Stando alle nostre prove, il sistema di controllo migliore è il pad. Questo perché il titolo dà a disposizione del giocatore almeno tre azioni base. La prima riguarda il fuoco. Il tempio, infatti, è un luogo assai buio, motivo per il quale il protagonista deve avere sempre con sé una fiaccola. Questa può essere utilizzata come un’arma – per dare fuoco ai nemici – e ovviamente per dare luce agli ambienti.
Quando si sguaina la spada (o l’arma principale), però, la fiaccola viene messa da parte, e l’ambiente si fa buio. Per evitare di combattere alla cieca è possibile fare due cose. Dare fuoco ai nemici, o cercare di accendere i tanti bracieri sparsi per le stanze. Oltre all’opzione dedicata al corpo a corpo c’è anche un’arma a distanza (pistola o arco), e volendo una terza arma, dedicata agli attacchi pesanti. La varietà di opzioni offensive è discreta già da ora, con armi più lente ma potenti, oppure opzioni rapide ma meno letali.
Diciamo che destreggiarsi tra fiaccola, tre tipi di attacchi, nemici che attaccano da tutte le parti, trappole e scarsa luminosità sarà una bella sfida. Una sfida che, a quanto abbiamo potuto constatare, diventa sempre più piacevole man mano che si prende confidenza con le meccaniche di gioco. Non c’è dubbio, però, che il primo impatto può essere un po’ disorientante, ancora di più se si sceglie di giocare con mouse e tastiera.
Oro o sangue: a cosa rinunci?
I combattimenti di Curse of the Dead Gods hanno un ritmo molto serrato, ma anche una componente tattica. Nella versione da noi provata erano disponibili sei tipologie di nemici (senza contare boss e campioni), divisibili grossomodo in pericoli dalla lunga e breve distanza. Capire le loro routine di attacco è stato piuttosto facile. Ciò non vuol dire, però, che sia stato semplice evitarli, visto che il loro numero era sempre elevato.
Il giocatore, poi, avrà a disposizione cinque punti stamina, che consentono di effettuare azioni speciali come schiavata, colpi a distanza e attacchi corpo a corpo più potenti. Questi punti si ricaricano col tempo, ma più volte ci siamo ritrovati completamente a secco, e questo ci è costato preziosi punti energia. Si tratta di una dinamica interessante, che viene ulteriormente complicata da altri elementi: corruzione, reliquie e benedizioni.
Scendendo nello specifico, il potere malvagio del tempio si manifesta attraverso gli attacchi nemici, e ciò aumenta la propria corruzione. Quando questa giunge al massimo, il protagonista viene maledetto. È una cosa negativa? Non necessariamente. Le maledizioni portano malus e bonus diversi ogni volta, rendendo unica ogni run.
In un nostro tentativo, ad esempio, una maledizione trasformava l’oro in sangue corrotto. Non potevamo raccogliere monete, ma il sangue rigenerava parte della nostra salute (e aumentava la corruzione). In un altro caso, il potere del tempio ci rendeva invisibili quando eseguivamo una schiavata, ma ci impediva di effettuare parate perfette. Ancora, in un caso particolarmente sfortunato, abbiamo ricevuto una maledizione che riduceva progressivamente la nostra salute, rendendo la sfida particolarmente ostica. Durante una run, si può essere vittima di un massimo di cinque maledizioni. Una di queste può essere rimossa dopo aver sconfitto un boss.
Gli altri elementi che modificano l’esperienza di gioco sono, come visto, reliquie e benedizioni. Le prime si trovano alla fine dei livelli, e portano diversi benefici (maggiore destrezza, barra della vita più lunga, e così via). Queste possono essere acquistate con le monete d’oro raccolte nei livelli, o aumentando la propria corruzione. Se le reliquie sono relative alle singole run, le benedizioni invece sono permanenti. Possono essere acquistate grazie ai teschi raccolti durante i combattimenti, e garantiscono bonus più o meno interessanti.
L’esperienza di gioco, in ultima analisi, è sicuramente piacevole. La difficoltà ci è parsa piuttosto progressiva, e i percorsi disponibili si adattano alle capacità del giocatore. Vero è che, al momento, la varietà di nemici non è così elevata. Questo non diminuisce il valore della sfida, ma è anche giusto dire che la ripetitività è un po’ dietro l’angolo.
Nonostante ciò, la presenza della corruzione, con conseguenti bonus e malus, contribuisce a rendere il tutto un po’ più movimentato.
La maledizione di un tempio isometrico
Dal punto di vista tecnico, Curse of the Dead Gods ci è parso un gioco relativamente leggero e ben digeribile da configurazioni anche non proprio recentissime. I requisiti consigliati, tra le altre cose, “sparano” un processore Intel Core i7 come chip ideale per la fruizione del gioco, ma anche opzioni dalle prestazioni inferiori sapranno in grado di gestire il titolo.
Graficamente, siamo davanti a un gioco dall’estetica pulita, con un utilizzo piuttosto saggio del cell-shading. La gestione dei livelli di illuminazione, elemento essenziale anche per il gameplay, avviene in maniera sufficiente, senza picchi degni di un plauso ma neanche note particolarmente negative.
Dal punto di vista sonoro, invece, l’elemento che ci è rimasto particolarmente impresso è il gemito di dolore che il povero protagonista emette molto spesso. Per entrare nel tempio, ad esempio, il nostro deve subire il primo attacco della corruzione (primo gemito). Ogni volta che si passa a un altro livello, un altro gemito. Insomma, è tutto un gemere – non è una cosa negativa, solo una nota di colore.
Ci è piaciuto anche lo squillo con il quale il titolo sottolinea che un attacco nemico particolarmente importante è andato a termine. Fa salire la tensione, è sufficientemente preoccupante e spinge il giocatore a concentrarsi. Musiche di sottofondo, invece, praticamente non ce ne sono.
Il titolo, infine, è localizzato in italiano, o quasi. La maggioranza dei testi sono nella nostra lingua, mentre altri sono ancora in inglese.