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Contraddicendo il suo nome, la Terra è un pianeta governato dall’acqua. Immense distese oceaniche ricoprono quasi la totalità di questo corpo celeste. Al di sopra dei mari, però, la vita prosegue, noncurante dell’oscuro mondo che si apre nell’immenso oceano. Perché sotto la stupenda superficie, fatta di seducenti onde e riflessi dai colori tanto belli quanto illusori, si nasconde un mondo ancora sconosciuto, inesplorato e agghiacciante. Nessuno può dire con certezza cosa si celi nelle più recondite profondità di questo sinistro ambiente, straniante, in cui il tempo e lo spazio sembrano perdere ogni significato. L’ipotesi più accreditata è senza dubbio quella che lo vede popolato da creature ignote, siano esse pacifiche, come nel caso del capolavoro di James Cameron, The Abyss, o più propriamente spaventose e ostili. Forse, però, l’orrore più grande è proprio quello generato da un essere ben più noto e conosciuto: l’essere umano. Guidato da utopistici ideali, è quindi un folle personaggio dell’universo videoludico a incarnare questa essenza, così determinato nella sua impresa da riuscire a compiere l’impossibile: realizzare una gigantesca città negli abissi dell’oceano, destinata a dar vita a una nuova società, libera dai finti moralisti e dalle leggi terrestri. L’uomo? Andrew Ryan. L’opera? BioShock. La città? Rapture.
La metropoli sottomarinaUn incidente aereo, apparentemente fortuito, catapulta Jack nelle gelide acque dell’Atlantico. Nel nulla, una luce si pone come l’unica salvezza: un faro, sospeso nel bel mezzo dell’oscurità marina. Ed è proprio da lì che il viaggio verso le profondità dell’oceano ha inizio. La batisfera procede lentamente verso il basso e all’improvviso, in prossimità del fondale, Rapture si spalanca davanti agli occhi con tutta la sua magnificenza, mentre con estrema efficacia la voce del suo creatore si unisce a un accompagnamento sonoro penetrante. Nella torbida acqua lei si mostra: imponente, luminescente, bellissima. Ma dietro questo incantevole aspetto, Rapture rivela presto un’aria sinistra, impura come l’acqua che la circonda e che ne tratteggia in maniera indefinita e inquietante i lineamenti e le forme. Perché le fondamenta sono lì da molto più tempo di quanto si possa immaginare, osservatori impassibili degli orrori consumati nella metropoli sottomarina, testimoni di una storia che affonda le sue radici nel lontano 1946, quando Andrew Ryan concretizzò il suo sogno. Un’utopia che, appunto, non durò a lungo, a prova di quanto l’umanità sia incapace di vivere in pace, di come le gerarchie e le classi sociali non possano essere eliminate, di come i potenti finiscano sempre e comunque per ergersi sui poveri e i deboli. Svincolata dagli ideali religiosi, politici e morali, la natura fece quindi il suo corso e, in seguito alla scoperta di batteri in grado di modificare la genetica di ogni individuo (l’Adam), nessuno si pose alcun freno nel ridurre innocenti bambine a cavie da laboratorio, trasformandole nelle cosiddette sorelline, cercatrici di Adam. Il caos scoppiò in fretta: la popolazione mutò in ricombinanti, divenendo dipendente dai plasmidi contenenti l’Adam, e fu necessario proteggere le sorelline. Vennero perciò creati i Big Daddy, non più persone, ma esseri bruti, contraddistinti da una forza innaturale e nati con l’unico scopo di badare alle indifese bambine, nascondendo il loro vero aspetto sotto un minaccioso e pesante scafandro, incutendo timore con la sola “voce” e il paralizzante rumore generato dalla massiccia armatura in metallo. Jack si ritrova così in una città culturalmente ancorata agli anni ’50, dove la guerra civile non si è mai conclusa. La follia dell’Adam, la pazzia, ha preso il sopravvento sui suoi abitanti, che da comuni cittadini sono dapprima divenuti drogati bisognosi della loro dose, poi assassini e, infine, mostri.
Sopravvivere in fondo al mareIl giocatore, insieme a Jack, viene quindi gettato in un ambiente estremamente ostile e dal fascino surreale, accompagnato da una colonna sonora che, pur facendo affidamento spesso e volentieri sulle stridenti note del violino, si dimostra versatile, spaziando da toni disturbanti e dai connotati horror, a momenti più delicati e commoventi. Il senso di spaesamento e la solitudine prendono da subito il sopravvento, ma vengono spezzati dai continui scontri con i ricombinanti che si aggirano per le strade della decaduta metropoli. Fortunatamente, non tutti sembrano aver perso il lume della ragione e alcuni personaggi si dimostrano inclini ad aiutare lo sventurato sopravvissuto, anche con una certa… cortesia. Tuttavia, non è in queste personalità che BioShock dimostra una caratterizzazione narrativa superiore alla media, quanto in quelle che si incontrano lungo il cammino, ad affermare la cura magistrale riposta nella realizzazione di un città che esprime una grande personalità, sprigionando quell’irresistibile sapore anni ’50 dai manifesti progressisti e dalle pubblicità affisse alle pareti, contrapponendolo all’aspetto più tecnologico delle strutture, dalla visione d’insieme quasi futuristica.Se il primo impatto con Rapture spiazza grazie alla sua carica fortemente evocativa e al contempo maledettamente inquietante, l’atmosfera diviene ancora più minacciosa una volta messo piede nel Padiglione Medico, una zona lugubre, che prova a instillare la paura tramite rumori inaspettati e le indistinte ombre generate dalla flebile luce che la contraddistingue, un luogo ormai incapace di adempiere al suo scopo originario, la cura, poiché infettato di un malanno esso stesso, la malattia di un dottore che si diletta nel compiere atrocità su inconsapevoli pazienti: la pazzia. Angoscianti registrazioni audio rivelano la demenza e l’ossessiva paranoia di tale chirurgo, Steinman, peraltro interpretato da un Claudio Moneta in gran forma, il quale si inserisce in un lavoro di doppiaggio complessivo dalla qualità veramente rara.Continuando nel delirio sadico perfettamente messo in scena con Steinman, BioShock vanta sicuramente un altro personaggio capace di far comprendere l’assoluto squilibrio psichico degli abitanti di Rapture: Sander Choen. Un uomo privo di senno che ha come hobby la tortura, uccidendo e poi fotografando le sue vittime. E in questo perverso disegno “artistico” si ritrova invischiato proprio Jack, costretto a ultimare il crudele capolavoro di Choen.
Un uomo sceglie, uno schiavo obbedisceNon di meno, alcuni colpi di scena inaspettati e il disturbante incontro con il creatore della città, Andrew Ryan, concludono con maestria il quadro di una storia dal sicuro spessore emotivo, in grado di unirsi alla perfezione alla particolarissima ambientazione, esteticamente realizzata in modo altrettanto peculiare. Se quindi l’anima FPS, presa a sé stante, non apparirebbe invero eccezionale, sebbene solida, divertente e un pizzico innovativa per l’epoca, è solo quando inserita in tal contesto che acquisisce il suo significato reale. Di un gameplay indubbiamente riuscito, ma che alterna fasi più o meno valide e qualche punto morto, BioShock si eleva però al di sopra del genere di appartenenza non solo armandosi di un canovaccio capace di toccare temi maturi e attuali, quali la politica e la società, ma anche arricchendosi di scelte morali.Le sorelline, infatti, non sono solo un elemento narrativo fine a sé stesso, ma integrante all’azione e determinante al raggiungimento di un finale piuttosto che un altro. Se come suggerisce Andrew Ryan, sono le scelte a fare un uomo, il giocatore si ritrova a dover decidere tra lo sfruttamento (per facilitarsi il compito) o il salvataggio delle povere bambine. I pericolosi Big Daddy, inoltre, regalano alcuni degli scontri più epici e impegnativi dell’intera opera, contribuendo a donare più profondità alle meccaniche.Osservare un Big Daddy e la sua sorellina è poi una visione estremamente evocativa. Private della loro umanità e infanzia, le piccole bambine richiamano sensazioni contrastanti, suscitando tenerezza, ma al contempo un sottile ribrezzo. La repulsione, però, si trasforma presto in tristezza quando si prende coscienza della raccapricciante condizione a cui sono inconsciamente destinate e che incessantemente continuano a compiere, ancora più quando ci si accorge che in loro è presente quell’inconsapevole serenità e delicatezza, quell’aspetto che, più di ogni altro, ricorda che l’animo puro e fanciullesco non è andato del tutto perduto: l’innocenza. Un orrore dolce.
Ancora RaptureIl complesso universo creato alla base di Rapture non si esaurisce in un solo capitolo. Sottovalutato soprattutto dal pubblico, BioShock 2 riprende tutte le caratteristiche del predecessore, lasciandone inalterata la qualità. A occupare un ruolo di primaria importanza è ancora una volta l’immortale città sottomarina, che si avvalora di alcuni scorci paesaggistici ammirabili durante l’inedita possibilità di effettuare escursioni proprio sul fondale oceanico, in sezioni ludicamente inutili, ma dal tratto indubbiamente artistico. E se, per ovvie ragioni, si percepisce una mancanza di freschezza gravante tanto a livello di dinamiche di gioco, quanto sul comparto meramente tecnico, graziato comunque da uno stile inimitabile, lo sviluppo narrativo, per quanto meno geniale, si mostra ugualmente interessante, concentrandosi sul rapporto padre-figlia che nel primo BioShock appariva appena accennato.Il protagonista risulta quindi un Big Daddy, alla ricerca disperata della sua sorellina: Eleanor Lamb. Meno banale di quanto potrebbe sembrare, la progressione della storyline rimette talvolta in campo l’ideologia dietro la nascita di Rapture, approfondendola con particolare efficacia tramite le innumerevoli registrazioni audio e soprattutto con un esemplare escamotage: il museo ad esso dedicata, che riporta sul palcoscenico, in maniera piuttosto scenografica, il pensiero sociale del suo creatore. La seconda discesa in fondo al mare, non abbandona così riferimenti politici, scientifici e culturali, permettendosi persino di richiamare, con un divertente easter egg, il famoso paradosso del gatto di Schrödinger.Ad aggiungere più pepe alla vicenda e all’azione di gioco vera e propria, è l’introduzione di nuovi nemici: le Big Sister, le quali, con squilibrate movenze e un’agilità fuori dal comune, soppiantano con sicurezza il timore che prima era solito sancire l’incontro con un Big Daddy.Le sorelline acquisiscono poi maggior rilevanza, con un frangente breve, ma ispirato, che concede persino di guardare il mondo di Rapture attraverso i loro occhi. E solo quando sopraggiunge il finale, il messaggio completo si svela, chiudendo in modo assolutamente toccante e indimenticabile un’altra storia dal forte potenziale emotivo.
Visione d’insiemeIl segreto di BioShock sta quindi nella coesione dei suoi elementi, nel rappresentare verosimilmente una città che senza un background storico appropriato risulterebbe un involucro vuoto, nel far plasmare al fruitore gli avvenimenti in maniera quasi intima e personale. Senza i suoi personaggi chiave, con un’impronta di dialoghi e tematiche dalle derivazioni filosofiche, e l’intricata condizione sociale e politica in cui vige, Rapture non sarebbe quella che è. Per quanto claustrofobica ed opprimente, e stilisticamente curata, il tassello fondamentale che la rende speciale è forse proprio la figura di Andrew Ryan, lo specchio che le riflette addosso un carisma eccezionale, dandogli vita, forma, credibilità. Non è così l’abito, l’aspetto esteriore, a fare Rapture, ma la sua natura: dal luogo in cui è situata e ai motivi che hanno portato alla sua costruzione, al suo travagliato passato, il suo disastroso presente fino al suo incerto futuro. Un’essenza astratta, costruita a tavolino, scenica, eppure dannatamente palpabile aggirandosi per le sue strade, ricolme di dettagli e particolari collocati dal team di artisti, che mantengono accesa l’illusione di verità, che le trasmettono una potenza e un’autenticità sincera, tale da invogliare a esaminarne a fondo ogni suo strato, quasi volesse proporsi ad argomento didattico, come se volesse divenire un vero pezzo di Storia, quasi a far credere che, da qualche parte, in mezzo all’Atlantico, lei sia lì, paziente, ad aspettare di rinascere.
Le frasi
“Quando mamma e papà mi misero su un aereo, per andare a trovare mio cugino in Inghilterra, mi dissero: figliolo, tu sei speciale, sei nato per fare grandi cose. Sapete una cosa? Avevano ragione.”
“Sono Andrew Ryan e sono qui per porvi una domanda: un uomo non ha diritti sul sudore della sua fronte?No, dice l’uomo di Washington. Appartiene ai poveri.No, dice l’uomo in Vaticano. Appartiene a Dio.No, dice l’uomo di Mosca. Appartiene a tutti.Io rifiuto queste risposte. Piuttosto scelgo qualcosa di diverso. Scelgo l’impossibile. Scelgo: Rapture!Una città in cui un artista non debba temere la censura, dove il grande non venga confinato dal piccolo, dove lo scienziato non sia limitato da ridicoli moralismi.Ma la mia città è stata tradita dai deboli. Perciò ti chiedo, amico, se fosse in gioco la tua vita, uccideresti degli innocenti? Sacrificheresti la tua umanità?”
“Noi tutti facciamo delle scelte, ma in fondo sono le nostre scelte a fare noi…”
“Cos’è che distingue un uomo da uno schiavo? Denaro? Potere? No. Un uomo sceglie, uno schiavo obbedisce.”
“Che differenza c’è tra un uomo e un parassita? Un uomo costruisce. Un parassita dice: dov’è la mia parte? Un uomo crea. Un parassita dice: cosa penseranno i vicini?. Un uomo inventa. Un parassita dice: attento, potresti pestare i piedi a Dio…”
“Costruire una città in fondo al mare! Follia! Ma dove altro potevamo vivere liberi dalla morsa dei parassiti? Dove altro potevamo costruire un’economia che loro non avrebbero cercato di controllare, una società che non avrebbero cercato di distruggere? Non era impossibile costruire Rapture in fondo al mare. Era impossibile costruirla altrove.”
“L’amore è solo una reazione chimica. Acquista significato solo per scelta”
“Quando Picasso si stancò di dipingere persone, iniziò a raffigurarle come cubi e altre forme astratte. Il mondo l’ha chiamato genio. Io ho passato la mia intera carriera chirurgica facendo e rifacendo le stesse cose: il naso all’insù, la fossetta nel mento, il seno maggiorato. Non sarebbe magnifico se potessi fare con un bisturi ciò che il vecchio spagnolo faceva col pennello?”
Utopia. Ideologia. Arte. Cultura. Filosofia. Politica. Società. Moralità. Immoralità. Scienza. Potere. Pazzia. Rapture. Un universo che nasconde al suo interno una densità di contenuti che va ben oltre l’aspetto esteriore o una giocabilità piacevole. Una forma d’insieme, un’essenza, impalpabile, ma che se ci si sforza di guardare oltre diviene subito percepibile grazie a un’atmosfera quasi stratificata, che, proprio come l’imprevedibile acqua che circonda la città sottomarina, muta, dipanandosi su più livelli: dall’angoscia iniziale fino alla consapevolezza finale. Inframmezzato di tematiche mature, che emergono soprattutto da una cura verso i dialoghi e una caratterizzazione dei personaggi molto ricercata, BioShock racchiude a sé molto più di quanto sembri, consacrando a protagonista la città di Rapture, ricca di fascino e storia, nonché stilisticamente caratteristica, anche per via di un’illuminazione molto particolare. Semplici elementi che, insieme alla carismatica e malinconica, ma tenera e dolce, accoppiata Big Daddy-sorelline, fanno dell’esperienza negli abissi dell’oceano un viaggio difficile da dimenticare, e altrettanto da spiegare. Un’avventura, insomma, da vivere.
In una parola: Profondo.