A cura di Francesco “Parzival” Ventrella
The Evil Within rappresenta l’incarnazione più recente del concept di survival horror, non a caso alla guida del team giapponese Tango Software dedito allo sviluppo del titolo troviamo proprio quello Shinji Mikami a cui si deve il primo Resident Evil.
Nonostante si tratti di un ottimo gioco però, esso non ha ricevuto il successo meritato o perlomeno, quello che ci sarebbe potuti aspettare.
Con la rubrica Why (Not) Famous cerchiamo dunque di scoprire le motivazioni di ciò e di analizzare quei punti di forza per cui potreste comunque voler recuperare il gioco qualora foste tra i tanti a non averlo giocato.
In The Evil Within impersoneremo l’agente di polizia Sebastian Castellanos, un uomo scaltro, capace e motivato a tal punto da aver scalato in breve tempo tutti i ranghi della polizia di Crimson City, venendo promosso a detective. Sebastian è però anche vittima di una situazione estremamente difficile dopo la perdita della figlia e la scomparsa della moglie, di cui è ovviamente il primo sospettato. In preda alla disperazione finisce per diventare un alcolista e per risultare scomodo per il dipartimento, che decide giustamente di mandarlo a investigare sul macabro e pericoloso omicidio di massa al Beacon Mental Hospital. Qui hanno inizio le vicende del titolo, che porteranno Sebastian insieme ai colleghi Joseph Oda e Julie Kidman a imbattersi in un’avventura al limite tra il sovrannaturale e l’occulto, sul cui sfondo giace un trascorso di esperimenti su cervelli e coscienze umane, trasmissioni cerebrali multiple e i malvagi interessi dell’agenzia segreta Mobius.
Tanto Sebastian quanto gli altri personaggi con cui interagiremo nel corso del gioco appaiono veri, concreti, e questo amplifica moltissimo la sensazione di inquietudine e terrore degli ambienti che permeano il titolo per tutta la sua durata. Un costante senso di ansia e la costruzione di ambienti che spaziano dal grottesco al claustrofobico contribuiscono a rendere The Evil Within un must per tutti gli amanti del survival horror classico che erano rimasti delusi dalla virata action di Resident Evil 5 e 6. La struttura del titolo prende infatti in eredità quella da TPS di Resident Evil 4 e la modernizza quanto basta per risultare appagante e mai stucchevole.
Ma allora perché questo gioco non ha mai raggiunto il grande pubblico? Non si tratta certo di un disastro commerciale o di critica, The Evil Within ha venduto abbastanza al lancio ed è stato giudicato con un punteggio Metacritic di 74 [media tra voti PC/PS4/XONE che metto a schermo con un overlay] ma in moltissimi non l’hanno mai giocato e non ne hanno mai sentito parlare, a differenza di un qualunque capitolo di Resident Evil. Oltre alla difficoltà oggettiva di imporre un nome nuovo in un settore come il survival horror, i principali fattori della “non fama” di The Evil Within sono stati il coacervo di titoli, indie e non, con telecamera in soggettiva usciti più o meno in quegli anni, da cui anche lo sviluppo di Resident Evil 7 è stato innegabilmente influenzato, e probabilmente l’essere arrivato a cavallo tra due generazioni che ne hanno compromesso le potenzialità tecniche rendendolo meno appetibile per i neo possessori di PlayStation 4 e Xbox One che volevano principalmente nuovi giochi col, cosiddetto, “graficone”.
Ad ogni modo, se siete incuriositi da The Evil Within, questo potrebbe essere il momento migliore in cui recuperarlo dal momento che il 13 ottobre arriverà The Evil Within 2, questa volta solo per PC, PlayStation 4 e Xbox One, che ci auguriamo possa rappresentare un degno successore in grado di rendere la saga di Tango Software uno dei pilastri del genere per il futuro.