le conseguenze della terza. Chissà che, ancora una volta, il gaming non possa anticipare i trend che la nuova normalità post COVID-19 finirà con l’imporre alla nostra società.
Voto Recensione di La Fase 2 per la stampa videoludica è già iniziata, e potrebbe non finire più - Speciale - Recensione
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