Tentare di stabilire qual è stato il primo prodotto di intrattenimento elettronico ad inserire gli acquisti in-app è un’impresa notevole. Di fatto non è possibile dirlo con certezza, anche se possiamo essere relativamente sicuro che, almeno nel mercato console, il fenomeno è apparso nell’era Xbox 360/PlayStation 3. Il motivo è presto detto: era possibile, per la prima volta, usare una carta di credito con estrema facilità su console. Questo ha portato ai primi contenuti a pagamento, tra gli abiti per gli avatar di Xbox Live ed i singoli contenuti per ogni gioco, ma elementi che, confrontati ad oggi, sono più che microscopici. Non è facile capire quando e come siano iniziate ufficialmente le microtransazioni nel mondo dei videogiochi, perché la storia è inquinata dall’esistenza di una marea di MMO/diablolike di matrice Coreana e Cinese, i quali hanno fondato da sempre la loro ragion d’essere sullo spillare soldi all’utente anche dopo l’acquisto iniziale, ma anche sugli utenti che si spillano soldi tra di loro, come successo nei titoli Blizzard di riferimento con gli ormai famigerati mercati interni di Diablo e World of Warcraft. Le prime microtransazioni in un titolo tripla A, invece, risalgono al 2013 con Dead Space 3. Nel titolo di Electronic Arts (sempre loro, eh?) del defunto studio Visceral Games, era possibile craftare delle armi con risorse acquistabili anche con moneta sonante, reale. Da lì in poi è stato un po’ come la classica situazione in cui, ad un buffet, c’è qualcuno che incomincia a mangiare per primo e gli altri seguono a ruota. Da Dead Space 3, le produzioni tripla A che hanno inserito microtransazioni al suo interno si sono moltiplicati, fino a diventare la normalità al giorno d’oggi. Una normalità scossa da una miriade di polemiche.
Parliamo di alcuni tra i tripla A più vituperati degli ultimi tempi. La Terra di Mezzo: L’Ombra della Guerra, accusato di essere stato manipolato in termini di game design per favorire l’acquisto delle risorse necessarie per completare l’opera a favore del grinding gratuito. Quello del titolo Warner Bros è stato un caso frutto di un parziale fraintendimento della questione, ed alla fine tutta la polemica si è sgonfiata relativamente in fretta. Ci sono microtransazioni anche in Assassin’s Creed Origins, potenzialmente più “pericolose” perché rischiano di sbilanciare fortemente il bilanciamento della progressione della campagna, visto che il giocatore può avere accesso, pagando, ad oggetti molto più potenti di quelli che normalmente avrebbe. In pratica dei “cheat code” dell’era moderna con carta di credito. C’è da dire che, se non altro, essendo il gioco fortemente single-player, in questo caso non si rischia di creare disparità tra giocatori, ma al massimo ci si rovina l’avventura con le proprie mani.Ben diversa è la situazione di Star Wars Battlefront 2, curiosamente sempre di Electronic Arts, la cui vicenda ha creato un case history non indifferente, uno di quelli da annotare per gli anni a venire. Il primo problema è che Electronic Arts non viene da un grande periodo in termini di presa verso il pubblico. Tanti studi acquistati e poi acquisiti, tanti progetti abbandonati, politiche comunicative e commerciali, e quella ferita di Titanfall 2 mai chiusa. La gente odia Electronic Arts, e di certo Electronic Arts non ha fatto molto per farsi volere bene dalla gente. In questo caso c’è stata poca trasparenza durante la comunicazione dei dettagli relativi alle microtransazioni, sin dalla prima beta, e le cose non hanno fatto altro che peggiorare con l’uscita della build finale. Ci sono tanti, troppi ammicchi agli acquisti aggiuntivi nel gioco, e se anche non sembrano essere relativi a meccanismi tipicamente “pay to win”, il pubblico si è giustamente alterato. Dico “giustamente” perché, in termini pratici, richiedere ulteriori soldi dopo l’esborso iniziale di settanta euro (nel caso di acquisti al day one) è difficile da accettare. Se ciò che si ottiene sono strumenti meramente estetici, come skin per armi e vestiti, la cosa è accettabile perché si tratta di un surplus che non incide sulle dinamiche di gioco. Quando si ottiene qualcosa di “reale”, invece, che sia ottenibile anche gratuitamente con ore di gioco, la cosa comincia ad essere pericolosa. È vero che le famigerate Star Card di Battlefront 2 si ottengono anche giocando, ma si possono ottenere anche spendendo soldi reali, e questo crea di fatto due categorie di giocatori: chi può spendere ed ottiene accesso ad elementi di gioco prima rispetto a chi invece vuole solo giocare, o semplicemente non può buttare ulteriori soldi per un titolo che ha già pagato.Dopo tutte le polemiche, sicuramente esagerate ma almeno comprensibili, EA e Dice hanno deciso di rimuovere le microtransazioni e rivedere i costi per lo sblocco degli eroi verso il basso. Un precedente notevole, come dicevo, molto pericoloso per il futuro di questo settore. Infatti, credo che queste polemiche siano ormai letteralmente aria fritta. Sviluppatori e publisher non inseriscono le microtransazioni nei giochi perché sono malvagi adoratori del Demonio, ma lo fanno perché semplicemente rendono.
Stando ad un sondaggio condotto da LendEDU, il 32.68% dei giocatori è disponibile a spendere tra i 50 e 100 dollari l’anno in microtransazioni e DLC. Nello specifico, il 31.46% del campione si è detto disposto a spendere 1-50 dollari, e il 21.46% ad investire addirittura 100-200 dollari su acquisti in-game. Il 56.6% ritiene che questo tipo di prodotto introduca valore aggiuntivo e benefici rispetto al gioco regolare. Quasi tre volte il 21.2% che pensa invece rovini l’esperienza videoludica. Questa è la percezione rispetto alle microtransazioni, il che ci porta inevitabilmente a chiederci se e come valga la pena che queste esistano all’interno di una produzione videoludica.La microtransazione in sé, come concetto, non è un problema, ed è folle che lo sia diventato ora. Farmville (ed i mille giochini su Facebook dell’epoca che fu) e League of Legends non sono altro che due facce della stessa medaglia, eppure nessuno è mai insorto come per le produzioni citate. In questi due titoli gli acquisti in-app non creano dei palesi squilibri, anche se chi spende soldi in Farmville ha comunque possibilità di concludere per prima alcune attività, ma sono comunque fortemente propensi al suggerire ai giocatori di mettere mano al portafogli ulteriormente. Però in passato ci sono stati anche casi come quello di Metal Gear Solid V: The Phantom Pain, dove le Mother Base Coins venivano vendute ad un occhio della testa per quanto riguarda le funzionalità multigiocatore; Destiny ha avuto gli argenti, con i quali era possibile comprare dei contenuti, e venivano anche regalati inizialmente al giocatore, un po’ come la prima dose di droga.
Il trend è palese e, come avete potuto constatare, per niente nuovo. Per questo trovo insensata l’insurrezione popolare, la quale può generare delle mostruosità come dei cambi di rotta da parte dei publisher. È un bene ascoltare la propria clientela, ma non è un dovere. Il fatto è questo: le microtransazioni servono all’industria del videogioco, al giorno d’oggi, che ci piaccia o no. Sono necessarie dal punto di vista degli sviluppatori perché servono a far sopravvivere il videogioco, il quale viene valutato sempre più come il primo fine settimana del botteghino al cinema. Certo, bisogna inserirle all’interno dei prodotti con eleganza ed intelligenza, senza che vadano ad intaccare il game design, o peggio ancora se il game design sia strutturato per inserirle o addirittura agevolarle. Il caso Battlefront 2 in questo senso è indicativo, perché l’omertà da parte di Electronic Arts non ha aiutato, ma credo che ci sia ancora margine per fare di peggio: quel giorno, la situazione cambierà. Fino ad ora non serve a niente insorgere, ma l’opzione più sana è quella di esercitare il vostro diritto di consumatori, ovvero scegliere se premiare o meno un’azienda con i vostri soldi. Questo è l’unico linguaggio che il mercato del videogioco (come qualsiasi altro mercato) conosce.
Le microtransazioni esistono, esisteranno per un po’ ma, soprattutto, al giorno d’oggi sono uno strumento economico fondamentale per il mercato. Come si affrontano? Dal lato del consumatore non se ne fa ricorso, o meglio ancora non si acquista direttamente il videogioco che ne contiene. Per quanto riguarda il nostro lato, analisti e critici, bisogna fare chiarezza, spiegare come stanno le cose, parlare e condividere articoli come questo. Analizzare lucidamente la situazione e capire gli argomenti nella loro interezza. Così si manda un messaggio chiaro a sviluppatori e publisher, non vomitando insulti.