Retroludica - R.O.B.

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a cura di Doctor.Oz

Videodelegati a statuto speciale e retroarruolati nella videolegione straniera, bentornati con una nuova puntata di Retroludica, la specialissima rubrica curata dal vostro Doctor.Oz che è pronta a maltrattare impunemente i vostri ricordi infantili facendoli tornare a galla con la potenza dell’Ottobre Rosso guidato da Sean Connery in persona. Dopo le ricche, ma che dico ricchissime, puntate scorse (se ve le siete persi non vi meritate neanche il trailer di Fallout 4) in cui parlavamo del Game Boy (QUI) e del Game Gear (QUI), si torna sulle pagine di Spaziogames per puntare i riflettori verso qualcosa che in molti di voi ricorderanno come affascinante oggetto di desiderio in età ottenaria. E no, non è l’Atari Lynx come in molti hanno richiesto. Chiuderemo la sacra trinità delle console portatili che hanno fatto la storia, promesso. 
Oggi, invece, si guarda proprio da un’altra parte, verso quello che per noi ragazzi degli anni Ottanta sarebbe stato il futuro dell’umanità, in cui uomini e macchine avrebbero lavorato all’unisono, ed ogni bambino avrebbe avuto un roboamico androide pronto ad aiutarlo a fare i compiti e a giocare in multiplayer locale a Mario Kart. Sommersi da pseudogingilli tecnologici che facevano il verso alla più seducente fantasia asamoviana, i bambini degli anni Ottanta sguazzavano liberamente in un mondo fatto di Emiglio e Super Vicky, passando per Super 5 e C-3PO, augurandosi un mondo alla Fallout. Prima che esplodessero tutte quelle testate atomiche, sia chiaro. Ma il futuro invece, avrebbe riservato loro un destino amaro, anzi amarissimo. I robot promessi sarebbero entrati sì nelle case, ma sarebbero stati quelli da cucina che fanno i frullati e quelli che girano qui e lì come indemoniati  pronti a risucchiare tutte le molliche. E a spaventare il gatto. 
Sarebbe stato tutto diverso è vero, meno male che nella loro fulgida ed intaccabile fantasia infantile questo futuro fatto di torte in casa e di gatti arrampicati sugli armadi non sarebbe mai esistito: sarebbe esistito solo il futuro fatto di amici androidi con i quali giocare e passare lunghi pomeriggi attaccati ad enormi televisori a tubo catodico.
Sarebbe stato tutto diverso è vero, meno male che nella loro fulgida ed intaccabile fantasia infantile questo futuro fatto di torte in casa e di gatti arrampicati sugli armadi non esisteva: esisteva solo il futuro fatto di amici androidi con i quali giocare e passare lunghi pomeriggi attaccati ad enormi televisori a tubo catodico.
E se pensate che io sia completamente folle, o pazzo, o visionario, o tutte e tre le cose assieme, è perché non avete mai avuto la fortuna di avere tra le mani quel sarcofago di polistirolo e plastica da quale tirar fuori una delle periferiche Nintendo più controverse della storia: R.O.B.  

Attenti lì, parlo all’ultimo banco…
Che cosa è R.O.B? 
R.O.B. è prima di tutto tante, tantissime cose assieme, ma è bene cominciare con un po’ di storia. R.O.B. nasce precisamente nel 1985 dalla mente di quel geniaccio di Gunpei Yokoi, all’alba del giorno che susseguì il grande crash dell’industria videoludica del 1983. Anni tremendamente bui per i videogiocatori di tutto il mondo, che videro la speranza di poter continuare a videogiocare andare in fumo assieme alle azioni di Atari, rischiando di dover dire addio al mercato delle console domestiche, vittime del ristagno delle vendite, spesso snobbate, e sistematicamente criticate. Anche E.T, forte del successo cinematografico di Spielberg, provò a dire la sua cercando di rilanciare il mercato e la l’unica cosa che ottenne fu quello di essere interrato nel deserto di Alamogordo. Bel ringraziamento, insomma, per uno che l’unica cosa che voleva era fare una telefonata a casa.
Neanche a farlo apposta, fu Nintendo che, grazie a scelte ardite anche spesso fallimentari, riuscì a riportare l’attenzione delle masse e gli introiti necessari sui propri progetti, al fine di poter proseguire con lo sviluppo e la ricerca di videogiochi. Senza mezzi termini R.O.B. è un progetto di questi, fallimentare a livello di cifre, ma che seppe lasciare un solco indelebile nell’industria e nella memoria di tutti, anche chi di videogiochi non ne aveva mai sentito parlare. 
R.O.B. venne rilasciato il 26 luglio in Giappone, il 18 ottobre in USA e Canada, e visto che c’erano, degnarono di farlo arrivare anche in Europa l’anno dopo, in data primo settembre. 
Lo scopo di Nintendo era di lanciare R.O.B. come periferica di gioco aggiunta per il Nintendo Entertainment System, al secolo NES, al fine di diversificare l’esperienza ludica dando ai giocatori nuovi stimoli anche in fatto di merchandising spicciolo. Assieme a R.O.B, sul mercato giapponese arrivarono spille, portachiavi e giochi che supportavano la nuova periferica di casa Miyamoto (nello stesso periodo ricordiamolo, in una giornata uggiosa qualunque, un giovane Shigeru aveva appena deciso di cambiare la storia del videogioco dando di lì a breve alla luce Super Mario Bros.).
Lo scopo di Nintendo fu chiaro fin da subito: era di stupire il mercato mondiale dei videogames battendo nuovi sentieri inesplorati. E come detto in apertura, quale era il miglior modo di stupire una platea che negli occhi aveva la prima fantascienza, se non quello di presentare un piccolo robot umanoide in grado di interagire direttamente col il televisore di casa attraverso il pad NES?
R.O.B, o più precisamente Robotic Operating Buddy, era un tipo losco alto 24 cm dalla testa alla base, dotato di alcuni motorini elettrici che gli permettevano di muovere la testa e le braccia, era alimentato a quattro pile stilo alla volta. Nulla a che vedere con quel divoratore di mondi che era il Game Gear sia chiaro, ma anche il buon vecchio R.O.B. le sue pile se le ciucciava, e se le ciucciava eccome. 

Commercializzato in due colorazioni differenti a seconda del paese in cui sarebbe stato venduto (bianco e rosso per il Famicon giapponese, grigio e nero in USA e Europa per il NES), R.O.B. si interfacciava alla televisione attraverso i sensori ottici che aveva al posto degli occhi e che gli permettevano di “leggere” le interazioni con il tubo catodico e il cambiamento di colori. Il funzionamento, ad essere precisi, era identico alla NES Zapper dalla quale prese in prestito la stessa componentistica. Collegato al NES e manovrabile attraverso il pad, ROB era compatibile solamente con i titoli della Serie Robot che negli anni si fregiò, udite udite, di solamente due titoli, Gyromite (che poteva essere anche giocato senza R.O.B.) e Stack-Up. Entrambi giochi a metà tra platform e rompicapo, interagendo attraverso R.O.B. si riusciva ad interagire anche con gli elementi del gioco a video. Infatti, attraverso i due punti di articolazione, testa e braccia, R.O.B. poteva eseguire dei semplici movimenti di rotazione e trasporto di particolari elementi di plastica che venivano venduti separatamente assieme ai giochi dedicati. Ad esempio, nel gioco Stack-Up bisognava spostare dei piccoli blocchi di plastica colorati su dei piedistalli installati all’occorrenza intorno a ROB e che venivano indicati via via dal gioco durante il suo svolgimento. Naturalmente il gioco non poteva sapere se i pezzi richiesti fossero al giusto posto e stava all’onestà del giocatore dichiarare la prova superata o meno seguendo la sacra regola del “R.O.B. non sente, R.O.B. non vede, R.O.B. non parla”.
A causa del prezzo elevatissimo per l’epoca e i soli due titoli compatibili con la nuova periferica, i numeri delle vendite furono talmente al di sotto delle aspettative che R.O.B. fu per molto tempo considerato solo un gingillo inutile.
Quello che fu del tutto inaspettato fu il clamore che questa apparente disastrosa manovra commerciale di Nintendo creò. ROB non ce l’aveva nessuno perché costava un occhio, eppure tutti ne conoscevano l’esistenza. Un investimento talmente folle e ardito che qualche anno dopo valse a R.O.B. diversi titoli. GameSpy lo etichettò come la quinta manovra commerciale più furba nella storia dei videogiochi mentre Yahoo non si fermò lì e lo nominò addirittura “La più folle periferica mai creata per una console”.

Il R.O.B. di Troia
Negli anni, molti giornalisti del settore hanno etichettato più volte R.O.B. come il Cavallo di Troia di Nintendo. Tralasciando similitudini varie che vorrebbero Mario al posto di Menelao, Peach al posto di Elena e Bowser al posto di Paride con relative vicissitudini coniugali annesse, R.O.B. rappresenta più di ogni altra cosa quel desiderio di Nintendo di risollevare l’intera industria partendo dalla base di utenza, e cioè tentando di cambiare la percezione che la gente aveva di essa. Che R.O.B. fosse un mero gingillo costoso ed inutile, fu chiaro fin da subito. Quello che fu meno chiaro è che R.O.B. era quel feticcio tecnologico necessario a tirar giù le porte delle abitazioni, necessario a Nintendo per accedere all’immaginario di ogni famiglia. Più efficace di un Testimone di Geova alle nove di domenica mattina, ROB servì allo scopo di attirare su di sé l’attenzione mediatica, dimostrando al mondo che Nintendo era determinata a far vivere all’universo videoludico l’alba di una nuova era: la grande crisi del 1983 doveva essere esorcizzata e i videogiochi non erano morti come in molti si auguravano. 
Spinto da un marketing asfissiante, soprattutto in Nord America, ROB vendette quel minimo sindacale per  rilanciare ancora una volta le vendite del NES e per costruire quella base d’utenza che ancora oggi, figli alla mano, custodisce gelosamente nel mobile del salone gli eredi spirituali di quella stramba periferica: gli amiibo. Alzi la mano chi non ha avuto un deja vu nel posare quelle minute statuette vicino alla Wii U, magari proprio durante una partita a Super Smash Bros. in cui tra i combattenti spicca proprio quello che passò al secolo come R.O.B.
Raggiunta la celebrità massima negli anni Ottanta, negli anni a seguire si perse un po’ il contatto con questa stramba periferica. Nintendo però non si diede per vinta ed attuò una strategia emotiva che le vampate di nostalgia canaglia che vi procura di volta in volta Retroludica sono niente a confronto. In un vortice di citazionismo ed omaggi vari, ROB fu riproposto alle folle che lo avevano amato attraverso svariati cameo su moltissimi titoli differenti.
Per citarne alcuni tra i più famosi, si può partire da Star Tropics passando a Kirby’s Dream Land 3 e arrivando poi agli episodi delle serie Star Fox, F-Zero e WarioWare. Un androide talmente famoso da rompere addirittura le frontiere dell’esclusività approdando in quella terra di nessuno che fu Viewtiful Joe. Precisamente nell’ultimo stage del titolo, R.O.B faceva una sfuggevole apparizione: perso tra la folla di androidi sullo sfondo appare in piedi con lo sguardo rivolto al videogiocatore. In seguito ad una richiesta espressa di Nintendo però, il buon caro vecchio ROB fu tolto dall’edizione PS2 rimanendo gioia esclusiva di chi possedeva un GameCube (motivo per il quale i collezionisti di retrogaming preferisco l’edizione Nintendo a quella Sony).
Ma il successo di R.O.B. non si fermò a semplici apparizioni qui e lì presso i titoli della grande N, per niente. Soprattutto in Giappone, arrivò ad essere talmente famoso e richiesto dai fan da costringere Nintendo stessa ad inserirlo come personaggio giocabile in alcuni titoli come Mario Kart DS e i vari Super Smash Bros. Brawl per Wii, Wii U e 3DS.

In pratica, un’autocelebrazione ed un autocitazionismo quelli di Nintendo che alla lunga hanno sempre pagato. Chiunque abbia oggi una Wii U o un 3DS ha incontrato almeno una volta nella vita R.O.B, seppur il robottino Nintendo sia uscito sul mercato ben trenta anni fa non si appartenga a quella generazione e non si appartenga a quella generazione.. E si trova qui la strategia vincente della Grande N: attraverso atteggiamenti ironici ed iconici, l’azienda di Iwata ha da sempre cercato di legare a sé il videogiocatore in un percorso emotivo da trasmettersi da generazione in generazione, abbattendo le barriere dell’età e accrescendo l’amore e l’affetto verso la tradizione storica del marchio. In pochi hanno avuto la fortuna di cullare tra le mani un esemplare di R.O.B. eppure oggi ogni videogiocatore ne ha sentito parlare. Chi di voi è stato tra i pochi fortunati a ricordarlo lì immobile vicino a noi, con le sue braccine plasticose e rumorose, la sua testolina semimovente e quell’eterna espressione da “Che dici, la facciamo un’altra partita?“.
Ecco, per questo R.O.B. è la grande sfida di Nintendo, prima persa malamente e poi stravinta.

Se nella storia di Nintendo ogni investimento è stato oculato e calcolato al millimetro, forse non possiamo dire lo stesso di R.O.B: una periferica pressoché inutile, rumorosa, costosissima, che non aggiungeva granché al divertimento dei titoli NES dell’epoca. Eppure, malgrado tutte le aspettative infrante e le vendite che non decollarono mai, R.O.B. riuscì ad entrare nell’immaginario collettivo dei videogiocatori dell’epoca, sedimentandosi nella mente di milioni di persone come una rivoluzione fallita ma pronta per aprire le porte a quello che sarà anni dopo concepito come il gaming moderno. Che le scelte pionieristiche di Nintendo siano state al limite della follia è poco ma sicuro, quello che fu inaspettato fu invece il nuovo modo di intendere i videogiochi e di come R.O.B. Riuscì lo stesso a far sognare milioni di bambini.

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