Death Stranding, un anno dopo - Provato su PC
Dopo l'uscita di novembre per PS4, Death Stranding torna a farsi vedere su PC: vi raccontiamo la nuova versione dopo averla provata in anteprima
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a cura di Paolo Sirio
Informazioni sul prodotto
- Sviluppatore: Kojima Productions
- Produttore: Sony Interactive Entertainment
- Distributore: Sony Interactive Entertainment, 505 Games (PC)
- Piattaforme: PC , PS4 , PS5
- Generi: Azione , Avventura
- Data di uscita: 8 novembre 2019 (PS4) - 14 luglio 2020 (PC) - 24 settembre 2021 (Director's Cut)
Grazie ad un codice messo a disposizione dal publisher 505 Games, abbiamo potuto provare in anteprima Death Stranding per PC. L’ex esclusiva PlayStation 4 si appresta ad arrivare su questa nuova piattaforma nel giro di una manciata di settimane e, nonostante l’abbiamo già spolpata nella sua veste originale, non ci siamo lasciati sfuggire l’opportunità di metterla nuovamente alla prova adesso che ha cambiato casacca virtuale.
Abbiamo speso una ventina di ore su una build preliminare ma contenutisticamente completa del gioco e, in attesa della nostra recensione in arrivo a ridosso del lancio, possiamo già parlarvi dell’impatto di questo secondo playthrough contingentato ai primi quattro episodi circa della storia architettata da Hideo Kojima e delle impressioni iniziali a proposito della sua resa su PC.
Le prime sensazioni del ritorno
Quasi un anno dopo, ci ritroviamo a misurarci ancora una volta con un gioco complesso dal punto di vista tecnico, artistico e narrativo, che mette duramente alla prova gli utenti con trovate geniali e in quanto tali assai rischiose. Death Stranding è un prodotto, come ha esposto brillantemente la nostra Stefania Sperandio lo scorso novembre, da dentro o fuori, che richiede pazienza ed è capace di soddisfare chi cerca qualcosa di particolare, di molto particolare, nel gaming.
Le prime sensazioni di questo ritorno sono difficili da decifrare: il sense of wonder che cospargeva il debutto originale è rimasto intatto ma ha probabilmente cambiato residenza, appoggiandosi adesso non più su un gameplay che è stato liberato dal suo alone di mistero e ampiamente decriptato, ma sulla cifra dello stile di un autore che, oltre che da designer coraggioso quando ha rovesciato de facto le aspettative riposte in un open world tripla-A, ha agito con efficacia, guizzo e cura da regista videoludico.
Se il gameplay, ad un impatto iniziale con un giocatore come il sottoscritto che lo ha già sviscerato nel 2019, risulta almeno parzialmente disinnescato, infatti, quel senso di meraviglia si è trasferito nella gestione delle scene d’intermezzo e dei momenti più puramente emotivi, che denotano oggi più che durante lo scorso anno come questo sia un prodotto sì diverso, ma diverso di un livello superiore rispetto ai concorrenti nella scena story-driven.
Faremo un esempio pratico che può tornare utile ai nostri lettori nel comprendere appieno questo messaggio che, lo riconosciamo, potrebbe sembrare criptico per via della nostra volontà di non sbandierare ai quattro venti la trama del titolo.
Al day one su PS4, ci aveva particolarmente toccato l’inizio del gioco vero e proprio, quando il corriere Sam sale e scende giù per un dirupo sulle note di una canzone ormai familiare dei Low Roar; quella commozione era frutto di mesi e mesi di tensioni scaturite in un fan che non sapeva bene cosa aspettarsi e che finalmente capiva che l’opera del suo autore preferito gli sarebbe andata (poi molto) a genio, oltre che della meraviglia di affrontare un accostamento narrazione-gameplay di quel livello.
Stavolta, mettendo mano alla versione PC, ci ha lasciato di stucco la lunga cutscene che dà inizio a Death Stranding, intravista in un celebre trailer, in cui Fragile e Sam sono in una caverna, costretti a fare silenzio e restare immobili per evitare di essere scoperti e colpiti a morte da una Creatura Arenata. La regia e la qualità del girato di quella scena, le interpretazioni di Léa Seydoux e Norman Reedus, la forza di fornire un contesto al gioco nell’arco di pochi minuti e in un solo ambiente, sono aspetti che più di ogni altra cosa spiccano ancora oggi come inarrivati in un’industria che si è appena misurata con un capolavoro dello spessore di The Last of Us Parte II.
Quello che ci ha consegnato quest’anno o quasi aggiuntivo di esperienza sul gioco è un’esplorazione adesso smaliziata e più sicura, che si pone meno problemi nello girare per ambienti misteriosi che finalmente sappiamo quali pericoli e rischi per noi e per i nostri carichi potranno riservare. Certe cose le si prendono con una maggiore leggerezza e d’altra parte Kojima Productions non ha mai avuto l’intenzione di realizzare un videogioco difficile, ma uno che fosse in grado di incutere il timore dell’ignoto nei confronti di quanti vi si sarebbe cimentati praticamente all’oscuro di cosa sarebbe stato il suo nuovo titolo.
Ora che è volata via la fitta patina di mistero intorno ai cardini della produzione, un giocatore esperto che lo ha respirato a novembre 2019 riesce a sottovalutarne i consigli superflui e localizzare laddove davvero risieda il pericolo circostante; questo non vuol dire che non siamo inciampati di tanto in tanto, danneggiando pur minimamente il nostro carico nelle “poche” ore che vi abbiamo trascorso, ma che lo abbiamo fatto perché avevamo la testa troppo alta e una consapevolezza eccessiva nei nostri mezzi.
Lo stesso dicasi del rapporto con le Creature Arenate. Al lancio originale, non sapevamo con quali modalità saremmo stati al sicuro o giù di lì quando vi saremmo passati di fianco e in cosa saremmo incappati per la precisione qualora ci avessero acchiappato; ora che, invece, conosciamo bene i trucchetti utili a non cadere nelle loro grinfie, abbiamo attraversato le zone bagnate dalla Cronopioggia e infestate dalla loro triste presenza con una relativa sicurezza come sorprendendoci di quanto rapidamente e agilmente lo abbiamo fatto, perché sappiamo piuttosto bene quali comportamenti inconsulti ne avrebbero attirato l’attenzione, quali ce ne avrebbero tenuto a debita distanza, e come leggere con precisione chirurgica i segnali fatti pervenire dalla coppia BB-Odradek.
Non possiamo dire che questa sensazione di maestria ci spiaccia più di tanto, probabilmente, anzi, parleremmo di un focus dell’esperienza che si sposta con leggerezza su altri aspetti come il completismo – l’opportunità di riprendere il filo con il gioco e, alla fine, chiudere tutto quello che avevamo lasciato aperto su PS4 (no, niente cross save, prima che lo chiediate) – e un lato artistico che splende ancora di una luce scintillante.
Se in prima battuta ne abbiamo discusso a proposito delle scene d’intermezzo, è bene precisare che quando parliamo di lato artistico facciamo riferimento al pacchetto completo e non soltanto alla vocazione registica di Kojima: i momenti che nel gameplay vero e proprio erano stati pensati per “colpire” i giocatori, colpiscono ancora, come l’accompagnamento musicale cucito su misura su alcuni passaggi dell’esplorazione e che ne detta il ritmo quasi fossero il battito cardiaco di Sam. Anzi, col senno di poi, lo fanno ancora di più.
Queste considerazioni, naturalmente, non valgono in senso stretto qualora vi steste avvicinando per la prima volta a Death Stranding perché sta per raggiungere la vostra piattaforma preferita soltanto ora, ma le esprimiamo lo stesso perché riteniamo che rendano bene l’idea del tipo di prodotto con il quale finirete col confrontarvi, e di quante chiavi di lettura differenti disporrete, nel momento in cui doveste farlo vostro.
Lasceremo gli argomenti chiave sia sul gioco che sul fronte squisitamente tecnico per la nostra recensione ma possiamo puntellare alcune valutazioni che ci sono affiorate dopo aver giocato i primi quattro episodi della storia, due dei quali, il secondo e il terzo, notoriamente tra i più lunghi dell’intero gioco. Capitoli che ci hanno detto, oggi più di allora, che informazioni come quelle sull’uso del sangue del protagonista per creare armi e munizioni sembrano destinate a creare contesto e non a costituire un autentico arsenale ludico a disposizione dei giocatori, d’altra parte vezzo di un autore amante degli spiegoni sotto tutti i punti di vista. Da un lato, è vero, aumenta la “credibilità” di quell’universo e l’immersione nelle dinamiche del suo funzionamento, dall’altro inonda l’utente di particolari che, almeno per la nostra vocazione stealth sia con le CA che nei primi approcci con i tenaci Muli, finiscono con il risultare superflue e comprensibilmente abbastanza complesse da consultare e assimilare.
Allo stesso modo, questo incipit ha esibito un sistema di progressione svilito nelle sue prerogative, ovvero scandire l’aumento costante delle capacità e delle abilità del giocatore, da numeri elevatissimi raggiunti dopo appena un quarto dell’avventura (siamo già intorno al livello 100); l’obiettivo, appare evidente, è più fornire una sensazione di benessere e ricompensa estrema all’utente alla difficoltà Normale anziché spingerlo a sottoporsi a dinamiche RPG, tant’è vero che i miglioramenti vengono calati dall’alto man mano che si procede nella storia e non ricorrendo ad elaborati alberi delle abilità.
La scrittura dei personaggi è di qualità, di una qualità che non rinuncia ai guizzi ora ironici ora voyeuristici dell’autore, e questo emerge già dai capitoli iniziali: per via della struttura del gioco, su cui ovviamente non scenderemo troppo a fondo, a spiccare già in questa fase è Fragile, che – con la sua forza, con le sue debolezze, con il suo tormentato fascino, e con la sua lucida ira proverà a chiudere il cerchio di una vendetta che potrebbe salvare il mondo – rimarrà una gemma fino alla conclusione della storia. Altri, come Higgs e Amelie, sono appena presentati e sparano altissimo, lontanissimo, aspettando con una certa pretenziosità di spiccare il volo una volta entrata nel clou la narrazione e persino dopo che si sarà conclusa.
Un aspetto fondamentale che trapela dai primi tre capitoli in particolare è che ben presto dovrete padroneggiare la tentazione di prendere la vostra moto e sfrecciare per le ambientazioni di Death Stranding. Muoversi a piedi è non solo molto più agevole, dal momento che in questa fase avreste soltanto fatto la conoscenza degli strumenti che vi permetteranno di costruire strade e il terreno fin qui è di base sconnesso o frastagliato, ma anche di gran lunga più piacevole, perché permette di vivere il gioco palesemente con i tempi per i quali è stato progettato.
Mettersi a bordo di un mezzo e attraversare in fretta e furia un’area vuol dire facilitare frangenti in cui la fisica potrebbe far storcere il naso, dal momento che si ritrova a gestire impatti a velocità notevoli senza il mandato di distruggervi il veicolo, così come innescare reazioni quasi di rincorsa delle CA che, oltre ad essere potenzialmente infruttuose, finiscono anche col banalizzarne le premesse elementari.
Una peculiarità della versione PC è il crossover con Half-Life e Portal, quale omaggio dell’approdo del gioco su Steam. Il crossover consiste in un numero di missioni di ricerca assegnate da diversi gestori delle basi logistiche incontrati di volta in volta nell’estensione della rete chirale nelle United Cities of America, che identificano Sam come fan delle serie di Valve al pari dei committenti e prevedono il ritrovamento di cubi da compagnia dispersi in punti da identificare armati di bussola nel mondo del gioco.
Non scenderemo troppo nei particolari per non togliervi il gusto della scoperta, ma possiamo anticiparvi che non si tratta di materiale endgame, dal momento che in questi primi quattro capitoli ne abbiamo già incontrati tre; scovarli fornisce alcune ricompense speciali come gli occhiali di Gordon già esibiti in alcuni screenshot, ma almeno in uno dei casi in cui ci siamo imbattuti non si limitano semplicemente a ritoccare l’aspetto estetico del personaggio. Ce ne occuperemo più approfonditamente nella recensione completa ma, intanto, siamo curiosi di ritrovare i restanti cubi, e scoprire quali effetti le ricompense sbloccate potranno avere sul protagonista e sul suo lavoro.
Obiettivo 60fps
Affonderemo il colpo anche in questo caso nella nostra recensione, ma fin dal provato iniziale di Death Stranding appare chiaro come quei requisiti minimi e raccomandati diffusi, destando una certa sorpresa, pochi giorni fa siano stati pensati con un obiettivo ben chiaro in mente: sbloccare il frame rate di base rispetto alla versione per PS4, che gira a 30 fotogrammi al secondo sia sulla console originale che su PlayStation 4 Pro. Grazie ad un lavoro in fase di conversione che ci è parso ottimo – il che ci fa ben sperare per Horizon Zero Dawn, in arrivo quest’estate su PC anch’esso basato su Decima Engine – raggiungere i 60fps sembra davvero alla portata e non un semplice vezzo destinato alla platea di giocatori hardcore con macchine dalle prestazioni costosamente elevate.
La risoluzione minima disponibile è fissata ai 720p: non è bassissima ma, anche scendendo a questo livello un paio di gradini sotto l’esperienza originale che avevamo provato su PS4 Pro, rimangono di alto livello la bellezza degli scenari e dei modelli poligonali, che non subiscono l’impatto come un particolare downgrade e al contempo mantengono il target dei 30fps o beneficiano della fluidità dei 60fps.
Il frame rate massimo supportato è di 240fps, mentre la risoluzione massima disponibile sul nostro setup è di 4K; per quanto si parli di numeri abbastanza esotici, tenete presente che per il tipo di gioco, che ha per sua stessa natura un open world alquanto spoglio e scene d’intermezzo senza un quantitativo esorbitante sullo schermo, sapevamo fin dal principio che sarebbe bastato un buon adattamento per riuscire a proporle – e da queste battute iniziali ci pare sia successo proprio questo.
Abbiamo parlato non a caso di conversione anziché versione PC in questa fattispecie, dal momento che il lavoro preponderante condotto da Kojima Productions è stato sull’accertarsi che questa release girasse a quel numero di fotogrammi e con la maggiore leggerezza possibile; la parola d’ordine, insomma, sembra essere stata “ottimizzazione”. Tant’è vero che, quand’anche doveste disporre di una Nvidia RTX, altro non otterrete che la feature aggiuntiva del DLSS 2.0 – una funzionalità che alleggerisce ulteriormente il carico sulla macchina locale mantenendo l’impressione destata dalla risoluzione upscalata simile a quella nativa – e non ritrovati dell’ultimissima ora come il ray tracing.
La scalabilità verso il basso è dunque un punto a favore della produzione, ma verso l’alto? Prossimamente, toccheremo questi argomenti più nel dettaglio, insieme a quali impostazioni specifiche sono disponibili, qual è stato l’impatto su una GTX 980, qual è il comportamento del counter dei fotogrammi al secondo su più risoluzioni, quali differenze abbiamo riscontrato con i 30fps delle console e se in definitiva si può parlare di un upgrade sostanziale; soprattutto, avremo un confronto diretto con una vera e propria chicca riservata all’utenza PC, ovvero il supporto al 21:9 (il solo altro rapporto gestito dal titolo insieme ai 16:9), che promette di essere trasformativo per quest’esperienza come lo è negli open world nel complesso.
Per quanti temessero una certa inesperienza della software house giapponese con il mondo PC, questo approccio iniziale ci ha restituito la convinzione che da un punto di vista del puro funzionamento sia filato tutto liscio come l’olio, dal momento che le performance sono risultate stabili e non sono comparsi bug o glitch di sorta nella trascrizione verso la nuova piattaforma. Installato su un SSD, il gioco ha evidenziato fin da subito caricamenti in ingresso di partita più veloci rispetto a PS4, e abbiamo notato particolari come l’uscita istantanea e senza alcun errore dal gioco in rientro su Windows che restituiscono l’idea di una notevole pulizia del codice quando ancora mancano settimane al day one.
Per questo impatto iniziale abbiamo optato per il più sicuro controller Xbox ma non abbiamo rinunciato a giocare alcuni passaggi con mouse e tastiera per comprendere come fosse andato il lavoro di trasferimento dei comandi. Rimaniamo dell’idea che per il tipo di esperienza, che richiede di simulare a lungo la camminata o la corsa, sia meglio spingere una leva analogica anziché tenere premuto un pulsante su una tastiera, ma l’adattamento dei comandi ci è parso quantomeno efficace: la ruota delle armi e degli oggetti, forse l’aspetto che maggiori perplessità ci destava a livello di ragionamento, è stata affidata alla pressione dei numeri da 1 a 4, e la conseguente gestione dei menu con il mouse risulta particolarmente comoda. Similmente, nei rari scontri a fuoco che ci siamo concessi, abbiamo notato come il ricorso al mouse abbia smussato una delle spigolature del gioco originale, ovvero i controlli un po’ leggeri e fluttuanti dello shooting, al contrario adesso molto preciso – vuoi per il frame rate più stabile e fluido, vuoi per l’utilizzo di una periferica storicamente più congeniale agli sparatutto.
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+ La qualità dei personaggi emerge già nei primi capitoli
+ Ottimizzazione della versione PC di livello
Death Stranding è pronto a spiaggiarsi di nuovo, stavolta su PC, il 14 luglio. Come dimostrato da questo primo provato, in cui abbiamo posto l’accento sulla sua tenuta dopo il lancio in esclusiva su PS4 sia da esperti che da profani del titolo, la carica artistica e tecnica è ancora di un elevato spessore, ed è capace di suscitare emozioni così come sollecitare il pensiero e divertire, a patto di avere la giusta dose di pazienza per un gameplay che di rado ti viene incontro, su un piano puramente meccanico. Avremo un giudizio a tutto tondo sul gioco e un quadro completo sulla resa della versione PC, vera protagonista di questa seconda venuta, in meno di due settimane.
Le Migliori Offerte per Death Stranding
Voto Recensione di Death Stranding - Recensione
Voto Finale
Il Verdetto di SpazioGames
Pro
-
Regia e narrazione ancora ai vertici del settore
-
La qualità dei personaggi emerge già nei primi capitoli
-
Ottimizzazione della versione PC di livello
Contro
-
Da valutare la portata dei nuovi contenuti e delle migliorie tecniche
Commento
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