La realtà virtuale è transgenerazionale. Ha la straordinaria capacità di attirare un pubblico enormemente eterogeneo, oltrepassando le barriere dell’età, del sesso, dell’estrazione sociale e, in molti casi, persino degli interessi comuni. Non dobbiamo dimenticare che il connubio realtà virtuale e videogiochi è solo uno dei tanti possibili, e questo mondo ha saputo sollevare l’attenzione di medici, storici, artisti, cineasti, scienziati. Insomma, sembra chiaro che la realtà virtuale non è un semplice ammennicolo per il vostro PC o la vostra console: è uno strumento con diverse applicazioni che variano in maniera considerevole a seconda del contenuto. La realtà virtuale, come sostiene Shuhei Yoshida, è un nuovo medium.
Il punto è che, allo stato attuale la realtà virtuale non è una realtà. Tutti i progetti finora avviati si trovano in una fase embrionale o prototipale, e nessuno è ancora riuscito a commercializzare con successo questa tecnologia. Perché, dunque, quando si parla di realtà virtuale si parla di Oculus VR? Perché questa azienda ha saputo per la prima volta trasformare la realtà virtuale in qualcosa di concreto, presentando (e vendendo) al pubblico due diversi prototipi che hanno lasciato intendere quanto questa tecnologia non fosse appannaggio dei film di fantascienza degli anni Ottanta, ma stesse realmente per arrivare nei negozi. Il punto è che, dopo due anni di prototipi piuttosto chiacchierati, Oculus non ci ha ancora fatto sapere quando (e a quale prezzo) la realtà virtuale diventerà un prodotto vendibile e venduto nei negozi.
Oculus sa bene che il suo dispositivo, al momento, non è commercializzabile. Chi ha provato Oculus SDK1 e SDK2 ha certamente avuto a che fare con i problemi spesso descritti dagli utilizzatori della realtà virtuale: effetto di vertigine, perdita dell’equilibrio, nausea. Inoltre, chiunque può descrivervi quanto il più recente dev kit di Oculus sia ancora grezzo, con una risoluzione troppo bassa che mette in mostra ogni singolo pixel, e con gravi problemi di messa a fuoco dell’immagine che comportano una resa visiva a livelli semplicemente inaccettabili per la complessità dei prodotti di oggi realizzati in grafica 3D. Oculus, nonostante i prezzi relativamente contenuti in questa fase di test, non potrebbe mai e poi mai vendere al grande pubblico un dispositivo con le stesse caratteristiche del SDK2: i problemi emergerebbero con forza, condannando probabilmente il progetto a un rapido declino.
La conferma del fatto che Oculus sia determinata ad aspettare che i tempi siano maturi ci è arrivata nel corso della Game Connection Europe, tenutasi la scorsa settimana a Parigi, dove abbiamo avuto l’opportunità di provare Oculus Crescent Bay, il più recente prototipo di questa tecnologia e, con assoluta certezza, il miglior dispositivo della realtà virtuale che abbiamo mai avuto il piacere di testare.
C’è vita (e speranza) nella realtà virtuale
Partiamo dal presupposto che Oculus Crescent Bay non è un prodotto perfetto. Non è lo strumento definitivo e non risolve completamente tutti i problemi spesso descritti quando si parla di realtà virtuale. Ma, diamine, è un anno luce avanti a qualunque altra iterazione dello stesso prodotto. Non si tratta di un nuovo kit di sviluppo, né di una release candidate del dispositivo finale: quello che è stato dolcemente accomodato sulla nostra testa è un prototipo, pensato per mostrare le potenzialità di uno strumento di questo tipo con una tecnologia avanzata e, probabilmente, ben oltre le nostre tasche (e la potenza della maggior parte dei nostri PC) allo stato attuale delle cose. In breve, rappresenta una proiezione di quello che la realtà virtuale potrebbe riuscire a ottenere su scala commerciale nel giro di un anno o due, mostrandoci in anteprima uno scorcio di futuro.
Non ci vengono rivelati dati tecnici sul prodotto, sui quali vige il segreto industriale. I produttori si limitano a parlare di una risoluzione “superiore” a quella del SDK2, alla capacità di riconoscere in maniera istantanea la rotazione della testa di 360 gradi, a un tempo di risposta dell’ordine di una manciata di millisecondi e con una velocità di aggiornamento dell’immagine di 90 Hz, pari a una frequenza di 45 fotogrammi al secondo. L’audio, infine, per una volta viene affidato a un paio di cuffie montate sul casco, e dunque incluse nel dispositivo. Tutti questi (scarsi) elementi sui dati tecnici, però, non bastano per descrivere quanto avviene quando ci si infila sulla testa il Crescent Bay per la prima volta. In passato abbiamo avuto modo di provare lo stesso dispositivo – in particolare alla Nvidia GAME 24 dello scorso settembre – ma per la prima volta alla Game Connection Europe abbiamo potuto testarlo in piedi in una stanza vuota, che ci dava la possibilità di spostarci camminando. Nonostante vi fossero dei limiti ai movimenti effettuabili, la prima sensazione è che questa sia la cosa più vicina al sogno erotico di ogni nerd: il ponte ologrammi di Star Trek.
La tech demo
Abbiamo già visto il Crescent Bay in azione con la demo di EVE: Valkyrie, in una build risalente ai tempi della GDC 2014. Poiché la Game Connection Europe è rivolta principalmente a un pubblico di professionisti e addetti al settore, i produttori di Oculus hanno preferito preparare per l’occasione qualcosa di molto diverso. Così, al posto della consueta demo di un videogioco, abbiamo assistito a una dimostrazione che metteva in risalto le qualità di questo nuovo prodotto.
Nel giro di pochi minuti abbiamo avuto modo di viaggiare nei corridoi di un sottomarino, in un mondo alieno, in un museo in compagnia di un T-Rex, in un plastico, in una fotografia di un microscopio elettronico e in un mondo alpino realizzato in cel shading. A prescindere dalla scelta artistica, dal fotorealismo e dalla tecnica di realizzazione, Oculus Crescent Bay riusciva a offrire un’immersività quasi totale. In una scena, in particolare, ci siamo trovati sul tetto di un grattacielo: abbiamo camminato arrivando fino ad appollaiarci su di un gargoyle, in stile Arkham City, e ci siamo fermati istintivamente per una irrazionale (ma sentita) paura di cadere. La ciliegina sulla torta, però, è arrivata nel momento in cui i produttori hanno attivato una demo realizzata con Unreal Engine 4: ambientata in uno scenario di guerra, questa lunga sequenza in slow motion ci ha permesso di apprezzare una grafica straordinaria, e di notare ogni particolare semplicemente avvicinandosi o ruotando la testa. Un’enorme esplosione ha fatto volare un’automobile sopra di noi: sollevando lo sguardo abbiamo notato il povero guidatore intrappolato nell’abitacolo che ci passava a pochi centimetri dagli occhi, con la sua espressione congelata nel terrore mentre la macchina piroettava in un rogo, pronta a schiantarsi poco dopo alle nostre spalle. Un enorme mech sputava proiettili come un irrigatore a pioggia, e nel culmine della scena la bestia meccanica ci caricava, facendoci sobbalzare sul posto e suscitando l’ilarità di chi, nella stanza, ci osservava e ascoltava mugugnare i nostri “wow” tra una sequenza e l’altra.
Tutto più bello
Passata l’emozione e riacquistata un po’ di razionalità, abbiamo potuto tirare le somme di questo Oculus Crescent Bay. In primo luogo, come detto, il prodotto è infinitamente superiore al SDK2 in quanto a qualità visiva. Il reticolo dei pixel non è sparito del tutto, ma è indubbiamente molto meno visibile rispetto alla versione attualmente venduta sul sito dei produttori. La responsività dei movimenti è istantanea, e il riconoscimento della posizione nelle tre direzioni spaziali è molto precisa. L’ambiente era angusto e controllato dai produttori, ma non vi è dubbio che Crescent Bay si presenti già come un dispositivo capace di avvicinarsi in maniera evidente al concetto di realtà virtuale che noi tutti immaginiamo. Risoluzione e responsività sono cruciali per l’abbattimento del motion sickness, la cosiddetta “nausea da realtà virtuale” che un buon 30% dei giocatori sperimenta dopo pochi minuti. Nel nostro caso, l’esperienza non ci ha minimamente infastiditi, sebbene vi sia ancora da migliorare la messa a fuoco dello schermo che, in alcuni casi, ci ha obbligati ad aggiustare manualmente il visore. Infine, troviamo davvero fastidioso il fatto di essere costantemente collegati al PC da un voluminoso intreccio di cavi. Gli sviluppatori ci hanno confermato che l’idea è quella di trasformare Oculus in un dispositivo wireless, ma allo stato attuale delle cose la tecnologia disponibile non permette di trasmettere un segnale audiovisivo in ultra alta risoluzione senza avere problemi di compressione del segnale, di latenza e di banda. In altre parole: c’è l’intenzione, ma mancano i mezzi.
La prova con Oculus Crscent Bay è un’esperienza che ci ha profondamente segnati. Se Oculus SDK1 e SDK2 ci ha divertito e ci ha lasciato intuire il potenziale di questa innovazione, questo prototipo ci ha lasciato capire come il progetto potrebbe diventare fra uno o due anni. Forse i tempi per un’affermazione commerciale della realtà virtuale non sono ancora maturi, e forse dovremo attendere il 2016 prima di vedere una versione simile al Crescent Bay nei negozi (e ad un prezzo accettabile). Ma, per il momento, possiamo confermare che quelli di Oculus sanno esattamente dove dirigersi, e che il loro cammino è ormai a buon punto. Ci vorrà un po’ di pazienza, ma il presente della realtà virtuale è più vicino di quanto possiate aspettarvi.