Corte d’Appello #2 | Kratos e l’ascensione mancata
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a cura di Adriano Di Medio
Redattore
Bentornati alla Corte d’Appello, la sede in cui riesaminare titoli che ai tempi divisero critica e pubblico. Attraverso una nuova analisi, più a mente fredda, potremo provare a capire se le reazioni di quando uscirono sono condivisibili oppure infondate. Nella puntata precedente abbiamo parlato dello “scomodo” Spyro: Enter the Dragonfly, oggi invece torniamo su una storia recentemente arricchitasi: God of War. Perché, pure se adesso Kratos ha recuperato l’eccellenza nella sua nuova vita nel gelido Nord, non tutto quello che l’ha riguardato era degno di lode. Stiamo parlando di God of War: Ascension.
Due a gen, e tanto basti
Partiamo da leggermente prima: nel 2010 esce God of War III ed è un successo su tutta la linea. Il crepuscolo degli dèi olimpici per mano del Fantasma di Sparta è talmente intriso di epicità da non far vedere i propri difetti. Il finale della storia è fermo, pur se un po’ furbo: Kratos apparentemente muore una volta spazzato via Zeus. Tuttavia qualcosa si muove dentro Santa Monica Studio, reclamando il rispetto di una tradizione delineatasi nei cinque anni precedenti. Ogni console Sony a partire da PS2 ha infatti ospitato rigorosamente due avventure di Kratos. Su PlayStation 2 c’erano i primi due capitoli della saga principale, e su PSP con i capitoli-raccordo Chains of Olympus e Ghost of Sparta. PlayStation 3 finora ne ha però solo uno, appunto God of War III. Prima che la generazione finisca c’è bisogno di un altro GoW su tale console, e per questo i Santa Monica vengono messi al lavoro. E come da altra “tradizione” il game director cambia ancora: dopo Stig Asmussen viene scelto Todd Papy, che si trova a tirar fuori il meglio che può in relativamente poco tempo.
Non potendo rimangiarsi la parola sulla morte (autentica o inscenata) del loro personaggio di punta, decidono di puntare anche loro sul prequel, infilandosi nel breve periodo di tempo che c’è tra la rottura del patto di sangue tra Kratos e Ares e l’inizio di Chains of Olympus. Con tali premesse e un bel po’ di lavoro, God of War: Ascension viene infine pubblicato a marzo 2013, pochi mesi prima dell’arrivo della current gen. Tra indiscrezioni sulla durata dell’avventura e una campagna promozionale eccessivamente incentrata sul multigiocatore una nube di dubbio già si addensava sul pubblico.
Ritroviamo un Kratos lontano dalla rabbia e dall’odio del precedente episodio, impegnato stavolta a evitare che visioni distorte gli mandino la mente in pezzi. Autrici di questo suo tormento sono le Furie, che gli danno la caccia proprio per via del fatto che lui ha tradito il suo patto con Ares. La narrazione del gioco prosegue così alternandosi tra il suo viaggio per rompere il patto e la sua fuga dalla Prigione dei Dannati, eretta sul Centimane Briareo e residenza delle Furie.
Scalda la minestra, spartano!
Mettiamola così: di fondo God of War: Ascension non altera praticamente nulla di quello fatto dal suo predecessore. Siamo di nuovo davanti a un’avventura dinamica dalla forte componente action, in cui a viscerali combattimenti contro mostri più o meno giganti si alternano enigmi ambientali e una blanda esplorazione. In sé l’amalgama funzionava bene, e pure cinque anni dopo ha ancora un suo perché. Il feeling con Kratos non fa una piega e la cattiveria con cui questi si accanisce su abomini e mostri mitologici ancora regala soddisfazioni. A stonare è paradossalmente quelle cose su cui dicono si fossero concentrati di più: trama e tecnica di combattimento.
La decisione di amplificare il lato umano di Kratos stona proprio con la spietatezza che invece esibisce quando siamo noi giocatori a controllarlo. Il gran lavoro di motion-capture svolto per i filmati in tempo reale finisce al servizio di una trama prettamente fine a sé stessa. I toni esagerati e un po’ teatrali degli attori (mantenuti pure dal doppiaggio italiano) sono poi il minimo a fronte delle incongruenze (contestuali e non) che li accompagnano. Dai potenziamenti di Kratos che passano per osmosi dai flashback (Delfi, Delo) al presente (Prigione dei Dannati) fino a comprimari che in God of War: Ascension sono essenziali (Orkos) e che poi spariscono nel nulla in quelli che in ordine sarebbero capitoli successivi, i motivi per lasciar perdere il plot sono anche troppi. Ma purtroppo stavolta neanche il combattimento non riesce a dare molta soddisfazione. Unica arma fissa sono le Lame del Caos, a cui vengono presto aggiunti quattro poteri arcani: fuoco di Ares, ghiaccio di Poseidone, fulmine di Zeus e anime di Ade (pure questi viaggiano senza problemi dai flashback al presente). Le Lame stesse permettono di eseguire le tecniche avanzate solo se si riempie un’apposita barra della rabbia. In teoria tutto questo dovrebbe spingere verso un combattimento più tecnico, ma non aver toccato altre meccaniche come la schivata sbilancia il tutto verso un uso intensivo di una sola infusione (per molti il fuoco di Ares) abbinata a artefatti recuperati.
Schegge conficcate
Ma per quanto breve, il riesame non può ripiegarsi solamente nell’accanimento terapeutico. God of War: Ascension ha anche delle positività, e la maggior parte si trovano tutte nell’imponente comparto grafico. L’opera di Santa Monica al nocciolo riprende da God of War III e si crogiola in una grandiosità tale che non ha avuto modo di invecchiare in questi cinque anni. Ambienti ariosi, animazioni dettagliate ed elaborate coreografie e scene di distruzione ci sono tutti. Il gioco comunque non è tecnicamente raffinatissimo, in quanto presenta alcuni scatti dovuti ai caricamenti delle nuove porzioni di ambientazione e un fastidioso pop-up di texture. In special modo quest’ultimo difetto (dentro e fuori dai menu) ci accompagnerà per tutta l’avventura, dalla durata purtroppo tutt’altro che eccezionale. C’è da dire che prima dell’ultimo uscito ad aprile di quest’anno nessun God of War ha mai avuto durate eccessive (erano tutti sulle dieci-dodici ore) ma Ascension a difficoltà media ne dura un terzo in meno, lasso di tempo che si riduce anche di più dalla seconda run in poi. Un po’ meglio la colonna sonora: la competenza di Tyler Bates (già autore delle musiche di 300) non si discute, ma nel complesso è assai meno memorabile che in passato. Tanto che, dopo la pubblicazione proprio di Ascension, le speranze di rivedere Kratos si erano quasi volatilizzate. Non solo: era ormai solidificata l’idea che un personaggio come il suo fosse monocromatico e che i tentativi di sfaccettarlo maggiormente avrebbero fatto più danni che altro.
Evidentemente molta attenzione al singolo era stata sacrificata al multigiocatore, novità assoluta. L’idea di fondo è la medesima di Kratos: votarsi a un dio dell’Olimpo per ottenere i suoi favori. Tale è la modalità, in cui all’inizio si deve scegliere a chi giurare fedeltà (Ares, Poseidone, Zeus o Ade) e poi da lì cominciare la scalata all’arma bianca in arene inedite (al ciclope Polifemo è dedicata un’intera arena e c’è un cameo di Ercole in un’altra). Un multigiocatore per i tempi atipico e che forse non era neanche così pessimo, ma che finì per non attecchire. Forse perché potrebbe essere visto come l’ennesima incongruenza: se durante tutta la sua storia aiutiamo Kratos a svincolarsi dal patto con un dio, perché nel multigiocatore costringerci a fare esattamente il contrario?
God of War: Ascension: colpevole o innocente? Certo è che Santa Monica ai tempi sapeva cosa voleva il pubblico di Kratos e con Ascension ha cercato di dargliene in abbondanza. Il problema era che tale offerta avveniva solo in virtù dell’eccesso e non per voler effettivamente aggiungere un tassello alla parabola del Fantasma di Sparta. Per usare una metafora, è come se al ristorante si mangia una una bistecca da tre chili (GoW III) e quando ci si vuole alzare dal tavolo il cameriere arriva con petto di pollo e insalata e costringe a rimanere finché non si è mandato giù anche quest’altro piatto. Del resto anche la Sony non parla più di Ascension da tempo, tanto da aver rimasterizzato su PS4 il solo God of War III. Quindi, Ascension è colpevole ma la condanna è commutata in oblio.
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