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Dead Island 2 | Recensione - Divertimento puro a Hell-A

L'apocalisse zombie che non ti aspetti: vi spieghiamo perché Dead Island 2, dopo il suo travagliato sviluppo, è stato una divertente sorpresa.

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a cura di Gianluca Arena

Senior Editor

Informazioni sul prodotto

Immagine di Dead Island 2
Dead Island 2
  • Sviluppatore: Dambuster Studios
  • Produttore: Deep Silver
  • Distributore: Plaion
  • Piattaforme: PC , PS4 , XONE , XSX , PS5
  • Generi: Survival Horror
  • Data di uscita: 21 aprile 2023

Sono passate poche settimane dal nostro primo approccio con la Los Angeles marcia di Dead Island 2, e le prime ore di gioco ci avevano lasciato ben sperare, alimentando la nostra curiosità sulla riuscita di uno dei prodotti dal ciclo di sviluppo più travagliato dell'ultimo decennio.

Adesso, migliaia di arti mozzati e di teste schiacciate dopo, ci sentiamo pronti a raccontarvi della nostra vacanza ad Hell-A, di ciò che funziona e di cosa è invece migliorabile nell'action RPG in prima persona di Dambuster Studios.

Prendete un'accetta, qualche scatola di antidolorifici e un paio di borracce: orde di mangiacarne putrescenti ci aspettano.

Drinking in Hell-A

Los Angeles ed i suoi dintorni sono quanto di più vicino ad un paradiso in terra: ville lussuose, piscine con vista oceano, un sacco di verde e gente ricca e sorridente che si aggira per le strade.

Per quanto non ai livelli visti nella serie Yakuza, ad esempio, Dead Island 2 si fa latore di una sorta di tour virtuale di determinate zone della città, ricreate in maniera certosina (seppur con qualche inevitabile libertà), che, al netto di arti mozzati e fiumi di sangue, potrebbe effettivamente fare da spot alla metropoli californiana per chi non l'avesse mai visitata.

Chi è stato a Los Angeles, invece, sa che i lustrini e l'ostentato benessere sono solo una faccia della medaglia, visto che basta imboccare la strada sbagliata ad un incrocio per ritrovarsi in zone abbastanza malfamate, con case decadenti e bilocali a pianterreno che hanno più inferriate che muri portanti. Ma non è questo il punto, per Dambuster Studios.

Il punto è che l'apocalisse zombie non fa distinzione alcuna e men che meno sconti: in una Los Angeles in cui si susseguono esplosioni, carneficine e crolli, il nostro alter ego (qualunque sia la scelta iniziale) si trova, suo malgrado, a dover affrontare orde di non morti, inizialmente per la sua sopravvivenza, ma presto anche per quella di tutti gli altri.

Los Angeles diventa allora la prima co-protagonista, con le sue storie narrate in tanti stralci di narrativa ambientale, in telefoni rinvenuti per strada o appunti presi su un computer ancora acceso grazie ad un generatore di emergenza.

Alcune tra le location più iconiche della metropoli statunitense faranno da scenario agli avvenimenti, da Hollywood Boulevard al molo di Santa Monica, passando per Bel-Air, aumentando il senso di immersione e di verosimiglianza dell'esperienza tutta.

Il plot di Dead Island 2 non ha apparentemente alcun legame con quello del primo capitolo, scelta saggia considerando i ben dodici anni intercorsi dalla pubblicazione di quest'ultimo, fatta eccezione per un singolo personaggio, che torna dal passato già nelle prime ore della campagna e che unirà le forze con il nostro avatar per uscire vivi dall'inferno scatenatosi nella città degli Angeli.

Questa discontinuità non solo assicura anche a tutti i neofiti la piena comprensione degli eventi narrati e delle motivazioni dei personaggi coinvolti, ma ha permesso agli scrittori del team di sviluppo inglese di battere strade inaspettate nella seconda metà della campagna, riservandosi un paio di colpi di scena apprezzabili che aiutano la narrativa a spiccare il volo dopo una prima parte piuttosto canonica nell'ambito delle storie post-apocalittiche.

Non giocherete a Dead Island 2 per la profondità dell'intreccio o per la qualità dei dialoghi, beninteso, anche se questi ultimi sapranno strapparvi più di una risata tra riferimenti alla cultura pop, satira sulla società americana e umorismo nero, ma i toni più leggeri rispetto al capostipite e la presenza di diversi personaggi non giocanti decisamente sopra le righe vi spingeranno ad ascoltare davvero cosa questi hanno da dire, invece che saltare brutalmente i dialoghi per dedicarvi allo sterminio di carne marcia.

Nonostante non siano strettamente necessarie al completamento del gioco, se non per i completisti ed i cacciatori di trofei, consigliamo di dedicare un po' di tempo alle quest secondarie, alcune delle quali nascondono molte tra le macchiette più riuscite (come un vecchio attore malfermo o una fanatica dei social media) di tutta la vicenda.

Ad aiutare lo storytelling ci sono anche un buon doppiaggio, che oscilla tra accenti britannici ed altri spiccatamente statunitensi, la buona caratterizzazione di ognuno dei sei (anti)eroi impersonabili, che non lesinano battutacce e di rado se ne stanno in silenzio, e la presenza della sottotitolazione nella nostra lingua, che aiuterà sicuramente nella comprensione quanti non padroneggino l'inglese a sufficienza.

Sangue ovunque

La più grande differenza tra questo reboot camuffato da sequel ed i suoi due predecessori (non dimenticate Riptide) è insita nella struttura di gioco, che abbandona l'open world per dividere l'enorme area metropolitana di Los Angeles in mappe ben distinte, separate da brevi caricamenti – che lasciano comunque più che sufficiente spazio all'esplorazione viste le ragguardevoli dimensioni e la buona densità tra missioni principali, secondarie ed attività di ricerca, legate ai volantini delle persone scomparse affissi per tutta la città.

In termini pratici la differenza è minima, ed anzi dopo qualche ora di gioco siamo arrivati a preferire l'attuale formula, perché ha permesso una maggiore caratterizzazione delle aree ed una migliorata distribuzione delle attività all'interno di esse, tanto da non farci mai sentire l'assenza di un mondo interconnesso.

Come e più che nel titolo Techland del 2011, i giocatori più curiosi e pazienti che sceglieranno di addentrarsi in anonime case aperte o in uffici ormai svuotati vi troveranno pezzi di lore nella forma di registrazioni e cellulari, piuttosto che armi ed oggetti utili per il sistema di crafting, ripreso dal capostipite. Tramite di esso è possibile personalizzare ognuna delle armi rinvenute in gioco con effetti elementali o con funzioni secondarie che si riveleranno sempre molto utili in battaglia.

Altra grande novità inserita da Dambuster Studios, della quale avevamo tessuto le lodi già in fase di preview, è il FLESH system, ovvero l'algoritmo che regola lo smembramento progressivo degli zombie a seconda del tipo di arma utilizzata, della direzione e dell'angolazione dei colpi: i nostri dubbi erano relativi all'effettiva utilità nelle mischie furiose che caratterizzano gran parte del titolo, e difatti, in presenza di più zombie, risulta difficile mirare ad una precisa parte del corpo e mutilarla, e quando questo avviene è più che altro per caso.

Eppure l'utilità del FLESH system, al netto della sadica soddisfazione di vedere arti e teste mozzati, si è mostrata in tutto il suo splendore in occasione di un paio di boss fight e, più in generale, durante gli scontri con nemici più coriacei dei comuni camminatori, come i Bavosi (che sputano bile acida a distanza) o i temibilissimi Macellai (con artigli ossei affilati come rasoi al posto delle mani), capaci di eviscerare anche il personaggio più coriaceo con quattro o cinque colpi ben assestati.

In queste circostanze, approntare una strategia che comprenda la mutilazione del bersaglio si rivela spesso la carta vincente: ci è capitato di affrontare un Macellaio (uno in particolare, che non sveleremo per non rovinare la sorpresa) e di venire maciullati un paio di volte di seguito, prima di mirare specificatamente alle braccia, tranciarle via con fatica e dimezzarne il potenziale offensivo, riuscendo così (comunque non senza fatica) ad avere la meglio.

Ecco che, allora, il sistema ideato dal team di sviluppo non è solo coreografico, ma si rivela molto utile ai fini del gameplay, anche perché, con nostro sommo gaudio, il livello di sfida è più alto della media delle produzioni più recenti: se è infatti vero che la penalità per la morte è spesso nulla, in quanto il personaggio respawna a poca distanza dal luogo della dipartita senza perdere alcunché in termini di esperienza ed oggetti accumulati, va anche detto che anche gli zombie più comuni sono capaci di infliggere danni ingenti qualora non si padroneggino a dovere la parata e la schivata.

Come per il capostipite, la prima metà della campagna risulta più impegnativa della seconda, perché l'ingresso in scena delle armi da fuoco sposta gli equilibri in favore del giocatore, ma comunque molti boss sono così aggressivi da non consentire un utilizzo troppo prolungato delle bocche da fuoco, costringendo il giocatore a difendersi all'arma bianca, da sempre il metodo di combattimento preferito della serie.

A tal proposito, non siamo rimasti particolarmente soddisfatti dal feeling delle armi da fuoco, che mancano dell'impatto e della fisicità di quelle da mischia e non restituiscono un feeling commisurato alle differenze tra le bocche da fuoco, appiattendo l'esperienza che si faccia fuoco con un revolver o con un fucile d'assalto.

Le armi, quindi, risultano molto utili nelle fasi avanzate della campagna, ma, come per il capitolo ambientato a Banoi, la scarsa reattività e delle animazioni un po' troppo lunghe e legnose fanno comunque preferire, quando possibile, l'utilizzo di mazze, bastoni, katane e tirapugni, che invece consentono di sguazzare come demoni nel sangue infetto dei malcapitati non-morti, in un trionfo di splatter degno dei peggiori B-movie horror degli anni '80.

Altro punto a favore della produzione è rappresentato dalle carte abilità, disponibili in quattro categorie differenti e capaci di plasmare il personaggio nelle mani del giocatore nei modi più disparati: le build possibili sono tantissime, tra quelle che prediligono la creazione di maggiore rabbia per riempire l'apposito indicatore, quelle che favoriscono l'output di danni e quelle che invece irrobustiscono il personaggio, diminuendo i danni incassati.

La profondità generale non è ovviamente al livello di giochi di ruolo d'azione in prima persona come Skyrim et similia ma, soprattutto nell'ottica delle run multiple concesse dal titolo visti i sei differenti sopravvissuti tra cui è possibile scegliere, c'è di che sbizzarrirsi.

Meglio del previsto

Alla luce delle già citate premesse (titolo in sviluppo da dodici anni, con tre differenti cambi di studio), l'analisi tecnica avrebbe potuto facilmente finire in un bagno di sangue (pun intended) e invece, nonostante una serie di compromessi legati alla natura cross-generazionale del prodotto, siamo stati felici di constatare che Dead Island 2 è un gioco che riesce a fare la sua sporca figura in diversi frangenti e che, in entrambe le versioni da noi provate (perlopiù Xbox Series X, ma anche PS5), gira senza grossi problemi legati alle prestazioni e alla fluidità generale.

Andiamo con ordine: nonostante un ottimo supporto all'HDR, la versione da noi testata non prevedeva alcuna modalità grafica aggiuntiva rispetto a quella preimpostata, nella quale il gioco girava a 60 fps con risoluzione variabile, ad occhio tra i 1440 e i 1800p a seconda dell'affollamento a schermo e delle situazioni di gioco, con le fasi al chiuso che ovviamente prevedevano un livello di dettaglio maggiore rispetto a quelle all'aperto, in cui la mole di poligoni da caricare e gestire era assai più consistente.

Non sappiamo se verranno aggiunte ulteriori opzioni nei prossimi mesi, ma oseremmo dire, vista la buona stabilità del frame rate, che il gioco non ne avrebbe bisogno quanto una ripulitura generale del codice per tutta una serie di minuzie, nessuna delle quali particolarmente impattante nell'economia di gioco.

Nemmeno una delle innumerevoli quest secondarie in cui ci siamo imbarcati (ne abbiamo completate 19 su 33 totali) è risultata buggata o ci è stato precluso il suo completamento da problematiche legate al codice, e lo stesso vale, ovviamente, per le ventiquattro quest che compongono la campagna principale.

Ci siamo piuttosto imbattuti in problematiche minori, alcune delle quali peraltro note al team di sviluppo, come cut-scene con personaggi che fluttuavano a mezz'aria (pur recitando il loro copione perfettamente), armi che sparivano per ricomparire poi nell'armadietto condiviso tra diversi utenti al successivo save point o piccole imperfezioni legate al ragdoll degli zombie, capaci di morire e decomporsi nelle maniere più strane ed innaturali.

Tutte imperfezioni secondarie molto comuni in titoli di questa portata, che probabilmente verranno sistemate con la patch day one, che si preannuncia abbastanza generosa: a parte queste, la nostra esperienza di gioco è filata via molto più liscia di quanto avremmo immaginato, senza crash di sorta, senza freeze temporanei, senza riavvii forzati in seguito a bug che impedivano l'avanzamento.

Tornando al frame rate e, più in generale, alle prestazioni, l'impatto visivo non di primissima fascia se paragonato ai tripla A più in vista ha permesso al team di sviluppo di ottimizzare la resa, concentrandosi su un aggiornamento dei frame sempre puntuale e raramente in leggero affanno, ma mai davvero in difficoltà.

Anche quando abbiamo fronteggiato dieci o quindici ammassi di carne putrida contemporaneamente, con esplosioni a schermo, lancio di bile acida e particellari qua e là, il frame rate si è sempre difeso più che egregiamente, con cali percettibili nei casi più estremi ma sempre molto contenuti, nell'ordine dei sei o sette frame persi dallo standard altrimenti ferreo di 60 fps.

Per raggiungere questi risultati si è dovuto scendere a compromessi dal punto di vista della qualità di certe texture, della ripetizione dei modelli degli zombie comuni e del livello di dettaglio di tutto ciò che non era nelle vicinanze del giocatore, sfocando elementi lontani o facendoli girare ad un frame rate dimezzato rispetto a quelli a fuoco, ma riteniamo che il team di sviluppo sia stato bravo nello scegliere dove tagliare e come nascondere il più possibile i tagli effettuati.

In soccorso di un livello di dettaglio non sempre impeccabile arriva anche una direzione artistica che ci ha colpito in positivo, capace di rendere omaggio, come detto in apertura, a location iconiche di Los Angeles ma anche di piegarle, per esigenze di trama, al proprio bisogno: siamo sicuri che vedrete Venice Beach ed il pier con la ruota panoramica sull'oceano con occhi diversi dopo aver completato Dead Island 2.

Per quanto abbiamo potuto provare, la modalità cooperativa online non soffre di particolari problemi di stabilità, ma, ovviamente, essa va rivalutata a server aperti a tutta l'utenza, in particolare a ridosso del day one, quando le orde di giocatori appassionati di zombie si riverseranno su di essi. Il cross play è possibile tra differenti generazioni di console ma non tra macchine appartenenti a famiglie differenti: nel nostro caso, ad esempio, ci siamo potuti cimentare con utenti Xbox One giocando su Series X (la trovate su Amazon), ma non era possibile fare altrettanto con utenti Sony.

Abbiamo trovato strana questa limitazione e confidiamo che nei prossimi mesi la situazione cambi, e con essa anche il bilanciamento delle sessioni cooperative, in cui l'asticella della difficoltà si abbassa in maniera consistente rispetto al single player.

Chiosa finale sulla durata complessiva, altro punto a favore della produzione Dambuster Studios: con poco più della metà delle missioni secondarie completate, una prima run ci ha portato via circa trentadue ore di gioco, ma tra modalità cooperativa e la possibilità di giocare nei panni di un altro superstite, con abilità del tutto differenti, il monte ore che il titolo potrebbe assicurare è davvero cospicuo.

Versione recensita: Xbox Series X | PS5

Voto Recensione di Dead Island 2 - Recensione


8

Voto Finale

Il Verdetto di SpazioGames

Pro

  • Divertente, nel senso più genuino del termine

  • FLESH system ottimamente realizzato

  • Longevo e piuttosto rigiocabile

  • Cooperativa ben fatta

  • Frame rate stabile in entrambe le configurazioni provate

Contro

  • Tecnicamente limitato dallo sviluppo cross gen

  • Feeling delle armi da fuoco appena sufficiente

Commento

Inutile girarci intorno: tutti abbiamo temuto che Dead Island 2 fosse dapprima vaporware, e poi che arrivasse sugli scaffali non proprio in forma, dopo uno sviluppo lungo, complicato e che non lasciava presagire nulla di buono. E invece, per una volta, siamo qui a raccontarvi di un happy ending: pur senza riscrivere nuove pagine della storia degli action rpg in prima persona, lo zombie game di Dambuster Studios si rivela spassoso, longevo, con solo una manciata di meccaniche da interiorizzare e tanto divertimento per quanti lo faranno. I punti di forza sono rappresentati dall'accuratezza del FLESH system, che cambia l'approccio a certi scontri, dall'iconicità di moltissime delle location visitate, dal buon livello di sfida e finanche da una cooperativa che si è dimostrata solida durante i nostri test. D'altro canto, non ci hanno convinto a pieno nè il feeling delle armi da fuoco nè il comparto tecnico limitato dallo sviluppo cross-gen, ma il bilancio finale rimane ampiamente positivo.
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