Bleeding Edge, provata la beta del sorprendente multiplayer Ninja Theory - Provato
Lo stesso studio di Hellblade: Senua's Sacrifice, ma non proprio...
a cura di Paolo Sirio
Informazioni sul prodotto
- Sviluppatore: Ninja Theory
- Produttore: Microsoft
- Piattaforme: PC , XONE
- Generi: Azione , Picchiaduro
- Data di uscita: 24 marzo 2020
Dopo essersi fatto vedere in più iterazioni di una closed alpha molto sincera, Bleeding Edge è tornato a mostrarsi e lasciarsi provare in una prima (di due) beta che precederanno il lancio fissato al 24 marzo.
Usiamo l’aggettivo “sincero” non per una pura questione di forma, quanto per indicare, come del resto è un modus operandi della nuova ondata di esclusive Microsoft, l’approccio trasparente adottato da Ninja Theory sulla sua produzione multiplayer e la modalità ascolto attivata dal primo all’ultimo istante che ha portato a novità quali ad esempio la meccanica di parry aggiunta dopo aver raccolto il feedback dell’utenza.
Ma, al di là dell’approccio encomiabile, com’è alla prova del giocato questo Bleeding Edge? Lo abbiamo messo sotto stress nel corso di un lungo fine settimana di gioco e ve ne parliamo nelle righe che seguono.
Superare la prima impressione
Nel momento in cui Microsoft ha annunciato l’acquisizione di Ninja Theory all’E3 2018, il pensiero è stato fin da subito che lo studio britannico si sarebbe dedicato anima e corpo a quello che mancava nella libreria del platform owner di Redmond, ovvero i giochi single-player in esclusiva. Quando l’anno dopo è arrivato il reveal di Bleeding Edge, potete immaginare la delusione stampata sul volto di chi vi scrive oggi.
Intendiamoci: siamo abbastanza navigati da sapere che Ninja Theory è munita di una pletora di team interni capaci di lavorare ciascuno su un proprio progetto, e addirittura che questo gioco era in cantiere da ben prima che si chiudesse l’accordo per l’acquisizione. Ma perché presentare un titolo del genere proprio in un momento storico in cui Xbox viene tacciata di non riuscire ad esprimere mondi e personaggi all’altezza?
L’amarezza fu tanta, a cominciare persino da quel leak che anticipò l’annuncio formale che sarebbe giunto da lì a qualche ora, e non stiamo qui ad arrampicarci sugli specchi per provare a negarlo; è stata una reazione umana che, siamo certi, in tanti tra voi avranno condiviso. Tuttavia, mese dopo mese, e soprattutto in seguito allo scoprimento degli altri assi nella manica dell’etichetta di Hellblade, questa amarezza ha fatto spazio alla genuina curiosità.
La curiosità era dettata, non totalmente ma in buona parte, dalla volontà di scoprire come se la sarebbe cavata un team guidato dalla responsabile dei combattimenti di DmC Devil May Cry Rahni Tucker su una produzione almeno all’apparenza tanto diversa. In secondo luogo, però, c’era la voglia del sottoscritto di misurarsi con un gioco dalle dimensioni contenute, con poche barriere all’ingresso, veloce nell’accesso e nell’esecuzione, qualcosa che capita nelle nostre rare pause tra uno story-driven e l’altro.
Ebbene, questa beta ci ha fornito indicazioni preziose, andando a confermare che – passata la terribile nottata – Bleeding Edge ha dentro di sé la forza di rispondere in maniera affermativa a quella curiosità e a quelle esigenze; ha le caratteristiche, insomma, che lo rendono sia abbastanza profondo sia tanto leggero da potersi prestare alle sessioni mordi e fuggi che ci eravamo prefigurati.
L’esperienza, parte 1: le modalità
Come vedremo anche più avanti, Bleeding Edge è un titolo estremamente derivativo: inventa poco di suo, e attinge a piene mani dal bagaglio di esperienze accumulate nel corso degli anni dai suoi competitor. Se da un lato questo lo può rendere poco appetibile agli occhi di chi cerca sempre cose nuove, dall’altro gli permette di arrivare all’appuntamento dell’uscita (e persino di questa beta) già molto rifinito nelle meccaniche, che prevedono ad esempio fin da subito il riempimento automatico della squadra in caso di addio durante una partita.
Il gioco si è presentato al weekend della beta con due modalità: una prevedeva l’acquisizione degli obiettivi sparsi per la mappa, con il compito di tenerli quanto più a lungo possibile per accumulare il numero di punti sufficiente alla vittoria; la seconda, invece, richiedeva che i giocatori ottenessero delle batterie lungo la mappa e le depositassero in aree pre-designate per raggiungere la quota necessaria.
A livello strutturale, dunque, niente di particolarmente elaborato. Quello che ci ha detto la beta è che mai come in Bleeding Edge il gioco di squadra è fondamentale, e il fatto che le squadre siano da quattro giocatori anziché cinque o numeri superiori favorisce la costruzione di un team di amici da raccogliere dal pool della propria lista su Xbox Live (oppure, meglio ancora, persone conosciute nel fantastico mondo reale).
Un avviso all’inizio dell’esperienza lo afferma a chiare lettere, d’altronde, e il campo di battaglia lo conferma: ogni giocatore è bene che sappia cosa deve fare all’interno di un match per rendersi utile, e questo passa sia per il “briefing” pre-gara, in cui andare a scegliere il proprio personaggio non soltanto in base a ciò che piace ma anche a ciò che serve alla squadra, sia per il movimento nelle zone della mappa che serve coprire.
Ninja Theory ha fatto in modo da assegnare punti pure all’eliminazione di un giocatore, ma ciò non cambia che interessarsi soltanto a questo – e non seguire lo spostamento degli obiettivi, ad esempio, oppure non andare racimolare le power cell e vedere dove depositarle – conduce ad una sconfitta bruciante. Il vero vincitore in tal senso è chi accetta di sacrificarsi per trattenere con un tank il team avversario in punto della mappa per impedirgli di andare a depositare o di andare ad infastidire chi sta depositando nella nostra squadra, per rendere l’idea.
Per esperienze pregresse ci aspettavamo che la modalità ad obiettivi avrebbe fatto più al caso nostro ma, non senza una certa sorpresa, abbiamo notato che invece recuperare e mettere in sicurezza le batterie – forse per le peculiarità del personaggio main che abbiamo scelto – ci ha appagato di più nel corso del fine settimana di prova. L’ennesima sorpresa di Bleeding Edge, potremmo dire.
L’esperienza, parte 2: i personaggi
Similmente a Overwatch, Bleeding Edge è uno shooter hero-based, vale a dire che ha un roster di personaggi in stile picchiaduro, ciascuno dei quali con una serie di caratteristiche ben definite e una classe. Qui in particolare si fa sentire la derivazione dal titolo di Blizzard, con numerosi di questi eroi che hanno somiglianze palesi, al punto che alcuni di essi, scherzando con gli amici ma anche per capirci al volo, li abbiamo chiamati coi nomi di Overwatch – Lucio in particolare, e non solo.
Quando si parla di produzioni basate sugli eroi è inevitabile l’ispirazione a quello che è stato il primo sparatutto ad applicare i dogmi di un fighting game, e se non altro i protagonisti creati da Ninja Theory hanno già un tratto abbastanza distinto e caratteristico da rimanere impressi nella memoria. L’esperienza di gioco, poi, è abbastanza diversa per via di un sistema di combattimento piuttosto raro a trovarsi in un prodotto multiplayer.
Quello della software house inglese è infatti un brawler multigiocatore, un titolo in cui, cioè, il sistema di combattimento è incentrato su sfide all’arma bianca e sulla fisicità degli scontri; ci sono personaggi che hanno attacchi alla distanza, naturalmente, ma il grosso degli incontri avviene vis-a-vis e sfruttando le abilità di ciascuno con la giusta tempistica poiché soggette a cooldown.
Nella nostra prova abbiamo giocato molteplici ore con Buttercup, un personaggio equipaggiato con una moto perché priva delle gambe per ragioni di storia; si tratta di un tank con una buona capacità di movimento lungo la mappa, quindi, la cui peculiarità attirare le attenzioni dei nemici e spazzarli via da un punto mettendo a segno semplici combo.
Le tre abilità consistono una in una sferragliata di potenti lame per qualche secondo, una in una scarica d’olio che rallenta i nemici, e infine una artiglia i nemici più lontani in stile Roadhog di Overwatch per portarli sotto le proprie grinfia e confonderli per pochi istanti. Ognuna di tali abilità può essere personalizzata e potenziata grazie al ricorso ai mod, da sbloccare accumulando minutaggio con l’eroe.
Per una valutazione complessiva del roster aspettiamo chiaramente la versione finale, ma già da questa primo approccio ci è saltato all’occhio un certo equilibrio nella costruzione dei personaggi inclusi al day one (quattordici in totale): per fare un esempio, gli healer sono muniti di armi da fuoco con cui possono attaccare dalla distanza per sottrarsi allo scontro fisico, e questo costituisce forse la sola, e saggia, eccezione sulla regola del brawler.
Console e PC, tutti insieme
Il gameplay imbastito da Ninja Theory è una commistione di viscerale e fluido che ha saputo tenerci incollati allo schermo come pochi altri multiplayer, almeno in questa prima fase vissuta nel corso del weekend. Siamo arrivati intorno al livello 8 sia per il personaggio che per il nostro profilo (le due progressioni sono slegate), e come raramente ci è capitato in passato alla fine di una beta ci è rimasto l’amaro in bocca per non poter continuare a giocare.
Nel caso siate interessati, la progressione accumulata nella beta verrà trasferita al gioco completo in uscita il 24 marzo – lo stesso dicasi della seconda prova del prossimo mese -, e nel corso del nostro test abbiamo accolto con piacere l’ennesima dimostrazione di quanto sia piacevole e aggiungeremmo quasi fondamentale ormai la cross-progression tra le diverse piattaforme.
Abbiamo giocato sia su Xbox One che su PC, piattaforma quest’ultima dove il cross-play è garantito peraltro anche tra Steam e Windows 10 (e di entrambi con la console di Microsoft), e abbiamo potuto constatare che i progressi vengono mantenuti a prescindere da dove si stia giocando. C’è soddisfazione anche per l’ottimizzazione che, al di là di qualche testo non formattato a dovere o localizzato in maniera per ora superficiale, è già di livello.
Se in passato l’approdo di un titolo Microsoft su PC era accolto con grande scetticismo e preoccupazione, questo new deal in cui si innesta Bleeding Edge sta vedendo prestazioni di alto livello: anche su macchine di rango non eccelso, infatti, il gioco gira con dettagli avanzati e un frame rate sostenuto, segno che, logicamente, gli sviluppatori stanno puntando ad una platea quanto più ampia possibile senza dannosi elitarismi dettati dalle performance.
Ciò non toglie che il titolo sia munito di una certa complessità: le mappe, quattro per ora, sono piuttosto vive sia nel design che nelle animazioni (capita di finire investiti da un treno, ad esempio, oppure di poter compiere dei salti spinti da appositi jumper); propongono diversi elementi di platforming che tornano utili per diversificare l’esperienza di movimento e soprattutto per sgattaiolare via da uno scontro perso in partenza, nonché bonus sull’attacco in grado di cambiare le sorti di un incontro.
+ Cross-play
+ I piccoli team spingono a collaborare
Abbiamo accolto a più riprese con grande scetticismo Bleeding Edge, salvo venirne prima attratti dallo stile sopra le righe e dalla promessa di freschezza, poi risucchiati dal gameplay rapido e più profondo del previsto. Le basi per la buona riuscita del progetto multiplayer di Ninja Theory sembrano esserci, e quantomeno sono abbastanza per farci aspettare con trepidazione il prossimo beta test e l’uscita del 24 marzo su PC e Xbox One.
Voto Recensione di Bleeding Edge - Recensione
Voto Finale
Il Verdetto di SpazioGames
Pro
-
Già molto ricco
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Cross
-
play
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I piccoli team spingono a collaborare
Contro
-
Troppo derivativo?