Nel mondo videoludico ci sono stati ed esistono tuttora tanti game designer di successo i quali hanno apportato un contributo unico e importante all’industria. All’interno di questo gruppo ce ne sono pochissimi, si possono contare sulle dita di una mano, fedeli ad un’unica bandiera. Bandiera intesa come software house ed il primo esempio che ci viene in mente è Shigeru Miyamoto di Nintendo, il secondo, invece, è il personaggio oggetto dello speciale odierno. Yu Suzuki ha servito per tanti anni la concorrente SEGA con titoli rimasti nella storia e che hanno reso migliore, in tutti i sensi, il mondo videoludico. Scoprite con noi la vita e le creazioni di questo eccezionale artista giapponese.
La vitaYu Suzuki nasce nella prefettura di Iwate il 10 Giugno del 1958. Sin da piccolo fu spinto dai propri genitori ad interessarsi all’arte, alla musica, al modellismo e al disegno. Una volta pronto per entrare al college, Suzuki pensò di diventare dapprima un illustratore, in seguito un dentista, ma per nostra fortuna non superò l’esame d’ammissione al corso. Senza scoraggiarsi iniziò a suonare la chitarra ma, come poi ha dichiarato in un’intervista di qualche anno fa: non importava quanto mi esercitassi, non riuscivo mai a migliorare. La sua scelta universitaria fu la Okayama University of Science dove studiò come programmatore. Gli studi terminarono felicemente agli inizi degli anni ’80. Il giovane Suzuki fu assunto dalla Sega Enterprises nel 1983 come programmatore e da li iniziò una lunga e travagliata storia di successi e cocenti sconfitte.
Il lavoro con SEGANel suo primo anno all’interno dell’azienda giapponese creò un titolo arcade in 2D ispirato al mondo della boxe chiamato Champion Boxing, questo divenne a tutti gli effetti il suo progetto di debutto nel panorama videoludico. In seguito passò allo studio di sviluppo AM2, un nome sconosciuto ai tempi, nessuno poteva sapere cosa avrebbe creato quel magico team negli anni a venire. Il passo successivo di Suzuki fu lo sviluppo di un racing game su moto diverso dal solito. Per la prima volta il giocatore non controllava il proprio bolide tramite uno stick e un paio di pulsanti, bensì aveva la possibilità di cavalcare una riproduzione reale della moto stessa. Hang-On fu commercializzato nel 1985, il titolo ebbe un grandissimo successo grazie all’utilizzo di nuove tecnologie nel mercato arcade. Sempre nello stesso anno, vide la luce un altro gioco che i nostalgici ricordano ancor oggi, parliamo ovviamente di Space Harrier. Correva l’anno 1986 e da grande appassionato di motori e macchine di lusso (in particolare Ferrari), il game designer nipponico sviluppò un simulatore di corse chiamato Out Run. La macchina principale non era una vera Ferrari (pagare la licenza ai tempi sarebbe stata una spesa enorme oltre che inutile), ma la forma e i colori scelti non lasciavano alcun dubbio sulla somiglianza con il prodotto del cavallino rampante. Out Run fu un grande successo commerciale e anche qualitativo. Andando oltre le apparenze, è facile notare come il gioco proponesse diversi bivi per completare la corsa incrementando così il fattore rigiocabilità, senza contare l’utilizzo della radio grazie alla quale si potevano selezionare tre tracce musicali differenti, in più il paesaggio offriva visuali sempre diverse. Il talento di Suzuki sembrava non conoscere limiti, un successo dopo l’altro, anche verso la fine degli anni ’80 con l’uscita del famoso After Burner. Un titolo arcade nel quale il giocatore volava a bordo di un F-14 il cui scopo era distruggere vari nemici attraverso diciotto livelli. All’alba degli anni ’90 fecero capolino le prime tecnologie in grado di sfruttare e utilizzare ampiamente motori grafici tridimensionali. Suzuki voleva approfondire le sue conoscenze in questo campo sin dai tempi in cui frequentava l’università. Quando Sega produsse il Model 1, un componente hardware capace di generare poligoni grafici, Suzuki e lo studio AM2 si buttarono a capofitto su un nuovo progetto. Era il 1992 e dalla loro prima esperienza nacque Virtua Racing, definito ai tempi come uno dei giochi di guida più realistici mai realizzati. L’anno successivo fu la volta del primo picchiaduro in 3D, Virtua Fighter. Probabilmente fu il più grande successo commerciale raggiunto da Suzuki in qunato il brand è tutt’ora in vita con milioni di appassionati in tutto il mondo. Uno dei riconoscimenti più importanti fu conferito dallo Smithsonian Institution che ha riconosciuto il gioco come un grande contributo alla società nel campo dell’arte e dell’intrattenimento. Per la prima volta in assoluto un videogame giapponese divenne parte della Smithsonian Institution’s Permanent Research Collection on Information Technology Innovation. Dovettero passare diversi anni prima di rivedere Suzuki all’opera. Nel 2000 fu rilasciato F355 Challenge, un simulatore di corse creato grazie anche ad una forte collaborazione con la Ferrari stessa. Il gioco attirò l’attenzione del mondo videoludico e non solo visto che anche quello automobilistico rimase colpito da tale progetto. L’allora pilota della scuderia di Maranello, Rubens Barrichello, dichiarò: ho preso in considerazione l’idea di comprarlo per far pratica a casa mia.
L’Opera MagnaNel paragrafo precedente abbiamo volutamente saltato il lavoro più importante della carriera di Yu Suzuki perche merita indubbiamente un discorso a parte. Shenmue è considerato uno dei più grandi videogiochi mai realizzati, l’impatto che ebbe sull’industria videoludica da lì in avanti fu enorme, enorme come i costi di produzione che mandarono quasi sul lastrico i conti di Sega. Ben 70 milioni di dollari furono investiti nel progetto del maestro Suzuki, una cifra spropositata ancor oggi, figurarsi oltre dieci anni fa. Come dicevamo in precedenza, Shenmue è stata l’opera magna di Suzuki, ogni aspetto fu curato e seguito nel minimo particolare, per la prima volta si poteva “vivere” realmente nei panni del protagonista la sua vita virtuale, non solo per conoscerne la storia, ma anche per quelle piccole cose di tutti i giorni come andare in sala giochi, allenarsi, passeggiare e così via. A causa della morte prematura del Dreamcast e la disastrosa situazione economica di Sega, il brand s’interruppe al secondo capitolo lasciando milioni di giocatori col fiato sospeso ben consci di non poterne mai vedere il finale.
Yu Suzuki ha dato tanto al mondo videoludico. In quasi trent’anni ha sfornato giochi indimenticabili, anche diversi tra loro come genere d’appartenenza, riuscendo sempre a offrire un prodotto originale e con idee di gameplay geniali e divertenti. Purtroppo, dopo il fallimento di Sega come hardware house, il maestro giapponese ha avuto sempre meno spazio per lavorare e dare il suo enorme apporto al mondo videoludico. Nel 2003 Yu Suzuki è stata la sesta persona a essere inclusa nel Academy of Interactive Arts and Sciences’ Hall of Fame. Recuperare le perle videoludiche di Suzuki è un consiglio rivolto non solo ai più giovani, ma anche a tutti quelli che per un motivo o l’altro non hanno avuto modo di provare i titoli del leggendario game designer giapponese.