Nella sconfinata libreria di giochi di ruolo di stampo giapponese su cui le console della famiglia 3DS possono contare, ce ne sono alcuni che, nel tentativo di distinguersi dalla massa, hanno messo in campo idee innovative, provando a deviare dal percorso più battuto per offrire esperienze di gioco peculiari, con risultati alterni.
The Legend of Legacy, sviluppato da Cattle Call e FuRyu e pubblicato da NIS sul territorio europeo, apparteneva sicuramente a questa categoria, e, sebbene non abbia lasciato il segno due anni or sono, ha avuto sufficiente successo da meritarsi un seguito spirituale, che giunge oggi sugli scaffali fisici e digitali: stiamo parlando di The Alliance Alive, e quella che segue è la nostra recensione.
A new beginning
Come avevamo evidenziato nella recensione del titolo pubblicato nel 2016, il comparto narrativo era una della mancanze più evidenti della prima produzione Cattle Call, con personaggi stereotipati e di poco spessore e un plot prevedibile: per ovviare a questa situazione, per The Alliance Alive è stato scritturata una delle figure più influenti dello storytelling nipponico, quello Yoshitaka Murayama responsabile della prima trilogia di Suikoden, che occupa ancora oggi un posto speciale nel cuore degli appassionati del genere.
I miglioramenti sono evidenti, con un cast di personaggi più ricco (non solo numericamente) e sfaccettato, anche se, ad onor del vero, l’intreccio fatica a decollare durante il primo terzo dell’avventura, per poi migliorare sensibilmente solo durante le battute finali.
Il mondo che fa da sfondo alle vicende è antecedente di migliaia di anni a quello visto in The Legend of Legacy, quando una razza di esseri soprannaturali, chiamati Daemon, si pose in cima alla catena alimentare, soggiogando l’umanità con la forza.
Temendo l’energia spirituale degli umani, i Daemon divisero il mondo in compartimenti stagni, impedendo le comunicazioni tra i popoli e rallentando significativamente lo sviluppo sociale e tecnologico, così da lasciare la razza umana in una perenne condizione di inferiorità, aggravata dalla presenza di una terza specie, i Beastfolk, veri e propri cani da guardia dei Daemon.
Come sempre quando un regime tirannico si impossessa del potere, una piccola ma tenace resistenza si muove nell’ombra, e proprio nel sottobosco clandestino il giocatore incontrerà i primi due protagonisti (su un cast complessivo di nove), Azura e Galil, intenti a trovare un vascello capace, secondo le leggende, di rompere le barriere create dai Daemon e permettere il viaggio tra i diversi regni umani.
Come tutti i prodotti che coinvolgono cast così numerosi di personaggi, è inevitabile scegliere uno o due preferiti ed avere a cuore principalmente la loro evoluzione, anche se, a ben vedere, i momenti migliori della narrativa di The Alliance Alive li si vive quando la squadra è finalmente completa, dopo che il gioco si è preso tutto il tempo necessario (anche troppo, in certi frangenti) per presentare ognuno dei protagonisti, le sue motivazioni e le sue debolezze.
Nel complesso, i passi avanti sono eclatanti rispetto al prequel, ma, in assoluto, storia e caratterizzazione dei personaggi risultano buone ma non eccezionali, con l’aggravante, per i meno capaci con la lingua d’Albione, della mancanza dell’italiano.
Un mondo da scoprire
La struttura portante della produzione è rimasta pressoché inalterata, con una maggiore libertà di esplorazione rispetto al passato e delle aggiunte non troppo significative a livello di gameplay.
Partiamo dal combat system, che, a nostro avviso, era uno degli elementi maggiormente riusciti nel titolo precedente: i membri contemporaneamente schierabili sono saliti a cinque, a mo’ di Etrian Odyssey, con un sostanziale aumento delle possibilità di personalizzazione del team e delle strategie da impiegare per uscire vincitori dagli scontri.
Come in passato, ognuno dei personaggi si inserirà all’interno di una precisa formazione, con tre linee separate (avanguardia, centro e retroguardia) che influiranno direttamente sulla possibilità di essere colpiti, sul danno inflitto e su quello ricevuto, e tre ruoli differenti tra cui scegliere, ovvero attaccante, difensore e supporto.
La scelta di permettere a tutti i personaggi di equipaggiare ogni tipo di arma ed armatura presenti nel gioco, con l’eccezione di alcuni pezzi specifici durante le ultime battute dell’avventura, lascia carta bianca al giocatore, consentendo una costruzione da zero del proprio party di avventurieri e, con essa, una maggiore responsabilizzazione dell’utente, che sarà responsabile, con le sue scelte, tanto delle vittorie quanto delle sconfitte.
Nell’ottica di ampliare la fanbase del prodotto, dopo che il primo titolo rimase abbastanza di nicchia, il team di sviluppo ha abbassato la difficoltà media rispetto al recente passato: cionondimeno, l’ultima fatica Cattle Call sa ancora riservare picchi di difficoltà non indifferenti, e, in generale, tende a punire i giocatori che rifuggono dalle battaglie, preferendo dedicarsi alla sola esplorazione.
Torna da Legend of Legacy (e dai titoli della serie SaGa prima di lui) l’inconsueto sistema di progressione visto per la prima volta in Final Fantasy II, con le abilità che crescono man mano che vengono utilizzate: brandire un pugnale (tra le undici classi di armi presenti nel gioco) non renderà automaticamente il personaggio che lo impugna un maestro nel suo utilizzo, ma, battaglia dopo battaglia, fendente dopo fendente, esso risveglierà abilità sopite, che attingono alla barra dei punti magici e infliggono sempre più danni man mano che ci si impratichisce.
Parliamo di un sistema abbastanza desueto per il genere di riferimento, spesso criticato, ma, come per il precedente titolo, qui funziona bene, spingendo il giocatore ad impegnarsi a fondo anche negli scontri apparentemente più banali, al fine di imparare quante più abilità possibili per i momenti più duri.
Ma le possibilità di personalizzazione non finiscono qui: se il titolo elargisce aumenti apparentemente randomici dei valori di punti vita e punti magici, consente al giocatore di sigillare determinate arti apprese al fine di potenziarne delle altre, così da non disperdere l’esperienza accumulata.
Questa semplice trovata, a ben vedere, spinge a sperimentare il più possibile, mettendo magari in mano al guaritore del gruppo un’ascia bipenne, giusto per vedere se ne vale la pena: in caso contrario, basterà sigillare dal menu l’abilità meno utile per potenziare quelle preferite.
Come anticipato, è la libertà di esplorazione ad essere decisamente maggiore che in passato: l’introduzione del Guild System, che richiama quanto visto nel recente Lost Sphear e consta di un sistema di cinque gilde che possono supportare il party con bonus differenti, incita all’esplorazione e alla costruzione di torri in giro per la mappa di gioco così da beneficiare di effetti come una parziale rigenerazione dei punti vita tra un combattimento e l’altro, migliori prezzi nei negozi o statistiche magiche aumentate, giusto per citarne qualcuno.
Dopo una prima fase molto guidata, in cui la libertà è addirittura inferiore rispetto a quella concessa in The Legend of Legacy, insomma, The Alliance Alive si apre al giocatore e, sebbene il mondo di gioco risulti a tratti un po’ vuoto, il passo avanti rispetto al predecessore è sostanziale, e questo lascia ben sperare in ottica futura.
Un po’ di qua, un po’ di là
C’è poco di veramente originale nella direzione artistica del prodotto, ma, nel contempo, non c’è nemmeno nulla che non funzioni: prendendo spunto da diverse produzioni di mamma Square Enix, dai remake usciti per Nintendo DS di Final Fantasy III e IV ai due Bravely Default, passando, ovviamente, per il prequel spirituale, The Alliance Alive offre scorci assai ispirati, che trasudano classicismo da ogni pixel.
Al timone della produzione, d’altronde, c’è lo stesso duo di artisti che si è occupato del precedente titolo Cattle Call (Ryo Hirao e Masayo Sano) e, sebbene potenziato ed arricchito da un maggior numero di location, di mostri e di animazioni, il motore di gioco appare come un’evoluzione di quello visto sugli schermi di 3DS poco più di due anni or sono.
Coloro i quali sono cresciuti con i primi sei Final Fantasy e, più recentemente, hanno vissuto gli anni migliori dell’epopea delle console della famiglia 3DS si sentiranno immediatamente a casa, insomma, pervasi da una piacevole e rassicurante sensazione di familiarità.
Torna anche Masashi Hamauzu, compositore che si era distinto in occasione del capitolo precedente e nel cui curriculum figurano prodotti del calibro di Final Fantasy X, la trilogia di Final Fantasy XIII e finanche il recente World of Final Fantasy: la qualità del suo lavoro è molto buona, tra brani orchestrali, sintetizzatori, temi di sottofondo molto classici e rapidi motivi di battaglia per le scene più animate.
Il più grande dispiacere, allora, risiede nella mancanza di doppiaggio, con i balloon deputati a veicolare i dialoghi dei personaggi: soprattutto se ben fatto, un doppiaggio aggiunge molto ad un’opera, caratterizzando i personaggi e rendendo meno pesanti le fasi più dense dell’intreccio.
Anche limitandosi alla sola quest principale, infine, con qualche rara sortita nelle missioni opzionali, difficilmente si riesce a portare a termine The Alliance Alive in meno di una quarantina d’ore, un valore di tutto rispetto per il genere di appartenenza.
Sistema di progressione peculiare…
Ottimo lavoro dal punto di vista audiovisivo
Sempre impegnativo…
…ma che non a tutti piacerà
…con qualche picco di difficoltà di troppo qua e là
Al culmine di una lunga riflessione, durata per tutte le quarantacinque ore abbondanti spese insieme a The Alliance Alive, abbiamo deciso di premiare questo secondo sforzo di Cattle Call e Furyu con lo stesso voto assegnato a The Legend of Legacy, che pure, nel complesso, era un titolo meno rifinito ed ambizioso.
Il motivo di questa nostra scelta è da ricercarsi nel fatto che tanto il combat system quanto il sistema di crescita dei personaggi, cuore di ogni esperienza ruolistica, siano rimasti pressoché immutati, e che le novità vere e proprie si contino sulle dita di una mano.
Alla luce di questo, non possiamo non consigliare spassionatamente il titolo a tutti coloro che si fossero divertiti con il prequel, ma anche a chi non conosce il franchise, a patto che di non aspettarsi valori produttivi stellari e una progressione classica da gioco di ruolo giapponese.
In ogni caso, vista la penuria di uscite si rilievo nell’ultimo periodo su 3DS, un prodotto da non sottovalutare.