Abbonamenti videogames: quanto incidono nel settore?
Tra passato, presente e futuro dell’abbonamento per poter giocare sulla propria piattaforma di fiducia.
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a cura di Marino Puntorieri
Redattore
La formula dell’abbonamento ad un determinato catalogo di videogames in formato digitale, con effettiva sottoscrizione ed accesso a seconda delle necessità, è una realtà tanto concreta quanto ormai abusata nel panorama ludico odierno. Inizialmente osservata con diffidenza dalla maggior parte degli utenti ed addetti ai lavori, si è diffusa nel tempo con grandi soddisfazioni e ritorni economici per gli uni e per gli altri, con grande merito degli investitori più temerari (come Microsoft) che hanno deciso di puntare forte su questa feature, con tempo e risorse, andando contro la paura del nuovo. Il palcoscenico di Los Angeles di questo 2019 ne ha nuovamente confermato l’importanza e le rispettive potenzialità, tra vecchie certezze sempre più consolidate e nuovi attori pronti a gettarsi nella mischia con tutti i rischi del caso. Andiamo con ordine e facciamo un po’ di chiarezza.
Dove tutto ebbe (quasi) inizio
Electronic Arts può essere tranquillamente considerata il pioniere dell’abbonamento in ambito videoludico; addirittura già nel 2014 venne lanciato EA Access su Xbox One: con soli 4 euro al mese più di 50 titoli, ma soprattutto sconti ed accessi anticipati alle versioni finali degli ultimi prodotti del momento (come la serie FIFA o Battlefield), compensando comunque un ventaglio considerato solo discreto. Dopo il 2017, il colosso andò avanti focalizzandosi sull’aumento delle sottoscrizioni tramite abbonamento con un catalogo digitale rimpinguato di qualsiasi prodotto dei team di riferimento, con nomi altisonanti quali Bioware, DICE e Respawn Entarteinment, senza dimenticarsi titoli di corsa legati alla serie Need for Speed, o qualche prodotto minore dall’incredibile ispirazione stilistica come FE o Unravel. Su Xbox (e poi Playstation) il colosso californiano ha rinforzato negli anni successivi il proprio servizio grazie a numerosi sconti ed accessi anticipati alle fasi beta, su Pc sbarca invece dal 2016 la piattaforma denominata Origin, con il chiaro obiettivo di dare una forte identità al brand dal punto di vista dell’intrattenimento digitale su più fronti.
Se è vero, da un lato, che Sony ha ideato per prima Playstation Now, fortemente incentrato sullo streaming, per anticipare un mercato tanto incerto quanto potenzialmente ricco di utenza affine, Microsoft è stata più lungimirante e, andando oltre l’esitazione di un investimento con pochi margini nel breve periodo (sinonimo di un segmento ancora nebuloso), ha investito sempre di più nei servizi a 360°. Il gigante di casa Redmond, lanciava già dal 2017 Xbox Game Pass, con titoli sempre più allettanti e numerosi nel proprio pacchetto a poco meno di 10 euro al mese. Un abbonamento capace di far giocare anche tutte le esclusive Xbox al lancio cominciò a destabilizzare il classico modo di intendere i videogames ed il loro utilizzo: abbonarsi significava investire in modo costante nella stratificata piattaforma di servizi imbastita da Microsoft, fidelizzando il consumatore finale, grazie anche ai numerosi feedback sparsi nei forum.
L’azienda nipponica, invece, a causa della crescente difficoltà nel gestire la distribuzione “streaming” in europa, ha ritardato fino a pochi mesi l’arrivo del servizio in abbonamento nel Bel Paese, presentandosi con un servizio per PS4 e PC ricco di giochi, anche se non sempre di primo pelo, ancora un po’ titubante sul versante della stabilità. Forse questi aspetti di incertezza, hanno portato le due aziende rivali a definire un’importantissima partnership per la realizzazione di obiettivi comuni nell’ambito del game-streaming: Sony nel ruolo principale di cliente e Microsoft in quello di distributore del servizio.
Il concetto di “abbonamento” in ambito videoludico si è così evoluto nel giro di qualche anno dalla semplice concezione legata a un servizio online, che consentiva il gioco online, a una vera e propria offerta per accedere a un catalogo mirato di titoli, scavalcando ulteriormente il passaggio legato all’acquisto fisico del prodotto. L’unica certezza era che l’inasprimento della competizione che, si sa, può solo far bene al consumatore finale.
Un abbonamento per domarli, per ghermirli e nel buio incatenarli
Le conferenze dell’E3 2019 hanno ulteriormente enfatizzato questo aspetto. Il culmine è stato raggiunto proprio dall’azienda di Redmond con un ulteriore passo in avanti nella realizzazione di un ecosistema capace di unire gli utenti su qualsivoglia piattaforma videoludica legata al mondo di Microsoft. L’operazione è culminata con il lancio di Xbox Game Pass Ultimate, ovvero l’unione in un unico pacchetto dei servizi online di riferimento: Xbox Live (ed annessi giochi in Gold), Game Pass (giochi su console) e titoli su pc (differenziati ed in grado di abbracciare prodotti differenti come per il genere degli strategici); il tutto per un periodo limitato ad un misero euro volto a facilitare la fase “entry level” del nuovo progetto per poi stabilizzarsi in fase di rinnovo a 12,99 euro al mese. Un nuovo legame che cambia completamente anche la comunicazione stessa; Microsoft, come mai prima d’ora, ha enfatizzato la possibilità di includere numerosi titoli al lancio nel servizio Game Pass, esclusivi e multi-piattaforma, includendo anche versioni limitate ed accessi anticipati come nel caso del prossimo Gears 5 a favore di qualsiasi abbonato.
Google, come ben sappiamo, si lancia nel mondo del gaming con Stadia, proclamata dai simpatizzanti come il “Netflix dei videogiochi”, ma che sembra troppo lontana dal modello del colosso dello streaming avvicinandosi molto di più al concetto di console digitale. Si potrà infatti giocare in streaming da PC, smartphone o tablet in modo gratuito (Base) a patto di acquistare giochi o usufruirne da uno speciale catalogo, altrimenti al prezzo di 10 euro al mese si passa al piano pro con il bonus della risoluzione in 4K HDR e dei 60 FPS con audio 5.1. La presentazione effettiva ha inverosimilmente sollevato più dubbi che risposte sulle possibilità di questa “nuova” tipologia di streaming, che è una reale novità all’interno del panorama.
Persino Ubisoft ha deciso di promuovere a sorpresa un nuovo abbonamento, dal nome Uplay Plus, solo per accedere al personale catalogo esclusivo: una scelta ardua e a costi ingenti rispetto a ben altri servizi simili ed al netto dei giochi disponibili sul piano quantitativo; 14,99 euro al mese per l’intero portafoglio in mano all’azienda di origine francese, comprese le vecchie glorie ed i titoli di prossima uscita come Watch Dogs Legion o Tom Clancy’s Ghost Recon Breakpoint. Un’offerta per ora destinata solo agli utenti Pc o Google Stadia, ma che in quest’ultimo caso non comprenderebbe l’esborso del servizio Stadia Pro essenziale per raggiungere gli standard qualitativi sopracitati. Una situazione, insomma, assai spinosa, dove continuano a manifestarsi nuovi concorrenti nel settore degli abbonamenti in streaming, e dove anche altre software house come Square Enix possono lanciarsi in operazioni analoghe da un momento all’altro: il rischio di saturazione del mercato è dietro l’angolo.
In conclusione, ritornando alla domanda iniziale, quanto incide ormai nel settore videoludico la possibilità di sottoscrivere un abbonamento? Tanto, forse troppo. Colpisce indistintamente addetti ai lavori e semplici curiosi con la stessa forza, facendo leva sulle strategie di acquisto e le scelte future del consumatore stesso. Ciò ha permesso l’evoluzione del medium in questione, ormai come in tutti i settori, da semplice prodotto a servizio da migliorare e supportare nel tempo, con l’obiettivo di una serrata fidelizzazione del cliente finale. A pari passo con l’evoluzione dell’abbonamento in ambito videogames, si inspessisce ancora di più la linea di demarcazione tra il fisico ed il digitale. Se tutte le principali software house decidessero di proporre un proprio abbonamento sarebbe un bene per i videogiocatori? Il risultato non è poi così scontato. E voi a quali abbonamenti fate affidamento? Fatecelo sapere!
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