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Abbiamo provato Mega Man 11

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a cura di Daniele Spelta

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Nel 1987 il mondo era ancora diviso in due blocchi, l’URSS lanciava nello spazio la Soyuz TM-2, negli USA arriva una serie chiamata Beautiful, ma per fortuna è anche la data della prima punta – sempre in America – dei Simpsons, l’Ultimo Imperatore di Bertolucci vince nove Oscar e l’anno si conclude con la prima release di Microsoft Windows 2.03. Giusto per darvi un’idea, trent’anni fa circa il sottoscritto era lì lì per nascere, battuto sul tempo da Capcom con la creazione di Mega Man per il NES, una delle icone intramontabili dell’universo videoludico nipponico. In circa tre decenni l’androide creato dal dr. Ligth si ì evoluto, è stato protagonista di ben dieci titoli della saga principali e di numerosi altri spin off, ma è sempre rimasto abbastanza fedele alla sua impostazione iniziale – almeno nella serie classica – fatta di platforming e scontri puramente arcade. A trent’anni si diventa però grandi e anche per Mega Man è tempo di cambiare: annunciato proprio durante la celebrazione del suo compleanno lo scorso dicembre, Mega Man 11 si propone non come un vero punto di rottura rispetto al passato, ma almeno come una ventata di cambiamento, pur restando fermi i capisaldi della serie.

Megaman 11 03

A pochi giorni dalla sua pubblicazione – prevista per PlayStation 4, Xbox One, Nintendo Switch e PC per il prossimo 2 ottobre – un corposo hands on è il modo migliore per farsi un’idea della solidità del titolo, orfano dei nomi storici che gli diedero i natali, come Keiji Inafune e Akira Kitamura. L’undicesima incarnazione è stata infatta affidata a Koji Oda, Masakazu Eguchi – già all’opera su numerosi Mega Man – ma soprattutto al tratto di Yuji Ishihara, lead artist a cui si deve, ovviamente sotto la supervisione dei produttori e dei direttori, il cambio nella direzione artistica. Mega Man 11 si distacca infatti dal suo ingombrante passato, abbandona la classica grafica a pixel e, mosso dal MT Framwork di Capcom, entra a far parte di quel mondo di platofrm in 2.5D. Lo stacco è abbastanza netto, all’inizio quasi straniante e serve un po’ di tempo prima di riprendersi dal primo impatto, ancora memori delle sfortunate vicissitudini legate a Mighty No. 9. Per fortuna l’opera di Capcom ha poco da spartire con il progetto partorito da Inafune tramite Kickstarter e si rivela ben presto un platform solido e preciso, anche se è impossibile negare come un titolo in pratica “pixel perfect”, dove le schivate e i salti vanno calcolati al centimetro, risenta del netto stacco grafico. Nulla di drammatico, serve un po’ di praticità prima di riuscire ad aver la meglio dei numerosi nemici e delle piattaforme – ma chi ha mai detto che Mega Man sia un gioco facile poi? – ed è proprio in questo contesto che ho apprezzato una delle principali novità di questo undicesimo capitolo.

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Accanto alle solite trasformazioni che il protagonista acquisirà col tempo, “sottraendo” il potere dei boss sconfitti, l’androide ha da subito a disposizione due gears, affidati ai tasti L1 ed R1 della PlayStation 4, piattaforma su cui si è svolta la prova. Il primo potere, chiamato Power Gear, permette di scagliare attacchi più incisivi, ma è soprattutto lo Speed Gear l’alleato imprescindibile grazie a cui superare le parti più ostiche. Mega Man 11 spinge “by design” il giocatore a fare un uso costante di questo potere, non è un semplice aiuto per calcolare meglio un salto, ma è un ingrediente che si amalgama alla perfezione nell’intero gameplay. Lo Speed Gear ha quasi una valenza tattica, permette anche di guadagnare qualche frazione di secondo per studiare il pattern degli ostici boss e venire così a capo di scontri tutt’altro che facili. La build messa a disposizione negli studi di Digital Bros prevedeva tre livelli di difficoltà, già a normal – il più arduo dei tre – la situazione era parecchio intricata e il fatto che la massima complessità fosse ancora inaccessibile non fa di certo ben sperare. O meglio, è una manna dal cielo per i giocatori più hardcore: Mega Man 11 è un gioco giapponese e non fa nulla per nasconderlo.

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Block Man, Fuse Man, Blast Man e Impact Man, questi erano i boss a capo dei quattro livelli compresi nella build di test, quattro mondi in cui apprezzare il diabolico level design messo in scena dal team di sviluppo, sempre ben integrato e caratterizzato a seconda del mondo in cui è ambientato. Prendiamo ad esempio lo stage di Block Man, fatto, come dice il nome stesso, da pesanti pietre da distruggere e da sfruttare a proprio vantaggio, una serie di passaggi stretti in cui farsi largo a suon di salti, colpi e scivolate. Già all’inizio della partita Mega Man possedeva il potere di Block Man, ossia quello di far piovere dal soffitto pesanti macigni, quasi dei letali Passepartout per accedere alla schermata successiva. Il livello, già visto nella demo, è una sorta di punto di ingresso nel mondo di Mega Man 11 che, pur non avendo un ordine prefissato con cui giocare gli stage, suggerisce in qualche modo di iniziare proprio da questo complesso di rocce e pietre. Sì, perché l’asticella della difficoltà si alza un bel po’ negli altri scenari.

Fuse Man è veloce come un fulmine e non per niente il suo potere è per l’appunto collegato all’elettricità, così come tutte le sezioni di platforming sono un coacervo di schivate fra scosse e raggi pronti a fare a fette il povero androide. Le proverbiali sette camicie sono però state sudate contro Impact Man e più in generale in tutto il suo ambiente fatto di pericolanti piattaforme semoventi, cartelli dei lavori elettrificati, birilli segnaletici che sparano altri birilli segnaletici esplosivi. gru in grado di schiacciare ad ogni passaggio Mega Man e soprattutto quelle dannate talpe con i loro picconi telecomandati: un vero e proprio inferno, tanto complicato quanto appagante quando viene portato a termine. A dispetto degli infiniti ostacoli messi lungo il suo cammino, va comunque detto che la progressione in Mega Man 11 è decisamente onesta e i checkpoint, almeno in questi livelli di difficoltà, sono ben distribuiti e non costringono mai a rifare innumerevoli volte lunghe porzioni dei livelli. Inoltre, almeno per quanto è stato visto finora, gli stage sono stati studiati anche per mettere alla prova, oltre che i riflessi, anche il cervello del giocatore, costringendolo a pensare a quale dei poteri utilizzare, siano i Gear, quelli assorbiti dai boss o il cane robot da usare come trampolino per compiere salti più elevati, senza mai però poterne abusare.

- I due Gear ssono ben integrati nella struttura di gioco

- Impegnativo e complesso al punto giusto

- Le boss fight sono la quintessenza di un vero Mega Man

A pochi giorni dal suo arrivo, Mega Man 11 conferma la solidità della serie e mantiene intatta una freschezza fatta di corri-salta-spara con oramai trent’anni alle spalle. Per essere difficile è difficile, pad alla mano i riflessi vengono messi costantemente sotto stress, senza però mai toccare vere vette di frustrazione e questo già basterebbe come marchio di garanzia. Accante alle piccole novità a livello di gameplay, il vero punto di svolta è però l’aspetto visivo del titolo, che potrebbe piacere o non piacere, ma che potrebbe essere meno funzionale alla formula rispetto alla già collaudata pixel art.

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A pochi giorni dal suo arrivo, Mega Man 11 conferma la solidità della serie e mantiene intatta una freschezza fatta di corri-salta-spara con oramai trent’anni alle spalle. Per essere difficile è difficile, pad alla mano i riflessi vengono messi costantemente sotto stress, senza però mai toccare vere vette di frustrazione e questo già basterebbe come marchio di garanzia. Accante alle piccole novità a livello di gameplay, il vero punto di svolta è però l’aspetto visivo del titolo, che potrebbe piacere o non piacere, ma che potrebbe essere meno funzionale alla formula rispetto alla già collaudata pixel art.
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