Esistono titoli che sfidano le leggi del tempo, che rievocano i profumi lontani della prima giovinezza, del tempo vissuto e delle emozioni provate. Era l’anno 1997 quando Final Fantasy VII arrivava sulla prima PlayStation e su PC, entrando, a conti fatti, nella storia videoludica. Non ho timore, né dubbi di ogni sorta, a pensare questo titolo dell’allora Squaresoft come se fosse un pezzo di letteratura; Final Fantasy VII, come un buon libro, riesce a trasmettere qualcosa al videogiocatore, e, ogni volta che viene giocato, riesce a modificarsi, trasmettendo qualcosa di diverso, di più profondo, di più intenso. Probabilmente, il personaggio che incarna meglio questa caratteristica di Final Fantasy VII è Sephiroth, antagonista principale del titolo e, sicuramente, uno dei personaggi più popolari dell’intera serie. Sephiroth nasconde una non banale profondità, una storia che, nello stesso tempo, esalta e giustifica la sua malvagità, ma, soprattutto, nasconde una vera, e sincera, riflessione sull’essenza stessa del male. Sephiroth stesso, al videogiocatore attento e profondo, è un elogio della follia, un personaggio che, per essenza, rappresenta una profonda distinzione tra il male e la pazzia, come se la sua malvagità non fosse espressione della sua moralità, bensì della sua folle esistenza. Il titolo Squaresoft riesce, con straordinaria abilità, a mettere in scena un antagonista che non può essere condannato, un personaggio che non può essere banalizzato; la sottile linea che separa l’intenzione dall’azione non è mai stata così evidente, poiché la stessa follia è ben più difficile da comprendere, e da giudicare, dell’evidente malvagità morale.
Il Destino nel Nome
La spirale di follia che circonda e avvolge questo personaggio si manifesta nella sua più totale chiarezza nel momento in cui egli arriva a comprendere la sua stessa natura. Sephiroth, come ogni personaggio ben costruito, non nasce malvagio, ma diviene folle nel momento in cui la verità della sua essenza si manifesta, alla sua coscienza, in tutta la sua forza e brutalità. Una natura che egli stesso non avrebbe mai immaginato, una natura che modifica la sua visione del mondo e delle cose, una natura che, da una riflessione attenta, è già pesantemente nascosta all’interno del suo nome, “Sephiroth“. Esso deriva dal verbo ebraico Safor che significa “contare”, pertanto, l’escatologia della Qabbalah fa delle Sephiroth i numeri primordiali della creazione. Al di là di questa lettura eminentemente etimologica, da un punto di vista neoplatonico le Sephiroth non sono altro che prime “emanazioni” dell’Uno, ovvero, di quell’essenza che si presta ad essere chiamata con il termine “Dio”. Non è difficile, a questo punto, cogliere l’analogia tra il destino del nostro personaggio e la lettura terminologica del suo nome. Nel momento in cui Sephiroth arriva a comprendere la sua natura di “esperimento” la follia prende il sopravvento, e il suo progetto di riportare Jenova alla sua forma origina scatena tutti gli eventi della trama di gioco; una trama che si evolve assieme all’insanità di questo terribile antagonista, che altro non è che un’emanazione perfetta di Jenova.
One Winged Angel
La figura di Sephiroth si presta ad essere analizzata sotto diversi punti di vista. La natura estremamente reale della sua follia lo rende un esempio vivente del conflitto tra il Bene e il Male. Un conflitto che non è interiore, Sephiroth non ha dubbi, non ha esitazioni, per lui esiste un unico obiettivo, un obiettivo che, ai suoi folli occhi, è quello giusto. La caduta delle menzogne, questo è il suo obiettivo; ottenere la Black Materia e scatenare Meteor, distruggendo quel mondo che permette alle menzogne di divenire verità. In questo senso, Sephiroth è davvero il “prescelto”, il machiavellico Principe disposto a tutto per ottemperare al fine ultimo, al Bene supremo. Eppure, la follia non può cambiare la realtà, può solo crearne una copia ancora più falsa, ancora più paradossale, ancora più malvagia. La figura di Sephiroth non può comprendere che la natura “divina”, purtroppo, deve sempre fare i conti con i limiti di ciò che umano; ed è così che, in Sephiroth, la follia diviene essenzialmente realtà, dando vita ad un personaggio che crea da sé una sua propria visione delle cose, e dimentica che il vero Bene non è nient’altro che la moralità delle proprie azioni. Non è facile, quindi, elaborare un ritratto strutturale esaustivo di questa splendida figura; forse, è persino impossibile. Eppure non è scontato, né riduttivo, ammettere che Sephiroth incarni l’oscurità in un modo del tutto singolare, per certi versi unico e assolutamente profondo. Il videogiocatore attento è trascinato, così, all’interno di questa sua follia, e, forse, è solo alla fine del gioco che si comprende che Sephiroth non è malvagio perché possiede una moralità corrotta, bensì perché possiede uno spirito fragile, uno spirito che si frantuma e si sgretola dinanzi alla verità, uno spirito che, per conservarsi, distrugge se stesso dinanzi alla realtà delle cose.
Il Bene e il Male
Erasmo da Rotterdam scrive: “Senza il condimento della follia non può esistere piacere alcuno“. Una frase appropriata, forse mai tanto vera come all’interno dell’universo di Final Fantasy VII, poiché è proprio la follia di Sephiroth che da vita a tutti gli eventi che il videogiocatore percorre, pervaso di meraviglia e di emozioni sempre vive e presenti. Il nostro personaggio incarna un male esteriore, un male deve esistere per necessità, un Male che, a conti fatti, serve per manifestare il Bene; Sephiroth è una figura che, rifiutando la realtà, fa di essa il vero male da combattere, e, per affermare la sua follia, non può fare altro che distruggere tutto ciò che è reale.
Un personaggio complesso, Sephiroth, che non si può affatto ridurre ad un semplice e comune antagonista. A conti fatti, e non credo di sbagliarmi, la grandezza di questo personaggio risiede proprio in questa sua complessità, in questa sua caratteristica sostanziale di fuggire i luoghi comuni concedendo uno spessore aggiuntivo all’intera opera Squaresoft.
Sephiroth riesce, con straordinaria purezza, a colpire il videogiocatore, che, da un certo punto di vista, non può odiarlo, né condannarlo in via definitiva; vuoi perché comprende la sua follia, vuoi perché, come ho detto, questa Fantasia Finale è stata possibile solo, ed esclusivamente, grazie a lui.
Immergersi in Final Fantasy VII significa calarsi nella sua essenza, nelle sue motivazioni, nei suoi ricordi, e nelle sue folli giustificazioni. A suo modo, Sephiroth non fa altro che ricordare, al videogiocatore attento, che Bene e Male non sono altro che due facce della stessa moneta, e che ognuno di noi deve imparare, a sue spese, a convivere con la propria follia.
Sotto alcuni aspetti, Sephiroth è un personaggio indecifrabile e, nello stesso tempo, estremamente ricco di sfumature. Giocando più volte il titolo, questa figura ne esce sempre più chiara e sempre più leggibile. Pertanto, analizzare questo personaggio non è stato facile; forse, quando ho giocato per la prima volta a Final Fantasy VII, ero troppo giovane per riflettere, troppo giovane per fermarmi a pensare, ma, allo stesso tempo, non ero affatto troppo giovane per apprezzare la gioia, e l’emozione, di una splendida meraviglia. Così, Sephiroth si è guadato, a buon diritto, un posto tra i personaggi di questa rubrica, una rubrica che, come di consueto, conclude con una frase:
“Tutti siamo costretti, per rendere sopportabile la realtà, a tenere viva in noi qualche piccola follia” (M. Proust)