Una rubrica come Vite in Gioco non poteva non parlare di Ico, non poteva non fermarsi a riflettere sull’essenza di un videogioco unico, essenzialmente poetico, e a tratti addirittura metafisico. Non si fa fatica ad identificare ICO con un monito, un monito rivolto non solo ai videogiocatori di tutto il mondo, bensì all’intera cultura videoludica. ICO è un messaggio, un’affermazione diretta e, nello stesso tempo, paradossalmente metaforica, rivolta a tutti coloro che credono che un “semplice” videogioco non possa elevarsi ad una forma di poesia, di arte, di manifestazione reale di un emozione “vista”, distaccata, eppure, a conti fatti, profondamente “provata”. ICO è un’affermazione decisa, ma poeticamente taciuta, è un grido sicuro, ma nello stesso tempo silenziosamente sussurrato, è un messaggio visibile ma per nulla evidente.
E così, come in una poesia le parole sono strumenti ed essenza stessa del messaggio poetico, il nostro protagonista è uno strumento nelle mani dei videgiocatori e, al contempo, un microcosmo perfettamente riuscito dell’intero messaggio del titolo diretto da Fumito Ueda. ICO è un titolo ricco di significati, pieno di una forza delicata che solo la poesia è in grado di celare e, nello stesso tempo, far trapelare con assoluta chiarezza; il nostro protagonista, grazie al suo viaggio e alla sua avventura, riesce, con sincerità, a far riflettere il videogiocatore attento, il quale, in un attimo, rimane rapito dalla forza che questo bambino sembra possedere, una forza e un potere che non vengono dalle armi, o dal corpo, bensì dallo spirito, dalla quella quintessenza che soltanto le vere poesie posso possedere, senza ostentare.
Così, il nostro piccolo protagonista trasmette ai videogiocatori un messaggio profondo, e, forse, troppo a lungo dimenticato: la vera forza è quella dello spirito, dell’animo, della coscienza, mentre il corpo altro non è che un simulacro, una forma esteriore il cui unico scopo è quello di permettere, a questa forza, la sua somma manifestazione. E, per dirla tutta, questo messaggio pesa non poco sull’intero titolo, che diviene una perfetta manifestazione di alcuni ideali tipici del decadentismo moderno e dell’estetismo, come l’opposizione reale di spirito e materia e, soprattutto, la Bontà come una forma di bellezza.
Un’avventura che non ti aspetti
Ico, come l’intero titolo prodotto da Sony, rifugge da ogni classica caratterizzazione. “Ci sono alcuni di noi che nascono postumi” – affermava Friederich Nietzsche in Ecce Homo – “Il mio tempo non è ancora venuto” ed in effetti, ICO sembra un titolo nato davvero troppo presto, un videogioco che ha visto la luce in un tempo non ancora maturo, e il suo piccolo protagonista diviene un unicum assoluto dell’intera storia videoludica. Eppure, forse è proprio per questo che Ico ha saputo stupire, forse è proprio questo il motivo per cui questo singolare protagonista ha saputo conquistare i cuori dei videogiocatori di tutto il mondo. Non esiste specie, né genere tra cui classificare questo videogioco, e, ancora una volta, bisogna ammetterlo, la sua bellezza risiede proprio in questa sua caratteristica essenziale, unica, paradossale; eppure, al contrario di Nietzsche, che rivela amarezza per un’epoca destinata a non comprendere, il videogiocatore non può che rimanere ammirato dalla poesia di questo videogioco e del suo protagonista. Un’ammirazione sincera, a tratti sbalorditiva, poiché questo bambino riesce a rivelare, con un magnifico silenzio, un nuovo modo di “sentire” i videogiochi, un nuovo modo di immergersi in un’avventura che, a conti fatti, non ti saresti mai aspettato, né immaginato.
Così, il videogiocatore si trova catapultato in un viaggio che riscrive la lotta tra luce e ombra; la arricchisce di nuovi toni, di nuove sfumature e, in modo particolare, di un nuovo senso generale. Quel castello, così poeticamente spettrale, e oscuro, diviene il teatro di una lotta tra pace e inquietudine, tra i dubbi e la sincerità, tra la forza di volontà e l’ombra più densa di un’oscura maledizione.
Il sacrificio
La storia di Ico, e l’avventura che il videogiocatore è chiamato a vivere, comincia con un episodio di umana “ignoranza” e di razzismo. Il nostro piccolo protagonista, dopo essere stato allontanato dal suo villaggio, viene trasportato e recluso in un enorme castello, isolato, all’interno di una foresta. Questo è lo scenario dal quale comincia la sua avventura: un sacrificio. Ico viene sacrificato, e lasciato in quella sinistra costruzione, a causa di quelle bianche corna che, sin dalla nascita, ha sulla sua testa. Abbandonato a se stesso, tra le ombre e i sarcofagi di coloro che lo hanno preceduto, Ico fa della sua prigione un monumento alla libertà, o, se volete, alla liberazione. L’incontro con Yorda, e il sentimento altrettanto poetico che sembra legarli sin da subito, amplifica e da senso ad un’avventura che, se condotta da soli, avrebbe, probabilmente, un significato meno profondo e, sopratutto, meno intenso. Un viaggio che fonde assieme due destini, o forse molti di più, poiché, per tutto il corso dell’avventura, come una luce avvolta dalla nebbia, la forza di volontà del nostro piccolo protagonista non sembra mai vacillare, anche nel momento in cui essa è destinata, irrimediabilmente, a dissolversi nella più profonda oscurità.
Così, il viaggio di Ico è anche il viaggio di Yorda, due spiriti così profondamente uniti e sigillati da una lealtà sincera, forte, ricambiata e sempre viva in ogni suo aspetto. Il desiderio di libertà, pertanto, anima questo viaggio in modo costante, e la sua conclusione non poteva essere meno poetica del suo inizio, con i nostri due protagonisti, ormai indissolubilmente legati, che, assieme, grazie alla libertà conquistata, mangiano in riva al mare, con calma, rilassati, in pace.
Ombre e Luci
ICO ripropone il conflitto tra bene e male, tra luce e ombra, tra verità e follia. Lo fa, tuttavia, in tono metaforico e in maniera assolutamente nuova. Nell’universo di questo tetro e, nello stesso tempo, splendido castello, l’oscurità non rappresenta altro che l’oppressione, mentre la luce, al contrario non è nient’altro che libertà. All’interno di questa prigione, infatti, l’oscurità riesce a trasmettere, al videogiocatore, un senso di claustrofobica agonia, di morte e di assoluta coercizione. Gli spazzi di luce, invece, come Yorda e lo stesso Ico, sono barlumi di speranza, semi di una vittoria che il videogiocatore, sin dall’inizio, è pronto ad accogliere immergendosi e divenendo parte integrante di questa stupenda poesia. Così, la battaglia tra ombre e luci si trasforma, d’un tratto, in una battaglia tra l’ignoranza di chi crede che la propria condizione non possa mai cambiare e chi, invece, è disposto ad andare avanti, e lottare, consapevole del fatto che una delle battaglie che vale la pena combattere è proprio quella che si porta avanti per cambiare il proprio destino e quello degli altri; ed è proprio per questo che il nostro protagonista cade, ma si rialza, viene sacrificato dal proprio villaggio, ma vuole comunque salvare se stesso e Yorda.
La battaglia non poteva concludersi in un modo migliore, nè più poetico, con la maledizione che si spezza, a parere di chi scrive, per il solo motivo che ormai, dinanzi agli occhi del videogiocatore, la vera forza si è ormai rivelata. In questo modo la poesia abbraccia l’arte, e un “mero videogioco” diviene, insieme, arte e poesia.
ICO è un altro di quei videogiochi che hanno segnato molti videogiocatori. Con una grazia ed una poeticità uniche, Ico si è guadagnato, e meritato, un posto tra i grandi personaggi dell’intera storia videoludica; un personaggio che sa conquistare, stupire e suscitare emozioni in un modo del tutto nuovo, sincero, senza strafare e soprattutto, senza ridondantismo. Questo personaggio è, e sarà, nel cuore di molti videogiocatori; e forse, quando i tempi saranno maturi, albergherà nella memoria e nei ricordi di tanti tanti altri.
“Chi vive nella libertà ha un buon motivo per vivere, combattere e morire.” W. Churchill