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Dutch Van Der Linde - La Galleria del Male #3

Un personaggio che supera il ruolo di antagonista e lega i due capitoli dell'avventura West di Rockstar.

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a cura di Adriano Di Medio

Redattore

Informazioni sul prodotto

Immagine di Red Dead Redemption 2
Red Dead Redemption 2
  • Sviluppatore: Rockstar Games
  • Produttore: Take Two
  • Distributore: Cidiverte
  • Piattaforme: PC , PS4 , XONE
  • Generi: Azione
  • Data di uscita: 26 ottobre 2018 - 5 novembre 2019 (PC)

Bentornati alla Galleria del Male, la rubrica dedicata agli antagonisti più memorabili della cosiddetta “era moderna videoludica”. Dopo l’esordio con due grandi antagonisti di fine anni Novanta quali Zarok e Neo Cortex, oggi facciamo un salto in avanti verso gli anni Duemiladieci. Il prossimo ritratto infatti raffigura una figura importantissima nel selvaggio West di Rockstar Games: Dutch Van Der Linde.

Lo spettro di John

Volendo attenerci all’ordine di pubblicazione, Dutch è uno degli ultimi personaggi di Red Dead Redemption a comparire. La sua presenza però alleggia spettrale lungo tutta la vicenda, fin dalla prima mezz’ora. Viene nominato per la prima volta da Bill Williamson, quando John si avvicina a Fort Mercer per cercare di risolvere la faccenda in maniera diplomatica. Bill è un personaggio triste nel suo essere pieno di sé, oltre che profondamente invidioso della considerazione di cui John godeva da parte di Dutch.

Quando poi la storia del primo Red Dead Redemption prende il via e John viene salvato e curato da Bonnie Macfarlane, quest’ultima ha bisogno di un po’ di tempo perché il suo ospite si lasci un po’ andare e racconti il perché è andato a parlare con Williamson. Quello che prima era un nome adesso diviene un personaggio, che attraverso le parole di John acquisisce i tratti di un paradossale “fuorilegge paternalistico”. John infatti racconta di Dutch come un capobanda che ha ricoperto il ruolo di mentore, che nonostante viva da fuorilegge si è anche premurato di dare ai suoi accoliti una qualche istruzione. Proprio per questo John ammette che, nonostante tutto, non è capace di provare un completo sentimento di odio nei suoi confronti.

Lo spettro prende forma umana solo nell’ultimo terzo della storia, che vede John al suo ultimo estenuante inseguimento. Dutch compare come una persona incapace di reinventarsi in qualcosa di differente dalla banda, tanto da averne formato l’ennesima approfittando del risentimento degli ultimi nativi americani. Di contro tratta John come un figlio ormai cresciuto, addirittura quando i due si trovano in stallo durante la sua rapina a Blackwater arriva a fargli delle domande di circostanza su come sta la sua famiglia. La parola è infatti la sua “arma” più grande, cosa evidenziata anche dalla scena della sua morte, nella missione E la verità ti renderà libero. il discorso di Dutch è triste e disincantato, un doloroso ammettere la sua incapacità a cambiare. Stando alle sue parole, egli non ha fatto altro che combattere, anche contro qualcosa contro cui non si poteva prevalere. Prima di morire, Dutch farà a John una terribile profezia, inevitabile in quanto auto-avverante: quando se ne andrà lui, gli agenti del governo troveranno un altro mostro, e saranno costretti a farlo perché hanno bisogno di giustificare il proprio stipendio.

Banda o comunità?

Dutchnon darà comunque soddisfazione a John: prima che questi possa immobilizzarlo o anche solo premere il grilletto, con l’ultimo pensiero che il loro tempo è passato si lascerà cadere di spalle nel dirupo. A parte il finale tragico di John, potremmo quasi dire che Dutch nel primo Red Dead Redemption ha una funzione più simbolica che altro. Pure così però gli sceneggiatori inventano quella che sarà la sua frase iconica: “Ho un piano, John”, la cui risposta è inevitabilmente “Hai sempre un piano, Dutch”. Nell’originale era uno scambio di battute dall’alto carico inferenziale, in quanto lasciava intendere un carisma fascinoso pure se ormai appassito. È in Red Dead Redemption II che la figura di Dutch letteralmente esplode, elevandolo a un ruolo narrativo molto difficile.

Nel prequel infatti ci viene mostrato quando la famigerata “banda”, prima solo citata, ancora esisteva e aveva appunto Dutch come capo. Una delle priorità della sceneggiatura diviene quindi quella di amplificare e rendere “autentico” quell’ideale di comunità fino a quel momento solo raccontato e non vissuto. E per somma parte è così: la banda esiste ma a parte le emergenze non c’è una vera e propria gerarchia o compiti assegnati. Ognuno è sempre incoraggiato a fare tutto quel che può per contribuire al benessere collettivo. Simbolo di questo è la famigerata “cassetta dei fondi”, che Dutch piazza simbolicamente proprio di fronte alla sua tenda. L’idealismo del vivere “liberi” ce la mette tutta per rendersi autentico, così come la ferma convinzione di Dutch di stare effettivamente aiutando delle persone a costruirsi una vita migliore.

Veleno americano

Quello che la scrittura di Red Dead Redemption II si premura di far sottesamente intendere è che il progetto del “vivere in libertà e indipendenti” di Dutch altro non è che l’ennesimo buon proposito portato avanti con mezzi efferati. Lungo tutta la storia con Arthur Morgan assistiamo alla degenerazione di Dutch, la cui mente viene letteralmente rosa da questo suo “ideale”. Dall’accanimento (prima di sopravvivenza, poi di puro sadismo) contro i rivali O’Driscoll, fino alla sfacciataggine con cui si confronta con coloro che li avevano cacciati per conto proprio o su incoraggiamento della legge, Dutch sprofonda sempre più nella follia. Segni di squilibrio che però già Rockstar si premura di inserire in tempi non sospetti: non è infrequente, quando si gira per l’accampamento nei panni di Arthur, sentirlo sonoramente litigare con la consorte oppure nella freddezza che manifesta nei confronti di chi sbaglia anche il minimo. E pure se Arthur rimane una figura importantissima, Dutch diviene per Rockstar un personaggio che, seppur antagonista, è un fulcro narrativo che sgomita per divenire a sua volta co-protagonista: tanto che nei titoli di coda, quando scorre il cast attoriale, il primo a comparire non è né Arthur John, ma proprio Dutch.

La volontà di volerlo raggiungere lo porta a compiere azioni terribili ed efferate, fino a rinnegare il principio di individuale libertà che almeno a parole dice di perseguire. Arriva a considerare qualunque azione come un tradimento di qualche genere, a cui reagisce in maniera insensata e letale. Ogni volta, a ogni spostamento in una nuova regione da “saccheggiare”, è immancabile il suo ripetere di avere un piano per fare un ultimo grande colpo e così far sparire tutti nel nulla di una vita tranquilla. L’imporsi in maniera violenta è infatti l’unico modo che conosce, specialmente ora che ha intimamente capito che sta continuando a fare promesse che non è più in grado di mantenere.

Il suo destino non si compirà in Red Dead Redemption II, vista la necessità da parte di tale gioco di preservare lo status quo. Lo vedremo comparire a sorpresa durante l’ultimissima missione, la vendetta di John su Micah, e sarà proprio lui a sparare il colpo e poi andarsene senza aggiungere parola, lasciando tutto il bottino di Blackwater a John. Forse alla fine per lui a importare davvero non erano i soldi.

Dutch Van Der Linde è il soggetto che annovera alcuni tra i ritratti più difficili di questa categoria. Carismatico e consapevole di esserlo, bandito spietato con arie e attitudini da gentiluomo viaggiatore, Dutch pare l’incarnazione di un inciso già sentito in un altro videogioco, ovvero “ogni criminale pensa di essere un eroe”. La sua figura ispira anche paura nei suoi scatti d’ira, che trovano solo in parte spiegazione nel fatto di avere sulle spalle un’intera comunità. Piuttosto ne emerge un idealismo corrotto e mai del tutto spiegato, che appunto ne fa un personaggio così capace di rimanere nelle menti e nei cuori. Forse è vero che con l’età dei soldi ti importa sempre meno.

Voto Recensione di Red Dead Redemption 2 - Recensione


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Commento

Dutch Van Der Linde è il soggetto che annovera alcuni tra i ritratti più difficili di questa categoria. Carismatico e consapevole di esserlo, bandito spietato con arie e attitudini da gentiluomo viaggiatore, Dutch pare l’incarnazione di un inciso già sentito in un altro videogioco, ovvero “ogni criminale pensa di essere un eroe”. La sua figura ispira anche paura nei suoi scatti d’ira, che trovano solo in parte spiegazione nel fatto di avere sulle spalle un’intera comunità. Piuttosto ne emerge un idealismo corrotto e mai del tutto spiegato, che appunto ne fa un personaggio così capace di rimanere nelle menti e nei cuori. Forse è vero che con l’età dei soldi ti importa sempre meno.
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