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Bloodborne | Il messaggio della Notte di Caccia

Una riflessione su Bloodborne, il videogioco di ruolo d’azione di FromSoftware che da oltre quattro anni rimane una delle esclusive di punta di PlayStation 4

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a cura di Adriano Di Medio

Redattore

Informazioni sul prodotto

Immagine di Bloodborne
Bloodborne
  • Sviluppatore: From Software
  • Produttore: Sony
  • Piattaforme: PS4
  • Generi: Gioco di Ruolo
  • Data di uscita: 25 marzo 2015 - 24 novembre 2015 (The Old Hunters) - 3 dicembre 2015 (Bloodborne: The Old Hunters Edition)

Nel 2015, a un anno e mezzo dal debutto dell’ottava generazione, Bloodborne veniva pubblicato su PlayStation 4. Inizialmente conosciuto come Project Beast, segnava il debutto inedito ufficiale (tolto Scholar of the First Sin) di FromSoftware nell’allora nuova generazione di console.

A ormai quattro anni da quel momento vogliamo riflettere (esattamente come avevamo fatto con Dark Souls Trilogy) sulle tematiche e sul messaggio di questa convoluta ma affascinante opera horror-steampunk di Hidetaka Miyazaki.

Blooborne

La strada è lunga, ma abbiamo tutta la notte

Al di fuori della decisa virata a livello di design di voler incentivare l’iniziativa del giocatore invece che essere “passivi” come nei precedenti lavori (Sekiro porterà all’estremo tale “rapidità”), Bloodborne inizia in maniera decisamente diversa dalla trilogia di Dark Souls. Dove quest’ultima infatti impostava una vera e propria cosmogonia spiegandone anche le regole generali pirocentriche, in Bloodborne inizia con la firma di un “contratto” (che corrisponde alla creazione del personaggio) e una trasfusione di Sangue. Da questa il giocatore si scopre Cacciatore, ma dopo questi pochi dettagli l’opera abbandona l’utente completamente a sé stesso. Una scelta ancora oggi ben più che audace, ma che allo stesso tempo lascia già intendere come la narrativa del gioco sarà assai più “fumosa” e “astratta” rispetto al passato. Ciò quindi comporterà un più deciso addentrarci all’interno degli eventi.

Il messaggio della notte

I passi successivi della progressione sono più o meno conosciuti: la Caccia assume presto i tratti della follia collettiva, in cui cittadini piagati da una misteriosa malattia del sangue si accaniscono contro grottesche belve lupigne. Il personaggio viene salvato dalla morte dal Sogno del Cacciatore, una dimensione parallela al mondo “reale” di Yharnam. Tale dimensione, oltre a essere punto di ristoro, congela completamente sia il tempo che lo spazio, facendo in modo che tutta la vicenda si ambienti in un’unica Notte di Caccia. Essendone coinvolto suo malgrado, il Cacciatore quindi non può che seguire gli insegnamenti del padrone di tale SognoGehrman, e quindi avventurarsi nella tenebrosa e gotica città.

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Un solo tema, ma sfaccettato

Essendo circoscritto a un solo videogioco, il mondo di Bloodborne non ha chiaramente la stessa varietà di temi e messaggi della trilogia di Dark Souls. A fronte dei dettagli più “astratti” però si riesce sin da subito a ravvisare come quest’opera di FromSoftware ruoti attorno a un unico grosso tema: la cupidigia. Che per quanto sia essenzialmente da solo viene esplorato in maniera più approfondita e se vogliamo “farmaceutica”, venendo simbolicamente esplicato a tutti i livelli “sociali” con cui si viene in contatto nel corso dell’avventura. I cittadini di Yharnam hanno periodicamente a che fare con grottesche epidemie che trasformano le persone in belve dall’aspetto lupesco. Tale trasformazione è un effetto collaterale all’assunzione del Sangue Curativo, sostanza miracolosa capace di curare ogni malattia e menomazione. Tale sostanza viene amministrata dalla Chiesa della Cura, che mantiene il controllo della città attraverso le Cacce. Fondatori e allievi di tale megalitica istituzione sono infatti entrati in contatto con i Grandi Esseri, misteriose entità dai poteri praticamente divini. Tali Esseri avevano promesso loro l’accesso a oggetti e sostanze “miracolose” in cambio di qualcosa di stranamente molto “venale”: che alcuni umani prescelti divenissero incubatori per i loro figli. Tutto era cominciato a Byrgenwerth, accademia guidata dal rettore Willem che aveva riscoperto l’esistenza e il contatto con i Grandi Esseri. A seguito della Chiesa della Cura molte altre branche della stessa avevano tentato tale udienza, e per una crudele coincidenza una di queste (attuata dalla Scuola di Mensis) sta avvenendo proprio durante la Notte di Caccia in cui stiamo operando.

Pure se in maniera solo sottesa, basta fermarsi un momento per capire quanto tutti i personaggi e le vicende (grandi e piccole) di Bloodborne siano pervasi e dominati dalla cupidigia. La Chiesa delle Cura che, raggiunto il potere, mente e tiene al guinzaglio la popolazione civile senza curarsi dei terribili effetti collaterali del Sangue. I cittadini che, pur di conservare la propria ricchezza intrinseca, tollerano e partecipano a follie collettive con spietato coinvolgimento. E ancora prima di questo, arrivavano a incentivare la creazione di società più o meno segrete (le scuole di Caccia appunto) perché si occupassero delle belve salvando le apparenze di società florida e che pensava solo al bene dei pellegrini che arrivavano alla ricerca del Sangue Curativo.

Una trappola eterna, sotto la disperazione

Verrebbe da dire che quindi il “nemico” è Yharnam stessa, con le sue istituzioni e il perverso perbenismo di chi vi abita. Tuttavia il nichilismo di Miyazaki e dei suoi collaboratori è più sottile e strisciante, estendendosi così allo stesso contesto che rende possibile la prosecuzione. Il Sogno del Cacciatore nasce come atto da parte di Gehrman, disperato per essere stato umiliato e dimenticato dalla Chiesa della Cura. E allo stesso modo la sottile avidità del nostro stesso agire (con l’accumulo di Echi del Sangue da incanalare per potenziare il personaggio) gocciola avidità da ogni parte, tanto da farci dimenticare che la natura della Caccia è alle sue radici terribile. Non mancano i dialoghi in cui viene ribadito che le prede non sono belve, ma persone trasformate in belve. Le stesse parole di Gehrman stesso, oltre a spingerci appunto all’abbattimento della minaccia, ci dice che al Sogno possiamo utilizzare tutto quello che vogliamo a nostro piacimento, anche l’Automa, il costrutto ginoide che ci permette di migliorare le caratteristiche.

Altro sintomo terribile è come il Sangue sia solo una manifestazione più “fisica” della cupidigia, che invece è iniziata con la voglia incondizionata di conoscenza. A rappresentare ciò vi è l’Intuizione, punti che non vanno persi a ogni morte ma che sono limitati tanto nel reperimento che nell’accumulo. Il loro possesso permette di vedere “qualcosa in più” rispetto al normale, ma rende anche più suscettibili a stati come la Follia. Attorno a tale avidità venne costruita la terribile epopea prima degli studiosi di Byrgenwerth e poi della scuola di Mensis. Costoro, in tempi e luoghi differenti, avevano cercato di avere udienza con dei Grandi Esseri, che li avrebbero messi a parte di un’antica “Verità”. Ancora adesso non è chiarissimo quale fosse, ma basta rifletterci un minimo per capire a livello narrativo non è così essenziale conoscerla. Quello che Bloodborne ci vuole mostrare sono tutti gli eccessi, i sacrifici e il dolore che sono stati fatti per arrivarci. Tutti sforzi sfociati inevitabilmente nel fallimento e nella follia.

Quando la Luna è alta, la conoscenza diventa pesante

È ben noto come Bloodborne sia giustamente classificato come horror lovecraftiano (tanto da venire ammesso dallo stesso Miyazaki in interviste ufficiali). Tuttavia tale tributo non si concretizza nella ripresa tout-court di nomi, cosmogonie e temi dello scrittore di Providence, bensì nei principi. L’ignoto e la sua capacità di generare nell’animo umano tanto la paura quanto la fascinazione sono tematiche care a Lovecraft, e che Bloodborne porta all’eccesso precipitando nella perversione e nella polverizzazione dell’etica. L’ultima parte della Caccia è in tal senso fortemente simbolica: il Cacciatore viene nei fatti costretto a viaggiare per una dimensione parallela (l’Incubo di Mensis) creato per ospitare Mergo, Grande Essere infante nato dall’antica Regina Yharnam. È proprio attraverso la perversione di un ritmo naturale come può essere la riproduzione che si crea il disagio e si sfiorano temi difficili. Non che fosse la prima volta: anche il primo Silent Hill si basava su misteri perversi e sofferenze taciute, dove l’innocenza veniva brutalmente lacerata.

Bloodborne in tal senso aggira il doverne parlare in maniera estensiva non rendendo chiaro il destino di Mergo. Più terribile è la parte finale dell’espansione The Old Hunters, in cui si affronta nientemeno che il figlio di un Grande Essere. Il combattimento contro l’Orfano di Kos al Villaggio dei Pescatoriè il piccolo ignobile segreto di Byrgenwerth, che ha seviziato gli abitanti di quel luogo per avere udienza da Kos. In tal senso la storia lascia le cause nell’ambiguità: non è chiaro se gli studiosi di Byrgenwerth si siano accaniti sul Villaggio perché gli abitanti erano giunti ad avere udienza con Kos oppure che li abbiano perseguitati apposta per forzarli a tale contatto.

Sapere troppo, sapere troppo poco

Ma allo stesso tempo, il destino del nostro personaggio è sempre stato in bilico. Il Sogno del Cacciatoreche lo ha da sempre ristorato non è altro che la creazione di un altro Grande Essere, lo stesso che ai tempi aiutò Gehrman. Per quanto venga detto che i Grandi Esseri sono empatici e rispondono se la preghiera è sincera, il loro pensiero e i fini che perseguono sono sostanzialmente imperscrutabili, e l’agire tanto di Gehrman quanto dei suoi allievi (e tra questi c’è anche il Cacciatore che comandiamo) è solo una minima parte del tutto.

Ecco che quindi i finali tornano alla medesima idea: se il nostro compito con Mergo è terminato, sta a Gherman rimuoverci dal Sogno. A suo dire ci sta “liberando” sia dal Sogno che dagli orribili ricordi della Caccia, ma niente ci impedisce di pensare come ci stia semplicemente mettendo a tacere perché siamo giunti troppo vicini a verità “scomode”. La sua parte di verità si concretizza nell’apparizione della Presenza della Luna, che una volta morto Gehrman vede in noi il rimpiazzo ideale per portare avanti il suo Sogno. Niente ci impedisce di pensare che la Presenza veda il padrone del sogno come un “figlio” o peggio come una “minaccia”, situazione che si manifesta soddisfacendo le condizioni per il terzo finale. Il Sogno stesso diventa quindi metafora, ma stavolta del videogiocare stesso: come il videogioco, il Sogno è una proiezione, quindi è “virtuale”, ma quello che facciamo al suo interno è autentico perché è prima di tutto una performance, che in quanto tale è “reale” (come la Yharnam nella quale ci muoviamo) e soprattutto è unica ogni volta.

La lunga via per l’alba

Bloodborne arriva in un momento molto delicato per le console, ai tempi ancora compresse tra remaster e proprietà intellettuali che ancora non riuscivano a ragionare bene con il nuovo ambiente. In tal senso FromSoftware stravolse tutti, in quanto abbandonò la strada sicura del fare un Souls con più grafica e possibilità per impostare qualcosa di simile ma differente. I calorosi giudizi con cui fu ai tempi premiato dimostrarono come sviluppatori fossero in grado di reinventarsi rimanendo però fedeli a ciò che li aveva resi famosi. La vita del gioco si prolungò ulteriormente sia con l’uscita dell’espansione The Old Hunterssia con l’inclusione del gioco nella collana Essentials e poi quando nel 2018 venne reso gratuito per tutti gli abbonati al PlayStation Plus.

Al di fuori del gran successo commerciale e della vitalità di cui Bloodborne ancora adesso gode grazie a tutte le comunità di appassionati dentro e fuori la Rete, il messaggio che l’opera di Miyazaki trasmette è appunto un severo monito nei confronti della cupidigia. Oltre a mettere in guardia sugli effetti nefasti dei suoi consigli, la Caccia invita a fare attenzione anche a riconoscerla sotto mentite spoglie. Non poche volte il gioco mostra situazioni in cui tale insaziabile perversione si traveste da ambizione, istinto di sopravvivenza, salvezza della collettività o ricerca accademica. Concetti se vogliamo assai “moderni”, che non potevano avere impatto se relegati in un contesto medieval-rinascimentale (non importa quanto immaginifico). Storicamente si tratta di pensiero che affonda nell’Ottocento, secolo in cui il genere umano inseguì grandi ambizioni e contraddizioni (identità nazionali e colonialismo, industrializzazione e disumanizzazione). In tale secolo si cercò di ridefinire l’identità sia individuale che collettiva, sfociando anche nel decadentismo e nell’irrazionale. Gli stessi timidi studi sulla psiche, sulla mente e sulla consapevolezza erano un mare aperto inquietante. Tuttora il meccanismo con cui la mente umana produce paure e ricordi è ancora per somma parte inspiegato. Fino al paradossale e al provocatorio: Italo Svevo per il suo La Coscienza di Zenoipotizza un finale apocalittico dove l’umanità sarebbe finita per autodistruggersi.

Anche dopo quattro anni Bloodborne non tramonta. C’è dell’ironia in tutto questo, essendo uno dei videogiochi più “psicologici” e “tenebrosi” di tutti gli anni Duemiladieci. Non solo: ancora adesso rimane un progetto audace e con chiavi di lettura che non si fermano alla semplice riproposizione di un “gotico estremizzato”. L’opera di FromSoftware mette il giocatore brutalmente di fronte alle proprie responsabilità, buttandolo in un contesto dove è difficile intendere la sopravvivenza anche solo come “parte accettabile di egoismo”. Allo stesso tempo, nel suo astrattismo, invita anche a guardare oltre le apparenze, e a capire quando fermarsi tanto negli eccessi quanto nella scoperta dei segreti. E sebbene la speranza di un Bloodborne II non sia mai sfumata, forse è uno dei casi in cui un’opera deve rimanere da sola.

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Anche dopo quattro anni Bloodborne non tramonta. C’è dell’ironia in tutto questo, essendo uno dei videogiochi più “psicologici” e “tenebrosi” di tutti gli anni Duemiladieci. Non solo: ancora adesso rimane un progetto audace e con chiavi di lettura che non si fermano alla semplice riproposizione di un “gotico estremizzato”. L’opera di FromSoftware mette il giocatore brutalmente di fronte alle proprie responsabilità, buttandolo in un contesto dove è difficile intendere la sopravvivenza anche solo come “parte accettabile di egoismo”. Allo stesso tempo, nel suo astrattismo, invita anche a guardare oltre le apparenze, e a capire quando fermarsi tanto negli eccessi quanto nella scoperta dei segreti. E sebbene la speranza di un Bloodborne II non sia mai sfumata, forse è uno dei casi in cui un’opera deve rimanere da sola.
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