Brothers in Arms Furious 4, il Bastardo Senza Gloria di Gearbox | Post Mortem #6
Nel nuovo Post Mortem esploriamo le vicende dello sfortunato Brothers in Arms Furious 4 di Gearbox
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a cura di Paolo Sirio
Nei precedenti numeri di Post Mortem, abbiamo discusso di gestazioni molto lunghe che hanno portato alla cancellazione di titoli anche tanto attesi, e di altre più brevi e intense che hanno visto cambi repentini di programma o svolte legate alla sfera dello business e non a quella puramente videoludica. A questo secondo ambito appartiene Brothers in Arms Furious 4, l’ultimo capitolo della longeva e apprezzata serie di Gearbox Software, che è stato presentato nel 2011 salvo poi venire completamente rimaneggiato nel giro di appena un anno, principalmente per un “change of heart” dettato dalla risposta del pubblico e dei fan all’annuncio di un episodio così diverso dalle radici della saga.
Scopriamo insieme com’è andata, allora, con il Bastardo Senza Gloria dello studio di un franchise del calibro di Borderlands.
Cosa sarebbe stato
Come abbiamo anticipato, Brothers in Arms Furious 4 è stato presentato all’E3 2011 nel corso della conferenza Ubisoft, tradizionalmente il publisher della serie sviluppata da Gearbox. Su quel palco salì il CEO Randy Pitchford in persona, svelando, insieme ad un primo trailer, il cambiamento radicale cui il franchise sarebbe stato sottoposto attraverso quell’iterazione.
Facendo un brevissimo passo indietro, ricordiamo che i giochi di Brothers in Arms hanno sempre avuto un approccio molto realistico alla Seconda Guerra Mondiale, sia per quanto riguarda il gameplay, dal piglio fortemente tattico, sia per la narrazione, dai toni drammatici e per certi versi crudi. Furious 4 sarebbe rimasto nello stesso quadro storico ma avrebbe rappresentato l’esatto opposto, fin dalla direzione artistica adottata, un cel shading ispirato palesemente a Team Fortress 2 nella resa tecnica e da Bastardi Senza Gloria nel mood, con addirittura una scena all’interno di una taverna che sembrava ricalcare pedissequamente un passaggio della pluripremiata pellicola di Quentin Tarantino.
In termini di gameplay, il titolo sarebbe stato incentrato su una campagna co-op per quattro giocatori, ognuno con il proprio personaggio e la relativa classe: Stitch avrebbe avuto un taser come arma principale e la possibilità, connessa a qualche tipo di bonus non specificato, di lasciare un marchio a fuoco sulle teste dei nemici; Crockett avrebbe avuto uno stile da cowboy e un letale revolver; Chok, con il suo tomahawk da utilizzare negli scontri ravvicinati o lanciare dalla distanza, e un mitra leggero per non farsi mancare niente; Montana, basato su Heavy di Team Fortress 2, con una potente mitragliatrice gatling – si tratta dell’unico tratto in comune assodato con Battleborn, del quale parleremo più avanti.
Sarebbe stato incluso anche il multiplayer competitivo, sebbene i dettagli in merito non siano mai stati approfonditi e quindi non sappiamo realmente quanti utenti avrebbe compreso e quali modalità.
Le ambientazioni, dove avrebbero trovato ampio spazio simbologie e architetture naziste, che avrebbero contenuto le nostre nefandezze sarebbero state piuttosto estese: come apprezzato nel poco gameplay reso pubblico, ci sarebbe stata la possibilità di piazzare trappole lungo i tracciati percorsi dalle intelligenze artificiali dei nemici, nonché di colpire punti strategici come una ruota panoramica per far sì che causasse enormi danni sulle forze avversarie ed esplosioni nelle aree circostanti.
L’arsenale in tal senso non sarebbe stato limitato alle armi equipaggiate di base ma avrebbe raggiunto vette splatter come un lanciafiamme e una motosega, da utilizzare a proprio vantaggio in considerazione del fatto che ci sarebbero stati nemici corazzati da aggirare e colpire insieme al resto della squadra per avere una chance di essere più efficaci. Ci sarebbe stato un incentivo a lavorare in team, con obiettivi opzionali che avrebbero richiesto di far esplodere un certo numero di lampade ad olio o compiere strisce di uccisioni.
Nonostante l’ingresso nel mondo del gioco online, la storia non sarebbe stata trascurata: le penne di Gearbox avevano lavorato ad una trama in cui i Furious 4 avrebbero collaborato per abbattere un esercito sperimentale tedesco fino a raggiungere il Fuhrer, eliminarlo ed invertire le sorti del conflitto globale.
Ci sarebbe stato anche un narratore, che avrebbe guidato il giocatore nelle fasi iniziali della missione, mostrato il piano d’attacco, e avrebbe contribuito alla cifra umoristica del gioco, facendo di tanto in tanto battute sui protagonisti che a suo dire non sarebbero state delle cime (e a vederli non possiamo negare l’impressione).
Cos’è stato
Al reveal di Brothers in Arms Furious 4 si era parlato di un’uscita per PC, PS3 e Xbox 360 nella prima metà del 2012. E, a giudicare dal fatto che alla presentazione era stato portato del gameplay e che la stampa aveva potuto provare il gioco a quell’E3, il traguardo sembrava relativamente a portata di mano. In ogni caso, già nel 2011 era trapelato qualche dettaglio non troppo rassicurante circa lo sviluppo, che lasciava intravedere la forte natura di compromesso che Furious 4 portava con se fin dalle prime battute della realizzazione.
A Kotaku, Nourredine Abboud di Ubisoft rivelò infatti che Gearbox non aveva idee su come portare avanti il franchise, qualcosa che l’editore transalpino voleva invece accadesse per via del buon successo di critica e pubblico riscontrato da Hell’s Highway nel 2007. In mancanza di spunti per mandare avanti la storia senza snaturarne il DNA, e con Ubisoft che premeva per avere qualcosa in tempi stretti e che non richiedesse un ciclo di lavoro di quattro anni – mentre già si aspettava l’annuncio della “nuova ondata di console” -, le due parti trovarono un accordo su un prodotto che avrebbe mantenuto la denominazione della saga ma sarebbe stato più fresco e moderno, e in un certo senso anche meno impegnativo da un punto di vista sia autoriale che realizzativo (in quest’ottica leggiamo la transizione da una grafica fotorealistica ad un cel shading non troppo originale).
Ad ogni qual modo, la parve iniziare a mostrare segni della mancanza d’ispirazione e di un conseguente, potenziale stallo quando nel maggio 2012 il publisher abbandonò il marchio, rifugiandosi ufficialmente dietro problemi tecnici che avrebbero visto l’USPTO, l’ufficio brevetti americani, richiedere che fosse soltanto una compagnia a detenere il trademark sul nome del gioco e non due entità separate; ragion per cui in tale frangente l’IP passa interamente nelle mani dello studio di Pitchford.
Evidentemente, però, il quadro era molto più complesso di quanto non fosse stato fatto trapelare, visto che a settembre 2012, nella cornice del PAX Prime, lo stesso Pitchford anticipò che “il nostro Pokémon si è evoluto (…) ha diversi poteri”. Nella fattispecie, il gioco era diventato una IP del tutto nuova che, similmente a quanto sperimentato con Borderlands (un po’ FPS, un po’ RPG) sarebbe stato un ibrido, sebbene non fosse ancora ben chiaro di quali tipologie di gioco.
L’11 febbraio 2013 arrivò la conferma di questa anticipazione e una spiegazione del perché il titolo non sarebbe stato “nemmeno più Furious 4”. Quello sparatutto co-op infatti “si sta evolvendo in qualcosa di nuovo. Ad un certo punto annunceremo cosa sia quella cosa. Sarà come una cosa interamente nuova”. La sua dichiarazione è abbastanza esplicativa di come sia andata con lo sviluppo:
“Fondamentalmente, mentre il design veniva iterato intorno a loop di gameplay e cose sperimentali, il gioco era molto divertente. Ma portando avanti quel processo abbiamo cominciato a muoverci sempre più lontani da quello che Brothers in Arms dovrebbe essere. Ciò che abbiamo fatto, poco dopo l’E3 dove lo abbiamo annunciato, è stato semplicemente accettarlo. Davvero, lo sapevo. Volevo fare l’annuncio all’E3 per provarlo a me stesso. Ed è stato molto strano, quasi un capovolgimento. Tutti i recensori e tutta la stampa gioca così tanta roba. Quelli di noi che giocano tonnellate di cose non riescono ad attaccarsi a niente.
Lo hanno analizzato semplicemente per ciò che è. ‘Sembra magnifico. Quel gioco è piuttosto carino’. I nostri fan die-hard di Brothers in Arms, che lo amano per ciò che è, ci hanno detto invece ‘cosa ca**o è questo? Non è ciò che voglio. Lo odio, perché per colpa sua non avrò ciò che voglio’. E hanno ragione; voglio dire, sbagliavano quando dicevano che noi non volessimo fare un gioco di Brothers in Arms, ma noi non glielo abbiamo detto e loro non potevano saperlo. Quella sensazione è corretta”.
Quindi, da un lato c’era il desiderio di non tradire il franchise di Brothers in Arms, che aveva ormai una sua community e determinate aspettative per ogni uscita, e dall’altro c’era la volontà di continuare ad “iterare” la formula definita “divertente” di Furious 4, che aveva almeno apparentemente l’unica colpa di non essere un vero BiA.
Perciò, Gearbox prende la decisione di “scollegare” il gioco dalla proprietà intellettuale e portare avanti lo sviluppo, sotto un altro brand e un’altra identità che avrebbe tenuto fede a ciò che era diventato quello shooter nella fase cantieristica e non ad una serie nella quale non si riconosceva più. Parallelamente però, e siamo nel 2013, la software house texana assume l’impegno di portare avanti Brothers in Arms con un altro capitolo che a quanto ci risulta sarebbe stato già in “pre-produzione”, sebbene non fosse stato annunciato perché il CEO non voleva gli venisse affibbiata (e venisse schiacciato da) l’etichetta di vaporware o titolo in sviluppo per cinque anni.
Sempre quel giorno e sempre in quell’occasione, Pitchford rivela che non la nuova IP non sarebbe stata pubblicata da Ubisoft, dal momento che c’era stata della “tensione” nel momento in cui il publisher con quartier generale a Parigi si era reso conto che non avrebbe un capitolo di Brothers in Arms da presentare agli investitori e ai propri clienti nel corso del 2012.
La casa di Yves Guillemot non aveva voluto nemmeno avviare (o non le era stato proposto) un discorso circa la pubblicazione del prossimo episodio della saga bellica, e questo lascia immaginare rapporti deteriorati tra le parti in causa e anche uno stato estremamente embrionale del progetto che avrebbe dovuto prendere, nell’ambito di quella saga, il posto di Furious 4. “Si aspettavano qualcosa che non è successo nel modo in cui doveva, ma dobbiamo fare quello che dobbiamo fare. Tutti lo accetteranno”, dissero dallo sviluppatore.
Battleborn viene annunciato un anno dopo, nel 2014, in un momento in cui Brothers in Arms è quasi finito nel dimenticatoio e nessuno vede un nesso tra i due progetti. D’altronde, come aveva anticipato Pitchford, si tratta ancora di uno sparatutto ma di uno che si è ibridato con qualcosa di molto diverso, ovvero il genere dei MOBA che in quegli anni era imperante ai livelli delle battle royale oggi (sembra un’era geologica fa, ma tant’è). Nel 2015, al Developer: Brighton, il fondatore di Gearbox fa tuttavia il collegamento, spiegando che “lo sviluppo creativo è un trip. L’idea che qualcosa che è partito come un Brothers in Arms attraverso un giro assurdo sia finito come Battleborn è la conferma di ciò che è possibile”.
In quell’anno, il collegamento diventa palese pure al pubblico, dal momento che un personaggio chiamato “Montana”, proprio come l’eroe simil-Heavy dei Furious 4, viene introdotto nel roster di Battleborn: le fattezze sono praticamente le stesse, soltanto rimaneggiate per rispecchiare la nuova direzione artistica del progetto, al pari dell’arma, una mitragliatrice gatling, e le dimensioni. In ogni caso, questo arrivo non viene visto come “un cameo, Montana esiste davvero solo nell’universo di Battleborn. Non è mai esistito nell’universo di Brothers in Arms, perché quel gioco non è mai stato fatto”.
Parole abbastanza amare, a leggerle ora, anche perché paradossalmente quell’apparizione un po’ a sorpresa – per non dire riciclo – di Montana è l’ultimo contenuto pur vagamente di Brothers in Arms su cui abbiamo potuto mettere le mani. Nello stesso anno, comunque, Pitchford spiegò che avrebbe avuto bisogno di “buoni partner” per realizzare un nuovo capitolo, al momento in una fase di “incubazione” e mosso dalla volontà di chiudere una faccenda incompleta sia nella “fiction” che nella realtà. Il suo ultimo tweet, nel quale a quattro anni di distanza parla di un annuncio che sembrerebbe quasi imminente, lascerebbe intendere che la ricerca possa essere finalmente andata a buon fine, ma viste le lungaggini su Borderlands 3 non ci sentiamo pronti a metterci la mano sul fuoco.
Il tortuosissimo percorso di Brothers in Arms Furious 4 rivela un processo di sviluppo che è stato quanto mai aperto e trasparente, pur portando a conseguenze che con ogni probabilità gli appassionati del franchise non avrebbero voluto vedere affrontate. Gearbox è stata accusata in alcuni casi di essere l’esatto opposto, e con Aliens: Colonial Marines ha condotto lo sviluppo in una maniera che (tra subappalti e scarsa chiarezza nella comunicazione col pubblico) di certo non ci fa pensare il contrario, ma almeno nella questione di Furious 4 ha colto subito il sentimento dei videogiocatori e deciso, con tutte le possibili ritorsioni del caso, di cambiare completamente rotta.
Battleborn ha avuto dalla sua la sfortuna di un design ibrido non riuscito come Borderlands, o semplicemente fuori tempo massimo, e la congiunzione astrale che lo ha portato ad arrivare sul mercato pressoché negli stessi giorni di Overwatch, che avrebbe monopolizzato l’attenzione dei media e dei gamer nel segmento sparatutto per diversi mesi se non anni. La speranza è a questo punto che Pitchford e i suoi scommettano di più sull’autenticità e sulla fedeltà al franchise di Brothers in Arms, visto che l’ibridazione (specie se last minute per cavalcare un’onda) non sempre paga e che la community sa bene cosa vuole vedere da un nuovo capitolo.
Voto Recensione di Brothers in Arms Furious 4, il Bastardo Senza Gloria di Gearbox | Post Mortem #6 - Recensione
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