Assassin's Creed, Cappucci bianchi nella storia 2.5 Extra - Il congedo di Ezio Auditore
a cura di Adriano Di Medio
Redattore
Bentornati a Cappucci Bianchi nella storia, la retrospettiva “atipica” su Assassin’s Creed. Fin dall’inizio abbiamo infatti voluto impostare diversamente questa serie di articoli come preparazione ad Assassin’s Creed Odyssey. Piuttosto che ricordare dei singoli videogiochi ed esprimerne i pregi e i difetti, abbiamo voluto raccontarne le tematiche, la narrazione e il contesto storico in cui sono nati e che in certi casi sono stati in grado anche di cambiare. È quanto fatto nei due precedenti appuntamenti, in cui abbiamo ripercorso gli esordi nella Terza Crociata e poi il cambio di contesto al Rinascimento italiano. Ci sarà tempo per parlare degli sviluppi successivi del brand, con la seconda trilogia stavolta ad ambientazione settecentesca. In questa puntata extra vogliamo ripercorrere una singola scena. Per la precisione parleremo del finale, ovvero del momento in cui Ezio Auditore, il fiorentino che ci aveva virtualmente accompagnato attraverso tutta la sua epoca, prende congedo.
Cosa può stupirti se hai già visto tutto?
Abbiamo già visto come Revelations si sia rivelato un titolo controverso, visto da molti (e forse non a torto) come un semplice modo per “rimandare l’inevitabile”, per guadagnare tempo in vista di quello che poi sarebbe stato Assassin’s Creed III. Ma quello che viene spesso dimenticato è che Revelations, fuori dall’ambientazione poco carismatica e da un congenito ipertrofismo nelle attività secondarie, è prima di tutto l’avventura conclusiva di Ezio Auditore. Lo abbiamo visto nascere e crescere, dall’ingenuità di diciassettenne alla realizzazione dell’essere Assassino, guardandolo poi imparare cosa vuol dire essere un leader. A questa realizzazione se ne è poi accompagnata un’altra, l’ambizione di voler capire e comprendere quanto scoperto da Altaïr. Tale è stato il motore portante della sua avventura a Costantinopoli, che gli ha fatto scoprire i dettagli della vita tormentata del suo antenato e che, nel finale, gli ha permesso di accedere alla biblioteca di Masyaf. Una biblioteca che si è rivelata solo un grande bluff, con scaffali vuoti a nascondere in piena vista quella terribile Mela dell’Eden.
“Un altro manufatto? No, tu rimarrai qui. Ho visto abbastanza per una vita.”
Dove ACII raccontava il cammino impervio verso la consapevolezza e Brotherhood il suo consolidamento, Revelations parla di umiltà. Ritraendo la mano dalla Mela davanti a lui Ezio non sta rifiutando la conoscenza, bensì ammettendo che arriva un momento nella vita di ognuno in cui bisogna capire quando fermarsi. Altri studieranno e penseranno, partendo da ciò che lui ha scoperto. Ma non è questo l’autentico coup-de-theatre della scena, bensì ciò che avviene immediatamente dopo.
“Desmond?”
Un nome che qualunque appassionato di Assassin’s Creed conosce fin troppo bene, ma che pronunciato da Ezio ha un effetto inaspettato. Di solito in un videogioco si instaura una relazione di forte immedesimazione con il personaggio che si interpreta, sia questo predefinito oppure una semplice “maschera” da riempire. Questa scena sconvolge perché fa esattamente il contrario di quanto appena descritto. Con questa parola separa le tre personalità finora fuse: Ezio, Desmond Miles che lo sta rivivendo attraverso l’Animus (e infatti proprio Desmond si intromette con uno stupito “Sta parlando con me?”) e noi videogiocatori dall’altra parte dello schermo. Attraverso questa separazione torniamo “oltre”, in una fortissima imposizione di individualismo da parte di Ezio stesso.
“Ho già udito il tuo nome una volta, Desmond, tanto tempo fa… E ora indugia nella mia mente come l’immagine di un vecchio sogno.”
Il personaggio di Ezio non può ovviamente sapere dell’Animus, ma in qualche modo con questa frase insinua il dubbio che ne abbia capito l’essenza. La macchina moderna non fa altro che rievocare in sogno avvenimenti già accaduti, e coloro che vi partecipano spesso non possono coglierne il significato più profondo che invece arriva a coloro che li vedono dall’esterno. In realtà la frase si può interpretare anche come vera e propria allusione al videogioco tout-court, che assume qui i contorni del “sogno virtuale”. Un qualcosa che magari non si tocca, ma non per questo è meno vero, perché la performance di chi lo gioca (e che quindi lo “legge”) è autografa.
“Non so bene dove tu sia, né in che modo tu riesca a udirmi, ma so che mi stai ascoltando”
Ezio prosegue il suo discorso con la prima di due citazioni. La sua frase assomiglia incredibilmente a una terzina dantesca, quella in cui Dante incontra Ugolino nel girone infernale dell’Antenora. “Io non so chi tu se’ né per che modo/venuto se’ qua giù; ma fiorentino/mi sembri veramente quando io t’odo” (Inferno Canto XXXIII, vv.10-12). Ugolino della Gherardesca riconosceva Dante dalla sua inflessione toscana; l’Auditore è giunto a una conclusione simile: ha intuito che quel “Desmond” ha superato ogni barriera linguistica e lo comprende perfettamente. È abbastanza simbolico che questo accada con un italiano: proprio l’italiano è una delle poche lingue che si fa leggere e comprendere anche dopo settecento anni.
In realtà, visto che l’originale inglese non presenta rimandi di sorta, non possiamo sapere quanto questa citazione di Dante sia voluta da parte degli autori. È però piacevole pensarlo per via delle molte allusioni fatte al massimo poeta fiorentino nel corso della serie. Solo per riportare le più immediate: l’Inferno viene citato brevemente in un dialogo tra Ezio e Sofia Sartor, mentre nella cripta bonus degli Auditore (contenuto extra ai tempi riscattabile su Uplay) viene detto che Dante aiutò il patriarca Domenico Auditore a portare il Codice di Altaïr in Italia. A questo si aggiunge la considerazione più banale: che Ezio è fiorentino esattamente come Dante.
“Ho vissuto la mia vita come meglio ho potuto. Senza conoscerne lo scopo, ma attratto come una falena da una luna distante.”
Le parole di Ezio sono una metafora quasi comune, di radice se vogliamo anglosassone: la falena attirata dalla luce della luna, che la segue non potendo sapere che non sarà mai in grado di raggiungerla. Una variante del modo di dire era stata persino accennata nel primo Dark Souls (uscito l’anno prima) tramite il personaggio Lautrec di Carim.
Ezio accompagna a queste parole un gesto particolare: si toglie le lame celate e la spada che porta al fianco, lasciando cadere tutto a terra. Tale azione è fortemente simbolica, in quanto con questo gesto egli si spoglia della sua identità di Assassino, riverberando quello letterario e poetico dell’Orlando di Ariosto: “Il quarto dì, da gran furor commosso/e magie e piastre si stracciò di dosso […] E poi si squarciò i panni, e mostro ignudo/L’ispido ventre e tutto ‘l petto e ‘l tergo” (Canto XXIII, ottave 132-133). Se il cavaliere dell’Orlando Furioso lo fa per follia e rinnegando ciò che lo ha portato a tanta sofferenza, Ezio lo fa per recuperare la sua identità di uomo, privandosi per un momento di un’eredità che ormai fa fatica a portare sulle spalle. Di nuovo, non possiamo sapere se l’allusione all’Orlando Furioso sia voluta. Tuttavia nella cronologia della saga di AC lo stesso Ariosto viene citato aver guidato la confraternita.
“E qui alfine, scopro una strana verità. Che sono solo un tramite per un messaggio che elude la mia comprensione.”
Per quanto non sia un traditore come Ugolino, anche Ezio è “dannato”: deve ascoltare dei messaggi per riferirli a qualcun altro di cui conosce solo il nome. È una pesante alienazione, che lo frustra in quanto non gli vengono forniti i mezzi per comprendere ciò che sta trasmettendo. Nonostante la trama non lo sottolinei particolarmente, Ezio ha subito qualcosa che, per ogni essere umano, non può che essere terribile: la strumentalizzazione. Il suo percorso di vendetta, consolidamento e conoscenza era appunto solo un modo perché qualcuno potesse comunicare con qualcun altro. Il breve monologo che ha deciso di imporre al Frutto dell’Eden serve in qualche modo a compensare questa reificazione che è andato inconsapevolmente subendo nel corso di tutta la sua vita.
“Chi siamo noi, benedetti a tal punto da condividere le nostre storie così? Da parlarci attraverso i secoli?”
Di nuovo, curiosità e sete di conoscenza della sua epoca prende il sopravvento, ed Ezio non può fare a meno di domandarsi come tutto questo stia accadendo. Già il suo utilizzare la parola “secoli” può lasciar intendere che abbia compreso che la persona che lo ha sempre assistito è temporalmente molto distante. Ma è anche consapevole di star facendo parte di qualcosa di straordinario: condividere le esperienze in barba al tempo, capendone le motivazioni e le casualità. Ezio non ha mai parlato di destino, ed è giusto così: fino a quel momento egli se l’è creato da sé, come voleva la sua epoca. A fronte di questo, anche il suo aver visto cose come l’ologramma di Minerva la “dea” della Prima Civilizzazione, non può che quasi scivolargli addosso a fronte di ciò che ha condiviso con tutti questi anni. E si sa che ciò che è condiviso non si dimezza mai e sempre raddoppia.
“Forse risponderai a tutte le mie domande. Forse sarai colui che alla fine darà un qualche valore a tutta questa sofferenza.”
L’ultimo atto del cinquantenne Assassino è di modestia. È la realizzazione che ci sono ancora cose da scoprire e che è meglio lasciarle ad altri. Nessuna lezione può essere appresa senza dolore, eppure la sua ultima frase non nasconde un certo risentimento nei confronti di “coloro che vennero prima”. Queste entità, rese “superiori” solo per la loro tecnologia avanzata, non hanno esitato a giocare con le vite, le storie e gli avvenimenti umani pur di far arrivare un messaggio a chi volevano loro. Un messaggio tra l’altro neppure chiaro, ma ambiguo e quindi aperto anche a letture perverse. La frase non può che esprimere l’insofferenza dell’essere umano di fronte a ciò che non conosce o che è più grande di lui. Un timore a cui l’uomo del Rinascimento non vuole più sottomettersi del tutto. A fronte delle circostanze, però, Ezio non può che lasciare il posto a Tinia, l’ultimo componente ancora non comparso di quella che nei tempi antichi si chiamava “triade capitolina”.
“Adesso… Ascolta.”
Ezio Auditore, uomo rinascimentale
L’Auditore prende così congedo, sfumando nella luce chimica e giallastra di una tecnologia troppo avanti per i suoi tempi. E per quanto l’apparizione di Tinia e il suo messaggio a Desmond siano importanti per il seguito e per la conclusione (vera o presunta) del suo viaggio, l’essere della Prima Civilizzazione sorprendentemente sbiadisce di fronte al pacato, intelligente carisma di chi doveva essere solo il suo “mezzo”. Ezio è arrivato alla conclusione del suo viaggio, e ora vuole solo un po’ di serenità. C’è spazio per ancora un’allusione: sposerà infatti Sofia Sartor, conosciuta durante il suo viaggio a Costantinopoli.
In greco Sophia vuol dire “conoscenza” o “saggezza”: è solo attraverso di lei che alla fine Ezio ha avuto ciò che cercava da sempre. Sofia l’ha salvato esattamente come lui ha salvato lei. Da lei Ezio avrà i suoi due figli, come detto nel cortometraggio conclusivo Assassin’s Creed Embers: Marcello (nome molto rinascimentale nato dal diminutivo del latino Marcus) e Flavia (forse allusione a dove ha nascosto la Mela alla fine di Brotherhood, all’Anfiteatro Flavio).
Darà il suo ultimo frammento di eredità a Shao Jun, Assassina cinese venuta a cercare consiglio da lui nella vecchiaia. La stessa Shao Jun altro non era che una costola dell’enorme sottobosco di opere derivate che si era andato sviluppando sin dal 2010. Dalle serie a fumetti (cominciata con The Fall, il cui protagonista Daniel Cross sarebbe poi stato ripreso in ACIII) passando per gli spin-off a scorrimento (serie Chronicles) e finendo anche ai browser-game e alle applicazioni per smartphone.
Una quantità di prodotti esagerata, che per quanto realizzati con perizia finivano paradossalmente per aggiungere poco a una vicenda principale che si preparava al più grande dei lutti.
Il cortometraggio Embers racconta appunto gli ultimi giorni di vita di Ezio, e per quanto non possa che essere piacevole rivedere per l’ultima volta un personaggio così ben pensato, evoluto e riuscito, non si può sfuggire al pensiero che si è voluto raccontare troppo di lui. Una narratività ipertrofica in cui l’abbiamo letteralmente visto nascere e morire. Nel suo commovente messaggio d’addio all’amata Sofia egli riassume tutta la sua vita in poche frasi, chiudendo definitivamente la sua parabola e arrivando al compimento autentico della sua convincente illusione.
È un concetto che già accennammo un anno fa in un contesto diverso, ma che vale la pena di ripetere proprio in funzione di quello che abbiamo detto ora. Ezio Auditore da Firenze è rimasto nei cuori di chiunque abbia letto la sua storia perché è collocato nella sua epoca talmente bene da appartenervi di diritto. E non si tratta (solo) di un preciso calcolo di date e luoghi: Ezio è un uomo rinascimentale anche e soprattutto per la mentalità donatagli dai suoi creatori. Una persona che coltiva diverse discipline con l’ambizione di riuscire in tutte, e che costantemente ricerca di migliorare la propria conoscenza attraverso il continuo confronto con la realtà. E allo stesso tempo non rifiuta i propri difetti, ma li accoglie e li lima proprio perché segno del suo essere umano e del suo libero arbitrio.
Alla fin fine, la trilogia di Ezio altro non è che una grande riflessione sulla conoscenza, sul desiderio di essa e sulla sua perversione. Nel monologo finale di Revelations, breve ma profondo nei concetti e nei rimandi, viene riportato una possibilità per andare oltre al binomio semplificato di “conoscenza uguale dolore”. La via che viene proposta è il comprendere e sapere quando fermarsi nella propria ricerca, capire quando è il momento di lasciare ad altri quel sentiero. Le parole dell’Assassino alla sua ultima impresa, nell’Europa rinascimentale del primo Cinquecento, sono rimaste nella mente di chiunque le abbia ascoltate appunto per questo semplice insegnamento. Qualcun altro potrebbe etichettare queste frasi come semplice buonsenso, ma che se anche fosse tale oggi fanno fatica a essere ricordate. Una sequenza che, nonostante fosse inserita in un contesto non proprio fortunato, era e rimane uno dei momenti più alti mai raggiunti nei dieci anni di vita del brand. Addio Ezio.