La famiglia è un luogo sicuro, dove trarre conforto nell’ora più buia della nostra vita e da cui ripartire con solide basi per affrontare il mondo nella sua crudezza, consci di non essere soli e abbandonati. Una concezione abbracciata dalle famiglie che non portano il nome dei Mishima e non vivono in costante conflitto dunque, soprattutto quando si tratta dei rapporti critici e ossessionatamente ostili che si tramandano di padre in figlio, come il più terribile e duraturo dei tratti ereditari che si possano tramandare.
Per resistere agli urti della vita bisogna avere polso, ma anche un certo “pugno di ferro”, e in casa Mishima lo sanno bene, tanto che la loro vicenda è la più lunga e intrisa di rabbia, vendetta e totale mancanza di affetto nel tratteggiare la trama della saga di Tekken, il franchise che di per sé, ammettiamolo brutalmente, sarebbe stato in piedi anche senza particolareggiare troppo la storia famigliare dei protagonisti principali. Avremmo picchiato a sangue i nemici allo stesso modo, ma si sa: senza una certa trama, tutto sommato poco originale, anche un picchiaduro rischia di scadere presto nella grigia banalità. È proprio questa lunga vicenda in perfetto stile nipponico, colorata da qualche nuances presa dalla mitologia greca ed egizia, a porre le fondamenta dell’Iron First Tournament, il torneo dove si scontrano in una sorta di girone dell’Inferno i migliori lottatori da tutto il mondo, in una sfida all’ultimo calcio rotante e gancio ben assestato.
In principio fu Heihachi
La storia entra nelle nostre case su PlayStation nel 1995, dando inizio alle danze del più grande torneo di arti marziali mai organizzato, per dichiarare il vincitore come il più forte lottatore del mondo, appunto “The King of Iron Fist Tournament”. Un titolo ambito dallo stesso ideatore della sfida, Heihachi Mishima. Un individuo spietato e losco, colloca se stesso tra gli avversari da battere nella fase finale per aggiudicarsi il prestigioso titolo, oltre a essere titolare del grande, potente e influente impero finanziario, il Mishima Conglomerate (noto anche come Mishima Zaibatsu), sponsor e organizzatore della manifestazione.
La sua ossessione di dominazione del mondo non si ferma sulla porta di casa: la sete allucinante, incontrollata e spasmodica di controllo su chiunque non gli impedisce di risparmiare la sua famiglia, nemmeno il sangue del suo sangue.
Un eroe oscuro e spietato, figlio di una disciplina oltremodo rigida e fredda che educa all’odio e all’individualismo estremizzato, teorizzata dallo stesso padre, Jinpachi Mishima, il quale ha elaborato l’omonimo stile di combattimento karateka e che conosceremo solo brevemente nel quinto torneo. Heihachi si eleva a formidabile e potentissimo combattente, uno dei maggiori esperti di arti marziali del mondo, che deve solo ringraziare di possedere la conoscenza del karate, considerando il notevole numero di persone al mondo che desiderano sbarazzarsi di lui, a causa dei torti subìti dalla sua azienda. Così, più o meno astutamente, l’uomo riunisce in un solo torneo tutti questi aspiranti assassini, con l’obiettivo ancora una volta freddo e calcolatore di disfarsene una volta per tutte. Ovviamente incurante del fatto che tra le fila di sfidanti faccia la sua comparsa anche il suo unico figlio legittimo: Kazuya Mishima. Protagonista dal primo capitolo, Heihachi aveva perso le tracce del giovane da quasi 17 anni, ossia dal momento in cui, come gli spartani facevano dalla Rupe Tarpea, aveva gettato in dirupo l’allora bambino di soli cinque anni. Motivazione? La sana, naturale umanità che aveva portato Kazuya a distrarsi dagli allenamenti quotidiani per confortare una bambina che piangeva la scomparsa di un coniglio, un atteggiamento così bizzarro e da punire immediatamente con la morte, agognata dal padre ma scampata dal figlio. Un riflesso del mondo animale, dove i re della savana, i leoni, pare facciano lo stesso con i loro cuccioli per rafforzarli, ma l’equazione non può sussistere con il mondo umano. Qui si parla di uomini, esseri umani per cui è concepibile avere questi “momenti di debolezza”, incompatibile e inaccettabile per la mentalità dell’imprenditore.
Così ha trasformato Kazuya in un uomo acceso dal desiderio di vendicarsi di quel gesto e dell’assassinio della madre, per mano del padre padrone. Ironia della sorte: la padroncina del coniglio scomparso non è altri che la futura donna che darà alla luce il nipote di Heihachi: si tratta di Jun Kazama, che parteciperà anche al secondo torneo e stringerà una relazione con Kazuya stesso, dalla quale nasce Jin Kazama.
Tale padre, tale figlio
La storia vede come tutti i componenti di questa famiglia, tutti stereotipicamente maschi, hanno una relazione assente o difficile e controversa con il rispettivo padre: così Kazuya si vendica e chiama a sé Devil, un’entità sconosciuta e malvagia, grazie al gene del diavolo presente nel DNA del giovane come in quello di tutti i componenti della famiglia Mishima, eccetto suo nonno. Stretto il patto col diavolo, un destino che attende inevitabilmente anche Jin, l’essenza di Lucifero si impossessa totalmente del suo essere, come Dorian Grey ci insegna: quasi inalterato nel corpo, distrutto nell’anima ormai annichilita, egli non riesce più a sopprimere il demone dentro di lui e si lascia divorare dall’odio e dalla sete di vendetta, trasformandolo di fatto in un’altra persona del tutto diversa. Grazie ai suoi poteri, riesce a vendicarsi e chiudere il conto in sospeso con il padre, riservando per lui lo stesso destino che ha traumatizzato la sua infanzia: lo getta mentre è privo di sensi dallo stesso dirupo in cui anni prima egli aveva gettato lui, subentrandogli inoltre alla guida della Mishima Conglomerate.
Questo è quanto è accaduto nei primi due episodi della saga, quando i combattenti erano tutti pettorali e divisa da combattimento, spigolosi e un po’ appiattiti sullo schermo. Com’è evoluta la storia successivamente? Faremo la conoscenza del giovane Jin da Tekken 3 in poi, a cui il nonno non risparmia certo dolori e scelte tranchantes, piantandogli un colpo in testa e risvegliando del tutto il demone in lui (stessa equazione come nel plot Heihachi-Kazuya, per la proprietà commutativa, il risultato dato da un ordine diverso degli stessi addendi, il risultato non cambia). Largo ai giovani, sembra declamare il gioco: così Jin si ritrova a fronteggiare, e sconfiggere, sia padre, che nonno, non poteva che mancare il capostipite finora vivente di questo albero genealogico i cui frutti non portano altro che zizzania tra loro, Jinpachi. Come dicevamo, una comparsa fugace e temporanea, solo per riaffermare la tendenza famigliare a dare vita a una generazione dopo l’altra di odio e veleno. Non sarà da meno l’arrivo del fratellastro di Kazuya, Lars Alexandersson, ossia il dio egizio Azazel sotto mentite spoglie. Scontro fra titani, o meglio fra dei e demoni: entrambi spinti a scalare sempre più la vetta ambiziosa della rivalsa sull’altro, entrambi (ri)caduti in un precipizio che chiude il sipario su questi due contendenti. Solo alla fine, i giochi sono fatti davvero: spunta l’origine di ogni vicenda, di ogni dolore e dissapore, nella persona di Kazumi Mishima, sposa di Heihachi e madre di Kazuya. Il punto di svolta finale (e finalmente), un twisted plot che dà respiro a una storia quasi incancrenita e rimestata in più modi senza davvero giungere a una conclusione soddisfacente. In una storia governata dalla forza maschile, è di una sola donna il potere del motore propulsore dell’intera vicenda.