Batman: Arkham Asylum, dieci anni dopo - Speciale
A dieci anni dalla sua pubblicazione originale ripercorriamo Batman Arkham Asylum, l’avventura che ha segnato il debutto del Pipistrello nella videoludica contemporanea.
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a cura di Adriano Di Medio
Redattore
Attenzione: questo articolo contiene spoiler da Batman: Arkham Asylum. Non proseguite con la lettura se non avete completato il gioco.
Batman ha avuto molta fortuna nella videoludica. La sua trilogia di Arkham ha risollevato il destino dei tie-in, oltre a essere trampolino di lancio dei Rocksteady Studios e “ariete di sfondamento” (insieme a Mortal Kombat) per l’affermazione di Warner Bros come publisher di successo. Nell’estate 2019 le abbiamo dedicato una retrospettiva in due parti, ma approfittando degli ottant’anni dell’Uomo Pipistrello e di tutti i rumor sul suo futuro (oltre che del recente Oscar per la sua nemesi) siamo tornati alle origini, a quel Batman: Arkham Asylum che è stato per il Pipistrello l’inizio di una nuova giovinezza videoludica.
Un pagliaccio arreso resta un pagliaccio pericoloso
Per chi ha conosciuto la saga da Arkham City in poi, approcciare Batman: Arkham Asylum potrebbe risultare piuttosto spiazzante. E ciò avviene non tanto (o non solo) per la diversa conformazione quasi interamente a spazi chiusi, ma anche e soprattutto per un’impostazione narrativa profondamente differente e per certi versi mai più ripetuta.
L’incipit classico del Joker che finge di arrendersi per attirare Batman in una trappola ben orchestrata nel manicomio di Arkham è un preludio a una trama molto lineare ma di sapore squisitamente fumettistico, autoconclusiva come un’autentica graphic novel. I richiami alle storie iconiche degli anni Ottanta e Novanta del personaggio sono enormi, dal Joker disegnato secondo The Killing Joke (1990) di Alan Moore all’inserimento di Harley Quinn, nata da Paul Dini (sceneggiatore principale del gioco) per la serie animata degli anni Novanta.
Altri riferimenti sono chiaramente la surreale Arkham Asylum: Una folle dimora in un folle mondo (1989) fino ai richiami alla cinematografia, dal Joker interpretato da Jack Nicholson nel Batman di Tim Burton (sempre 1989) all’allusione al mediocre Batman & Robin (1997) con George Clooney.
In tal senso la stessa “carta” narrativa di Gotham presa in ostaggio dal pagliaccio principe del crimine in Batman: Arkham Asylum finisce paradossalmente con l’essere di contorno, dato che qui l’attenzione è tutta sui personaggi. Tuttora gli intermezzi dove Joker, a metà tra il provocatorio e il disperato, invoca la morte per mano di Batman e quest’ultimo che a stento si trattiene sono sorprendenti nella loro genuinità, mentre l’inserimento di cattivi “psicotropi” come lo Spaventapasseri fa sforare la sceneggiatura direttamente nel meta-videoludico, con lo schermo che si distorce ad arte come se la console (o il PC) siano stati infettati a tradimento da chissà quale virus informatico.
Folle dimora in folle mondo
Non ci dilungheremo troppo sul gameplay propriamente detto. È per Batman: Arkham Asylum che sono nate l’alternanza tra planata e rampino, la risoluzione di scene del crimine, i gadget fantascientifici ma credibili a disposizione dell’Uomo Pipistrello, il combattimento “a ritmo” del Free-flow System. Tutte cose che nel bene e nel male l’avanzare della trilogia ha solo migliorato e mai stravolto, tanto che pure avendo giocato anche solo uno qualsiasi dei successivi (compresi quelli “apocrifi”) ci si ritroverà subito a casa, seppure con la sensazione che all’inizio fosse tutto un po’ più “semplicistico” (specialmente per le scazzottate).
Pure se Batman è sensibilmente più forte dei suoi avversari, non si respira mai un vero e proprio senso di onnipotenza, complice anche un sistema di potenziamento dell’eroe molto basilare, volutamente limitato vista l’ambientazione “chiusa”. Lo stesso move-set sia del Pipistrello che dei criminali è quindi più “viscerale”, anche se col senno di poi soffre di una certa confusione che alle volte rende certe morti un po’ “immeritate”.
Riprendere in mano Batman: Arkham Asylum a dieci anni dalla pubblicazione originale non è cosa completamente indolore. Più “rigido” rispetto al suo futuro e con qualche evidente difetto dovuto un po’ alla fretta e un po’ all’inesperienza, il primo episodio della “trilogia Arkham” vede le sue attrattive principali nell’atmosfera genuina e nei richiami ai “classici moderni” dell’Uomo Pipistrello. La tematica della sottesa follia si sposa con un incedere che aggira l’epicità nolaniana e insegue l’horror, il fumettistico e l’introspettivo, all’interno di una notte in cui i doveri del vigilante divengono insostenibili per l’uomo sotto il mantello. Alla fine il messaggio del primo pargolo Rocksteady pare proprio questo: Joker non può vincere, ma neanche Batman.
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