Un videogioco con ghiaccio, grazie - Puntata 1

Avatar

a cura di Adriano Di Medio

Redattore

L’estate: tempo strano per i videogiocatori. Strano perché vive di paradossi: da un lato vi è la prospettiva delle ferie, dall’altro la certezza che il settore in questo periodo è parco di novità. Per i videogiocatori più attempati questo ha significato sempre la solita scelta: recuperare qualcosa uscito nei mesi precedenti oppure buttarsi su qualche grande classico. Titoli di ampio respiro, dall’incedere calmo e rilassante come un anime da centinaia di episodi. Un sentito contraltare al caldo, perfettamente abbinato a qualche bibita ghiacciata.
Eppure, c’è una terza via. Se il bicchierone non si discute, c’è un altro modo per combattere l’afa: abbinarci un videogioco. Che sia portatile e il casalingo, andremo alla scoperta (e riscoperta) di piccole gemme in grado di combattere il caldo. Un appuntamento settimanale, ogni venerdì per tutta l’estate, in cui scopriremo se stanno bene insieme al ghiaccio. In questa prima puntata, Viking Battle for Asgard.
Tre isole, due dee, un mortale
La perla di oggi risale al 2008, per la generazione PS3 e Xbox 360. Pubblicato da SEGA, è il secondo esperimento console della Creative Assembly. Dove su PC questi sviluppatori sono ben più famosi (e a ragione) per i Total War, su console non hanno mai conosciuto molta fortuna. Non che le siano mancate occasioni: la loro più recente è l’aver collaborato ad Alien: Isolation.
Ma torniamo a Viking, il cui titolo dice molto già da solo. Siamo un vichingo che dovrà combattere per Asgard, la leggendaria dimora degli dèi nordici. Per avere qualche approfondimento in più basta inserire il disco: il vichingo si chiama Skarin, e in una tragica circostanza verrà scelto dalla dea Freya per liberare il mondo da Hel. La dea degli inferi ha infatti richiamato dall’abisso la sua Legione, e i vichinghi ormai allo stremo hanno bisogno di un capo che li porti alla vittoria.
Questa la semplicissima trama, e tutto sommato ci va bene così: una grande minaccia, un fantasy grezzo, una grande scusa per l’esplorazione. Il videogioco è infatti ambientato tutto in tre macro-isole, caricate totalmente in streaming e senza alcun caricamento. Altrettanto semplice la struttura: ci si aggira per le tre macro-isole recuperando tesori, liberando alleati e affrontando i nemici. Controlliamo Skarin in terza persona: c’è la coppia di attacchi veloci e pesanti, c’è l’interazione, la parata e gli oggetti consumabili. A questo si aggiungono una blandissima esplorazione un po’ di pseudo-stealth, da utilizzare in particolari sezioni in cui dovremo sgattaiolare nelle roccaforti nemiche alla ricerca di oggetti magici.
Una volta radunato un esercito sufficientemente grande, si passa alla seconda componente di Viking: la battaglia. In tali avvenimenti le nostre forze si riuniranno, ingaggiando le forze di Hel in epici scontri di massa. Qui dovremo guidare l’esercito, occupandoci dei comandanti e conquistando man mano i punti strategici. La sensazione restituita è di grande empatia: per quanto divino prescelto, Skarin rimane sempre un uomo e come tale suscettibile alla morte. La battaglia va quindi vinta un passo alla volta, conquistando ogni metro di terreno fianco a fianco ai propri uomini.
Una lunga camminata
Tutto nella norma, insomma. Ed è proprio che sta il suo difetto. Se le battaglie sono in grado di dare grandi emozioni, l’esplorazione decisamente meno. Per quanto si lascino piacevolmente giocare, difficilmente esaltano: i compiti sono affetti da un’irrimediabile ripetitività. Un difetto che viene affiancato da una scelta di design controversa: il gioco non presenta nessuna missione secondaria o facoltativa. Ogni compito che ci viene assegnato va obbligatoriamente svolto prima di accedere alla battaglia successiva. Ogni isola semplicemente va esplorata nella sua interezza, e non poche volte le missioni sono artificiosamente “annacquate” (ad esempio facendo da messaggeri tra due NPC eccessivamente lontani tra loro).
La metafora veicolata è il fatto che una battaglia richiede notevoli preparativi, dal convocare le forze al consolidare i rifornimenti. Tale rappresentazione tuttavia riesce solo a metà: le isole sono per somma parte vuote, le strutture sono grandiose ma tutte troppo uguali tra di loro, e gli NPC (anche quelli con nome) sono sempre i soliti due-tre modelli clonati all’infinito. In tali frangenti il gameplay mostra enormi debolezze: i colpi appaiono pesanti e rozzi, e i Quick-Time Event da superare per sconfiggere boss e mini-boss sono da dimenticare. Il livello di difficoltà è poi ugualmente bipolare: certe sessioni sono accessibili, mentre altre (specie contro nemici particolarmente veloci) portano a inevitabili fallimenti. Il paradosso più grande? Basta acquistare poche mosse specifiche (come le uccisioni stealth) per far precipitare il gioco nella facilità più totale.
In un bicchier d’acqua
Neppure tecnicamente il gioco tiene, anzi vive di notevoli alti e bassi. Il motore che muove il tutto è una tecnologia proprietaria, risultato della raffinazione di quella scritto nel 2005 per Spartan Total Warrior. Se nell’era PS2 il risultato era grandioso, oggi le ambizioni del mondo aperto e delle battaglie su larga scala non sono state affiancate da una tecnologia altrettanto performante. Se la gestione delle scene di massa è rimasta di tutto rispetto, sono tante le occasioni in cui il codice si perde in un bicchier d’acqua. Colonna sonora che non viene riprodotta, effetti sonori asincroni e animazioni poco eleganti saranno una costante per tutta l’avventura. Non mancano anche glitch e qualche freeze irritante, così come bug che a volte impediscono la corretta riproduzione delle cutscene realizzate con il motore di gioco. La versione PS3, purtroppo, è la più piagata: oltre a soffrire di una persistente sfocatura degli elementi in lontananza, presenta un dettaglio sensibilmente più basso. Fortunatamente i problemi di freeze sono stati corretti con un aggiornamento, caldamente raccomandato prima di cominciare.
Atmosfera con le corna
Il gioco quindi ha tantissimi difetti. Perché allora si trova in questa rubrica? Per ciò che c’è intorno alle sue debolezze. Basta andare poco oltre la superficie per vedere quanto il mondo virtuale sia in grado di trasmettere. Se le battaglie sono tuttora la parte più immediata, la ripetitività dei compiti non riesce a stemperare il fascino dell’ambientazione nordica. Creative Assembly ha costruito un contesto in cui grandi distese silenziose e altari megalitici vengono abbracciate dal respiro dell’oceano. Il cielo stesso ne segue l’estetica, divenendo sanguigno nei territori ancora da liberare e azzurro dove torna la società. I villaggi e le città sono infatti autenticamente vivi e pulsanti, popolati da vere e proprie folle di NPC coinvolti in ogni tipo di attività. Li si può vedere intenti a bere e mangiare nelle locande, addestrarsi nei campi, lavorare la pietra, conversare (con dialoghi unici) e molto altro. A calare ulteriormente nell’atmosfera vi sono le architetture: grandi costruzioni in pietra e legno appaiono sorprendentemente credibili nel loro contesto fantasy. Tra un’isola e l’altra vi sono anche intermezzi che approfondiscono la trama, narrati per immagini fisse dalla forte connotazione fumettistica. Il loro essere rudamente essenziali contrasta con la grafica altrimenti totalmente 3D.
Il vichingo, nove anni dopo
Giocare Viking: Battle for Asgard oggi trasmette una sensazione strana. Il gioco è invecchiato solo graficamente, mentre mantiene tutta l’atmosfera e la potenza visionaria delle battaglie. Queste ultime ancora oggi riescono a stupire per la grandezza delle forze in campo, e la sensazione di essere l’ago della bilancia in un conflitto epocale traspare ancora con prepotenza. Una componente strategica totalmente assoggettata all’azione e una tecnica ballerina non riescono a intaccarla. Anzi, una volta compreso il gameplay diviene insolitamente rilassante girare per le isole e “fare gli eroi”. Il gioco dura sulle quindici ore: un risultato che per quanto dignitoso, per i più smaliziati si traduce in un lungo weekend. Ma in tal senso anche la durata è relativa: dubitiamo che, anche una volta sbrigati tutti i compiti, non si voglia ancora una volta farsi un giro per le ariose ambientazioni prima di scatenare l’ennesima epica battaglia.
Un’ultima nota sulla componente sonora: se le musiche sono ariose, corali ma non particolarmente riconoscibili, il doppiaggio italiano è invece veramente ben fatto, con voci professionali e dalla grande esperienza nel settore.

Viking: Battle for Asgard sta bene col ghiaccio? La risposta è sì, ma la motivazione va oltre le semplici considerazioni tecniche o i trascorsi dei suoi creatori. Il gameplay è appena sufficiente, la grafica rude e l’esplorazione creata artificiosamente, ma l’atmosfera è spanne sopra a molti altri suoi contemporanei. Molto semplicemente, c’è anima dietro questo videogioco. E a questa poco importa che la tecnica non vada di pari passo. Ci sono passione e ispirazione: dalla progressione alla soddisfazione dei grandi panorami, passando per le memorabili scene di massa imbastite a ogni culmine. Un videogioco con molto stile e poca forma, ma intellettualmente così sincero che gli si può solo voler bene.

Leggi altri articoli