Fuori dai denti: Prove di corruzione

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a cura di Domenico Musicò

Deputy Editor

L’argomento di questa settimana è di quelli piuttosto delicati, sfaccettati e complessi da trattare, soprattutto per via delle diverse implicazioni di natura morale che vanno affacciandosi in una realtà in piena espansione che comincia a diventare davvero difficile da inquadrare come completamente sincera e totalmente slegata dalle dinamiche commerciali che ruotano attorno all’industria dei videogiochi. YouTube è una piattaforma relativamente giovane che ha fatto la sua fortuna grazie a video di utenti vogliosi di condividere la propria opinione, documentare parte della propria vita e delle proprie abitudini, confessare i propri pensieri più intimi e parlare spassionatamente degli argomenti più disparati senza troppi filtri o secondi fini. E soprattutto, con una grande dose di sincerità che è una delle regole di base per fare proselitismo. Col tempo, il potenziale di YouTube è aumentato e il giro di affari è cominciato a lievitare, e di conseguenza, sono anche mutati radicalmente alcuni degli schemi legati alla produzione di contenuti, fino a trasformare dei canali in delle vere e proprie vetrine supplementari ai consueti canali di propaganda.
Accade però che d’improvviso emergono dei dettagli preoccupanti su come vengono sfruttate delle partnership, con dei programmi e delle iniziative di marketing che viaggiano sul filo della legalità e che sono mirati per garantire un tornaconto personale per le aziende che negano al produttore dei contenuti la propria identità e ogni forma di limpidezza, qualora costui voglia assicurarsi una retribuzione per i video realizzati. Nonostante sia davvero troppo facile parlare – per l’appunto – fuori dai denti di quello che è il mio pensiero su questa tipologia di accordi commerciali per arrivare al maggior numero di utenti come la famiglia perfetta e senza difetti che vediamo tutti i santi giorni alla TV, stavolta il fulcro di questo episodio della rubrica non sarà un’insana dose di rabbia verso le compagnie che furbescamente vogliono assicurarsi la costruzione di un’immagine impeccabile di fronte al pubblico. Mi sembra più giusto, al contrario, mettere in luce i rischi a cui si andrà incontro se questa tendenza dovesse diventare la regola.
Controllo totale
Non avreste dovuto scandalizzarvi nel momento in cui avete letto del programma di EA denominato “Ronku” – che prevedeva pagamenti agli youtuber più famosi in grado di totalizzare visualizzazioni da capogiro, né tantomeno del fatto che i publisher spediscono molta (davvero parecchia) merce promozionale a chi è popolare affinché possa realizzare dei video a tema. 
Succede spesso, anche in Italia, ed è diretta conseguenza della crescente popolarità di YouTube e della fitta rete di video capaci di accalappiare migliaia di utenti in un sol colpo. A dirla tutta, se non fosse stato per il fatto che una clausola imponesse ai video maker (senza lasciare spazio a interpretazioni) di dire solo belle parole sugli ultimi prodotti della casa di Redmond, non avreste dovuto nemmeno scandalizzarvi del programma “XB1M13” ideato da Microsoft per creare un’eco positiva su Xbox One e sui suoi giochi. C’è una fitta rete di accordi tra youtuber e grossi, medi e persino piccoli publisher che non deve essere messa sotto silenzio. Non deve perché è importante che tutti sappiano come funziona oggi il terzo sito più visitato al mondo: i giocatori incalliti, i semplici appassionati, le famiglie e anche gli annoiati della domenica pomeriggio. Ognuno deve sapere che nel momento in cui sta guardando un video – anche informativo – del gioco che gli interessa, può incappare in un contenuto esclusivamente pubblicitario dove l’opinione personale dello youtuber è inesistente, e dove quest’ultimo sta usando la propria popolarità per veicolare un messaggio già deciso a monte dall’azienda che gli sta commissionando il lavoro. E capiterà sempre più spesso proprio perché questi tipi di accordi commerciali fanno gola e sono un ottimo modo per il sostentamento di chi da YouTube vuole ricavarne il massimo profitto possibile. C’è però qualcosa di profondamente sbagliato nel momento in cui il creatore di contenuti si rende disponibile a spalleggiare segretamente e in modo omertoso il publisher di turno, perché proprio in quel momento sta trasfigurando se stesso diventando un’estensione dell’azienda. Diventa un signore dell’illusione e sfrutta il proprio status favorevole per mentire al proprio pubblico, per disinformare coloro che gli hanno permesso di raggiungere un alto grado di popolarità e dunque anche di guadagnare. Accettare dei contratti in cui non sono ammesse critiche, dubbi che aiutino a far comprendere i lati negativi di un prodotto, discussioni costruttive su cosa oggettivamente e soggettivamente potrebbe non andar bene, significa scegliere di mentire al fruitore del video e quindi anche a un potenziale acquirente. Vuol dire vendere la propria credibilità e onestà. Significa, in definitiva, abbracciare la corruzione della propria integrità.
Senza il conforto della chiarezza
Eppure basterebbe solo un po’ di sincerità e correttezza, basterebbe mettere un disclaimer a inizio video o ancora meglio, salutare il proprio pubblico avvertendo che ciò che segue è frutto di un preciso accordo tra due parti che – scusate ragazzi, solo per questa volta e forse anche in futuro – non permette di esprimere il parere personale di cui vi fidate tanto, ma ben altro. In quanti però lo fanno davvero? Quante sono le personalità che si sentono dalla parte degli utenti e avvertono il dovere di tutelarli tutte le volte che realizzano del materiale video per terze parti? Pensate anche solo per un attimo a cosa possa significare non sapere cosa è avvenuto dietro le quinte ogni volta che guardate un video del vostro canale preferito; fate poi lo sforzo mentale di moltiplicare il numero di canali popolari potenzialmente adatti ad accettare accordi commerciali, per il numero di iscritti a ciascuno di essi, aggiungendo al risultato finale altre persone che in quei video ci finiscono per puro caso perché stanno cercando informazioni e pareri spassionati. Lontano dalla capacità di discernimento del singolo individuo non di primo pelo, c’è un mare di gente che ha il bisogno di vedere e soprattutto di ascoltare le critiche e i ragionamenti legati a dei dubbi legittimi per potersi costruire una propria opinione e per poterla cementare con ulteriori informazioni acquisite magari da fonti simili. Si tratta delle logiche del mercato di massa, lo stesso mercato a cui i publisher si rivolgono per poter massimizzare i propri profitti. Se uno youtuber con milioni di iscritti ha costruito la propria fama sulla grande credibilità e la competenza dimostrata, e omette di essere stato pagato per diffondere solo ed esclusivamente messaggi che non sono farina del proprio sacco, si sta prendendo gioco del proprio pubblico sapendo di farlo. Sta usando la propria posizione privilegiata per fare agli altri ciò che non vorrebbe mai fosse fatto a lui, motivazione che forse lo ha addirittura spinto proprio ad aprire quel canale inizialmente. Il senso di responsabilità è direttamente proporzionale al numero di iscritti, e questo è innegabile. Parlando di canali di puro intrattenimento dove non ci sono parole ma solo spezzoni del prodotto da mostrare, il discorso cambia: qui, ci si mette al servizio dell’azienda in modo diverso, in una maniera accettata e accettabile. Al contrario, fingere entusiasmo o tessere le lodi di un prodotto che in altre circostanze magari sarebbe anche stato bocciato in toto e con parole di grande durezza, è di una gravità spropositata. Dopo aver scoperchiato il Vaso di Pandora e aver fatto sapere a tutti che una delle fonti di informazioni più libere del momento in realtà così libera non è, cambia inevitabilmente la percezione che l’utente avrà di YouTube e dei canali tematici dedicati ai videogiochi. Ci si approccerà a certe tipologie di video con forte timore e sfiducia, poiché anche chi si è sempre dichiarato indipendente e distante dalle logiche commerciali è potenzialmente uno strumento manipolato dall’alto e assoggettato dalla sete di denaro e popolarità. Il rischio, paradossalmente, è dunque quello di trovarsi in mezzo al simbolo della libertà moderna (internet) ascoltando voci che non provengono da nostri pari, ma da grosse corporazioni che esercitano quelle che potrebbero brevemente diventare forme di controllo da regime plutocratico. Naturalmente si parla per iperbole, ma è anche vero che l’accettazione passiva di alcune regole non potrà portare a nulla di buono, se coloro che seguite non prepongono ai propri obiettivi quella che è la qualità numero uno per essere sempre al di sopra delle parti: la sincerità.

Nonostante le aziende abbiano provato a difendersi parlando di accordi commerciali pienamente nella norma, c’è da dire senza troppi giri di parole che la questione di fondo ha dei risvolti innegabilmente scandalosi, sia da parte di chi li propone imponendo delle regole atte a corrompere l’integrità morale di chi accetta, sia da parte di chi sceglie di nascondersi dietro un muro di profonda omertà che danneggia utenti, consumatori e credibilità della piattaforma su cui vengono caricati i video. La chiarezza in questi casi è fondamentale, come di primaria importanza è – a questo punto – affidarsi a dei reali professionisti del settore che sono in prima linea per difendere la verità prima di ogni altra cosa. Affinché tutto possa coesistere senza scombinare gli equilibri, talvolta, bastano davvero poche parole. Di quelle autenticamente oneste.

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