Fuori Dai Denti: Il problema delle microtransazioni e l'ode alla linearità

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a cura di Domenico Musicò

Deputy Editor

Di dinamiche di mercato sbagliate, controproducenti, suicide, scorrette o contro i consumatori ce ne sono davvero a bizzeffe, e non passa un giorno in cui non fiocchi dal nulla una notizia che mandi in bestia gli utenti. Le critiche più accese sono però rivolte verso la volontà da parte di diverse software house di spillare sempre più denaro agli acquirenti, ben oltre il prezzo canonico del già non sempre così abbordabile gioco da comprare al day one. A conti fatti, alcuni costano oggi circa il doppio di quei sessanta o settanta euro che fino a qualche tempo fa servivano per avere un prodotto e goderselo dall’inizio alla fine senza che nessuno indirizzasse la conduzione di gioco verso i meandri oscuri e selvaggi che portano spesso a dei pozzi senza fondo. Quegli stessi pozzi d’avidità che non conoscono nemmeno un briciolo di rispetto verso chi le aziende le foraggia e le tiene in piedi. 
Mali minori o mali necessari?
I contorni della diatriba non sono sempre così netti: la necessità di ripagare gli sforzi economici per la produzione di un tripla A è sempre più conclamata, ma spesso il confine tra bisogno effettivo e guadagni da attuare in maniera poco lungimirante crea una serie di discussioni dove, alla fine, non si riesce ad arrivare a un punto in comune. 
La bolla delle microtransazioni è letteralmente esplosa a scoppio ritardato, probabilmente per via di una serie di congiunture che hanno fatto proliferare un malcontento già latente. Ecco dunque che proprio nel periodo più importante dell’anno sono usciti diversi giochi che tra acquisti in-game molesti, la casualità delle casse premio e qualche ritocco artificioso alla normale progressione di gioco, ha fatto esplodere un bubbone già purulento. Il motivo di queste forzature lo sappiamo tutti: alcune aziende vogliono creare prodotti in grado di generare denaro nel medio e lungo periodo, abbracciando dei modelli di sviluppo che tagliano le gambe alle avventure classiche; a quelle, per intenderci, che una volta terminate tendiamo a mettere da parte.
Accade perciò che Visceral Games chiude i battenti perché “Quando capisci che non puoi tirare fuori tanti soldi da qualcosa, allora è il momento in cui devi tagliare i ponti“, spiega Blake Jorgensen, CFO di Electronic Arts. E che nonostante Visceral stesse “davvero portando il gameplay ad un nuovo livello“, ciò non è più così importante, di fronte al fatto che è troppo classico e non aderente ai nuovi dettami del gioco inteso come servizio espanso o, magari, durevole il tempo necessario per proporre agli utenti oggetti e facilitazioni da comprare con denaro reale. 
In fin dei conti “Via via che revisionavamo il gioco [lo Star Wars di Visceral, per l’appunto, NdR] ci sembrava sempre più un’esperienza lineare, e quelle ormai non piacciono più al pubblico come gli piacevano cinque o dieci anni fa.” Ma questa è ovviamente una panzana gigantesca, perché i giochi lineari piacciono a tutti, non sono soggetti a “deperimento”, sono quelli che (sì, loro per davvero) durano nel tempo, e sono anche quelli che tendiamo a ricordare più a lungo e con piacere. Si capisce dunque dove la frase voglia andare a parare.
Scelte e conseguenze
La dichiarazione è apparsa una gran panzana anche a Cory Barlog, che con un cinguettio ha affermato: “Non potrei essere più in disaccordo. Le grandi esperienze lineari saranno sempre grandi! Ma questa è solo la mia opinione come persona che fornisce storie lineari, quindi sono maledettamente di parte“. 
Ma non sono di certo di parte tutti quei giocatori che in queste settimane hanno sollevato un gran polverone, rifiutandosi di accettare il cambiamento a cui il videogioco sta andando incontro, sempre più imbastardito da metodi e strategie commerciali che ne minano la sua antica purezza. 
Succede allora che persino la nota emittente CNBC (qui il report completo) spieghi quanto già la sola EA abbia perso qualcosa come tre miliardi di dollari in azioni, facendo notare come le controversie nate da Battlefront II (che ricordiamo, avrà nuovamente le microtransazioni molto presto) abbiano creato una community in piena rivolta. 
Doug Crewtz del colosso americano Cowen scrive che tutta “la faccenda di Battlefront II è solo la punta dell’iceberg“, e offre al contempo una soluzione: “Credo che sia giunto il momento per l’industria di stabilire insieme degli standard su queste implementazioni, così da ripristinare le cattive percezioni dei giocatori ed evitare la minaccia delle regolamentazioni“.
Il discorso è dunque collettivo, ci tengo a precisarlo, ma è chiaro che l’azienda che più di tutte sta spingendo con forza verso questa direzione, e con tutti i suoi prodotti, è proprio EA.
L’estrema attenzione che noi giornalisti di settore e la community stiamo avendo sul problema “forzerà EA a fare un passo indietro sulla sua strategia di monetizzazione estrema, creando qualche problema per i guadagni futuri“, fa notare sempre la CNBC. E non potrebbe essere altrimenti.
Visto che anche altre grandi aziende vedevano un nuovo modo per aumentare i propri ricavi, senza tuttavia fare i conti con gli acquirenti, è davvero il caso che tutti si fermino davvero a riflettere e a capire se esistano altri modi per non scontentare i giocatori, già arrivati a un buon grado di saturazione per quanto riguarda simili pratiche. Aumentare di una decina di euro il costo dei giochi, ma solo a patto di far sparire del tutto acquisti in-game legati a doppio filo alla normale progressione, potrebbe essere solo una delle soluzioni per sostenere i costi di sviluppo delle grandi produzioni. Ce ne sarebbero altre, in realtà, ma sono solo attuabili se tutti i giocatori del mondo riusciranno a battersi per ciò che più conta: i loro diritti.

Se ne parla e se ne continuerà a parlare ancora a lungo, al punto che probabilmente vedremo sul serio una qualche forma di auto-regolamentazione o soluzione alternativa che possa fungere da compromesso. I giochi lineari li vogliamo, li adoriamo e non verranno mai soppiantati dai “game as service”. Non è così che è nato il videogioco e non è questa la direzione verso cui si evolverà: è solo una delle sue molteplici ramificazioni. Tutto sottostà a tendenze e mode del momento, pertanto anche i titoli online a lunga durata avranno (e hanno già, badate bene) una certa flessione dovuta a una serie di fattori che ne minano l’attrattiva rispetto al boom di qualche anno fa. Le major se ne stanno rendendo conto e iniziano a studiare nuovi modelli economici invasivi che all’utente non piacciono affatto, motivo per cui è lecito aspettarsi dei sommovimenti che avranno conseguenze nel medio e lungo termine, sfociando in qualcos’altro che al momento non è possibile identificare con chiarezza.

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