Vite in Gioco

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a cura di Phoenix

Un’icona, un frammento del passato, un’immagine ormai sbiadita; era il 20 novembre del 1998 quando Gordon Freeman, silenziosamente, faceva il suo ingresso nel mondo dei videogiochi. Un personaggio singolare, unico e, per certi versi, rivoluzionario. Così, Gordon e Half-Life, titolo di cui è protagonista, nel corso degli anni hanno ricevuto, meritatamente, svariati premi da critica e pubblico; eppure, trovare le parole giuste per dipingere il ritratto di questo personaggio è assolutamente complesso, poiché, in fin dei conti, Gordon non parla, non proferisce parola per tutto il corso della sua avventura, e forse, è proprio questo silenzio che contribuisce ad arricchire la figura di questo personaggio, che vive un’avventura essenzialmente già vista, ricca di topoi del genere sci-fi, ma che, nello stesso tempo, risulta paradossalmente innovativa, geniale e, a tratti, incredibilmente unica.
Un laboratorio di ricerca, un’invasione aliena, una fuga; Half-Life comincia nel modo più “normale” possibile, ma, nonostante questo, esistono delle peculiarità, delle novità, delle semplicità che rendono questo titolo indiscutibilmente unico, a cominciare, ovviamente, dal suo protagonista. Così, da questa opportuna considerazione, inizia la riflessione attorno ad un personaggio che, ancora oggi, a così tanti anni di distanza, è considerato, per la sua essenza, uno dei migliori personaggi di sempre.
Un uomo, un eroe
Gli sviluppatori di Half-Life mettono il videogiocatore nei panni di un eroe che, per sua natura, non è assolutamente pronto ad affrontare l’avventura che lo aspetta; Gordon Freeman è un ragazzo ossessionato dalla scienza, un fisico teorico che ha conseguito un dottorato di ricerca presso il Massachussets Institute of Technology. Eppure, Valve è riuscita ad operare una sorta di rivoluzione copernicana ideale, in grado non solo di avvicinare il videogiocatore al protagonista, ma anche, e soprattutto, in grado di rendere questo personaggio un eroe perfetto del contesto in cui egli stesso si erge. Così, all’interno dell’universo di Half-Life, l’unico eroe plausibile, giusto, è proprio Gordon Freeman, uno scienziato, un uomo di scienza che si trova di fronte ad un invasione aliena scatenata, inavvertitamente, dalla stessa scienza che dimentica ogni moralità dinanzi al fine ultimo del progresso. In questo contesto, Gordon Freeman diviene la metafora perfetta della vera scienza, quella che, in fin dei conti, è disposta ad imparare dai suoi errori, trasformandosi, modificando se stessa per non autodistruggersi. Forse non è un caso che Gordon Freeman sia un fisico teorico, perché solo una buona teoria, a conti fatti, può guarire una cattiva pratica.
Così, il viaggio del videogiocatore procede in un silenzio che vale più di mille parole, il silenzio di un eroe che non combatte solo per se stesso, il silenzio di una deontologia calpestata, il silenzio di una teoria che, necessariamente, è chiamata a riappropriarsi del suo vero valore e del suo giusto compito, per ristabilire, alla fine, la giusta tensione tra due universi lontani e, nello stesso tempo, essenzialmente vicini.
Conseguenze Impreviste
Gordon Freeman è travolto da una serie di eventi inaspettati, egli si ritrova gettato in un’avventura che lo trasforma, in un momento, da ricercatore ad eroe. Un’avventura che non possiede la profondità intellettuale di altre produzioni, ma che riesce comunque a sollevare delle tematiche interessanti e piacevoli. Una di queste, senza dubbio, è il ruolo del caso. La casualità, vista, da sempre, come nemica della scienza e della conoscenza, arricchisce il viaggio del nostro protagonista. Con uno sguardo a-posteriori possiamo cogliere, in generale, il pesante ruolo della casualità, quasi come se fosse la più preziosa alleata di quella scienza che Gordon Freeman, metaforicamente, rappresenta. Il viaggio di Gordon non è affatto casuale, ha un suo principio ben delineato, eppure, non si può non prendere consapevolezza del fatto che sia stata proprio questa casualità a porre questo scienziato nel luogo e nelle condizioni adatte affinché potesse, in ultima istanza, ottemperare al suo scopo.
Con lucidità e analisi, dobbiamo necessariamente ammettere che non è affatto un caso che Gordon Freeman sia ciò che è, ma, al contempo, bisogna opportunamente realizzare che è stato il caso, una serie di eventi inaspettati e di conseguenze impreviste, a fare di Gordon il vero eroe di questa storia e della sua conclusione.
Così, questa casualità, che in molti rifuggono, sembra abbracciare il nostro protagonista, trascinarlo violentemente all’interno di quel vortice di situazioni, conducendolo, inesorabilmente, verso quella lotta che solo uno come lui avrebbe potuto affrontare, e, in fin dei conti, vincere.
Un ritorno
In Half-Life 2 l’atmosfera che si respira è decisamente diversa, dai contorni più definiti in una Terra ormai invasa dagli alieni. Il nostro protagonista non è più il semplice fisico teorico del primo capitolo, ma resta comunque una figura che, attraverso il suo silenzio, riesce a trasmettere delle sensazioni vere e appaganti.
Questa seconda avventura di Gordon Freeman, bisogna ammetterlo, lascia più spazio alla riflessione. Half-Life 2, infatti, è ricco di rimandi alla celebre letteratura distopica di Orwell e Wells; per tale motivo, la vita di Gordon Freeman riporta alla mente il problema della tecnologia e del suo uso all’interno della società, una società che non ha saputo direzionare il progresso verso un fine “giusto”, e che per questo ha perso se stessa. Con genialità, Half-Life 2 porta il videogiocatore all’interno di una distopia in cui ogni cosa sembra trovarsi al posto sbagliato, con la continua sensazione di essere osservati, scrutati, guidati. Ed è su questo palcoscenico che il nostro protagonista diviene realmente un eroe, un essere umano in grado di ergersi contro la follia che lo circonda, poiché, a conti fatti, Gordon Freeman ha già mostrato di avere il potere di farlo, di essere in grado di recuperare il controllo, su di sé e sul mondo distopico che, come una fitta nebbia mattutina, inesorabilmente, lo avvolge.  
Così, quello di Gordon è un ritorno diverso, che assume tratti politici ed etici, ma, nello stesso tempo, è un ritorno essenzialmente coerente con se stesso, giustificato dal fatto che egli, forse, nella lotta contro le forze che hanno invaso la Terra, ha trovato, irrimediabilmente, la sua vera essenza e, soprattutto, il vero, profondo, assoluto significato di quel silenzio che, ancora oggi, continua a rapire il videogiocatore.

Gordon Freeman è divenuto un’icona, ed è un personaggio, sicuramente, molto amato dai videogiocatori. Tratteggiare la sua figura non è un’impresa facile, considerando che questo personaggio non proferisce parola e, tendenzialmente, non viene neppure mai visto dai videogiocatori. Probabilmente, è proprio il suo silenzio che amplifica la portata della sua avventura, un silenzio geniale e paradossalmente loquace, ricco di significato e assolutamente profondo, talmente profondo da rimanere impresso nelle menti di coloro che, a conti fatti, lo hanno ascoltato.

“…And the vision that was planted in my brain still remains, within the sound of silence.” (The Sound of Silence, lyrics)

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