Oculus Rift

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a cura di Mugo

San Francisco – La Game Developers Conference, come dice il nome, è fatta più che altro dagli sviluppatori, per gli sviluppatori. Non che non ci sia attenzione al lato mediatico della faccenda, non manca mai qualche annuncio (e quest’anno si è trattato di Battlefield 4 e di un giovane nipponico molto promettente, tale Kojima), ma in ogni caso la stragrande maggioranza delle conferenze è pensata per gli addetti ai lavori. Anche per l’edizione duemilatredici, dunque, le cose hanno tenuto la piega cui siamo stati abituati negli anni passati, ma una di quelle conferenze “dagli sviluppatori, per gli sviluppatori”, ci ha visti particolarmente interessati per le conseguenze che potrebbe avere per gli appassionati di videogiochi in generale. Stiamo parlando dell’oretta che Valve ha dedicato alla realtà virtuale e, soprattutto, all’Oculus Rift, visore per PC dalle promettenti possibilità e da poco supportato anche da Team Fortress 2. 

Un big alle prime armi 
Si potrebbe pensare che l’arrivo di un nuovo modo di fruire i videogiochi possa portare tutte le aziende sullo stesso livello, del resto tutte sono al loro primo contatto con la nuova tecnologia e, teoricamente, tutte partono dallo stesso punto zero. Come era facile aspettarsi, però, non è esattamente così, e Valve arriva alla GDC 2013 già carica di informazioni ed esperienze maturate con la riprogrammazione di Team Fortress 2 in ottica Oculus Rift (informazioni che mette a disposizione di tutti, chapeau). Ma perché proprio l’Oculus Rift? Perché non un altro strumento per la realtà virtuale? La scelta è caduta sul visore Oculus VR per il suo soddisfare determinate condizioni: prima di tutto non costa troppo, il devkit viene spedito per la modica cifra di 300 Dollari, una spesa che praticamente ogni studio di sviluppo (o sviluppatore in erba) ha nelle sue disponibilità. In secondo luogo si tratta di un apparecchio ergonomico, l’abbiamo provato e possiamo garantire che l’ingombro è decisamente minore di quanto possa sembrare. Da ultimo, ma non per importanza, il visore in questione è dotato di un campo di visuale largo capace di immergere l’utilizzatore.Insomma, Valve crede molto nel progetto, tanto che spende tempo e denaro sulla compatibilità di Team Fortress 2 facendone uno dei due primissimi titoli (insieme ad Hawken) pienamente supportanti l’Oculus Rift
Tra il dire e il fare… 
Tempo e denaro, dicevamo, anche se non sappiamo esattamente quantificare né l’uno né l’altro. Quello che è certo è che il lavoro di ottimizzazione non è stato una passeggiata, ed ha presentato agli sviluppatori delle sfide inedite. Qualche esempio: per permettere all’occhio umano di mettere a fuoco qualcosa di molto vicino (come gli schermi dell’Oculus Rift), è necessario un complesso lavoro di lenti, molte lenti, tante lenti che a metterle tutte il visore sarebbe risultato scomodissimo da indossare. Per evitare l’ingombro, dunque, il numero delle lenti è stato tenuto basso, con il contraltare di un’immagine distorta e sfocata, da correggere in fase di programmazione del software con filtri appositi.Altri problemi sono anche difficili da immaginare come tali prima di essere incontrati, pensiamo solo alla necessita di avere un HUD fisso a schermo che rimanga sempre nella stessa posizione (e a fuoco) indipendentemente dai movimenti della testa del giocatore, oppure ancora alla difficoltà di gestire la messa a fuoco dei vari oggetti a schermo tenendo presente il movimento della testa (movimento che può essere molto veloce) e, soprattutto, il movimento degli occhi (che, oltre ad essere fulmineo, può anche essere discordante rispetto a quello della testa)! 
Non tutte le sfide capitano inaspettate però: per esempio lo Scout, in Team Fortress 2, è un personaggio che corre alla ragguardevole velocità di trentacinque chilometri all’ora (Usain Bolt, nei 100 metri piani, tiene la media dei trentasette), causando prevedibilmente in qualche giocatore la famigerata motion sickness. 
Dentro il gioco, ma davvero. 
E arriviamo finalmente alla nostra prova: due ore di fila sono valse quei due, tre minuti di demo? 
Ci sediamo alla postazione pieni di speranze, dopo avere visto prima di noi tanti altri spalancare la bocca con gli occhi coperti dall’Oculus Rift, e indossiamo la periferica. Il primo contatto ci stupisce per comodità e leggerezza, nonostante le dimensioni, infatti, indossare il visore non crea nessun fastidio e, come giriamo lo sguardo, la sensazione è simile a quella di chi per la prima volta ha mosso dei poligoni con uno stick analogico. Forse più intensa. Forse più vera. 
Stiamo provando Hawken, siamo seduti dentro ad un mech e ci guardiamo attorno increduli, esaminandone la cabina, sbirciando dal cruscotto. I primi movimenti (per i quali utilizziamo un pad) ci colgono quasi di sorpresa: non gira la testa, non va insieme la vista, tutto è molto naturale e ci dimentichiamo rapidamente di essere seduti nello showfloor della GDC 2013
Con un tasto si vola, ci solleviamo dal suolo come mai prima d’ora in un videogioco e raggiungiamo la cima di un grattacielo. Un solo pensiero: buttarsi. E qui c’è il vero salto nel futuro, il vero punto di non ritorno, perché dopo il nostro passo nel vuoto, guardando verso il basso, niente è più come prima. Durante la caduta la sensazione è quasi di vertigini, difficile trattenere le risa mentre i metri scorrono veloci e quasi ci dimentichiamo che non possiamo farci male all’impatto col terreno. 
Il mech atterra, rialziamo lo sguardo e vomitiamo proiettili sul malcapitato bot che ci si para davanti. Mai visto un nemico così vicino, così grosso, così vero. 
Ci ricomponiamo e cerchiamo di analizzare quello che vediamo, scopriamo così che la risoluzione non è altissima, che la scelta di Hawken è una scelta furba (visto che i movimenti della nostra testa sono limitati dentro al cockpit del mech, non è proprio una prima persona al cento percento), e che la durata della demo ci impedisce di valutare l’eventuale insorgere di mal di testa o nausea.

Dopo averlo provato possiamo dire che la scelta di Valve di supportare l’Oculus Rift non ci stupisce affatto. Certo siamo agli inizi, certo si tratta di una tecnologia con ancora tanta strada da fare, e certo le aree di miglioramento sono tante e sono evidenti, ma è difficile avere dubbi sul fatto che sì, finalmente, siamo al vero punto di partenza per la realtà virtuale. Il 3D diventa subito uno scialbo palliativo, un vezzo estetico, perché dopo avere provato Oculus Rift è difficile non pensare che il futuro della realtà virtuale possa partire dai visori da indossare. Un futuro che, in fondo, non pare più così lontano, e che è possibile sfiorare con soli trecento Dollari.

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