Un’immaginaria città turca (Harran) distrutta e devastata dal solito virus in stile Umbrella Corporation, migliaia di zombi che hanno invaso le strade, case ed edifici abbandonati, pochi superstiti e qualche sparuta zona protetta che ha resistito all’invasione dei morti viventi. E’ questo lo sfondo di Dying Light, nuova fatica di Techland che dopo l’ottimo Dead Island e il più interlocutorio Dead Island: Riptide torna alla formula del survival in prima persona. In effetti molti degli elementi visti nei due giochi appena citati tornano anche in Dying Light. La struttura da mondo aperto (non immenso ma nemmeno ristretto), le quest primarie e secondarie, le tante attività collaterali, la grande importanza data al crafting, le armi distruttibili e la progressione del protagonista del gioco in senso ruolistico. Se avete già giocato a Dead Island, vi troverete perfettamente a vostro agio in mezzo a questi vicoli lordi di sangue e corpi in decomposizione e a una città labirintica come poche. Un cambio di location che non piacerà a tutti visto anche l’atmosfera solare e caraibica di Dead Island, ma Harran riserva comunque una discreta varietà di ambientazioni tra colline, specchi d’acqua in cui nuotare e immergersi, gallerie, soprelevate, un lungo tratto ferroviario e alcuni edifici esplorabili di medie dimensioni (il grattacielo iniziale, la scuola, altri palazzi ecc.).
Evoluzioni ginniche tra gli zombi
La prima vera novità che si percepisce subito rispetto a Dead Island è l’estensione verticale della mappa e non è certo un caso. Dying Light prevede infatti un sistema di movimento in stile parkour che si maneggia senza particolari problemi fin da subito; si salta, ci si aggrappa a qualsiasi cosa, si scivola mentre si corre, si scavalcano muri e recinzioni. Il tutto per muoversi più agilmente sui tetti e sui terrazzi della città in modo da stare il meno possibile in mezzo alle strade piene zeppe di zombi, che a parte qualche rara eccezione sono i classici living dead lenti, impacciati e incapaci di saltare e di arrampicarsi. Muoversi in questo modo con una visuale in prima persona fa molto Mirror’s Edge, ma dopo lo spaesamento iniziale dobbiamo ammettere che il sistema funziona e la grande agilità del nostro alter ego coinvolge anche il sistema di combattimento, con mosse, calci volanti, finte e schivate che si imparano nel corso del gioco avanzando di livello. Lo scotto da pagare per essere così agili e veloci è l’impossibilità di guidare un qualsiasi veicolo. Se in Dead Island le auto e le jeep erano fondamentali per investire gli zombi e muoversi velocemente da una parte all’altra dell’isola, in Dying Light tutto ciò non è più possibile, anche perché spostarsi in auto in questi vicoli sarebbe praticamente impossibile. Ciò, unito all’assenza di un trasporto immediato che leghi i vari rifugi, costringe a muoversi continuamente a piedi e a farsi chilometri di corsa per tornare a un punto dopo aver risolto una missione. Questi continui spostamenti dopo un po’ tendono a stancare e la mancanza di qualche mezzo di trasporto più immediato si fa inevitabilmente sentire.
Una missione dietro l’altra
Per fortuna le cose da fare quando ci spostiamo non mancano mai. Dying Light è davvero un titolo vastissimo a livello di contenuti. Le missioni che seguono la quest primaria sono infatti affiancate da incarichi secondari che otteniamo parlando con i PNG sparsi per la città, dalla ricerca di materiali per il crafting e da molte altre attività. Possiamo ad esempio soccorrere una persona attaccata da un gruppo di zombi o umani, competere in gare di velocità, scovare i vari collezionabili (lettere, statuine) e arrivare prima dei nemici nei luoghi degli air drop, casse contenenti materiale prezioso che vengono lanciate su Harran dagli aerei e che, naturalmente, fanno gola anche ad altri sopravvissuti. Volendo c’è anche spazio per del sano grinding, utile soprattutto all’inizio per raccogliere i soldi e gli oggetti dagli zombi morti e per aumentare il livello di Forza, una delle tre caratteristiche principali del sistema si potenziamento. La velocità con cui ci vengono comunicate missioni e incarichi via radio è davvero pazzesca, tanto che annoiarsi in Dying Light è praticamente impossibile. Questo anche perché la ricerca di oggetti e potenziamenti per il crafting di armi e gadget è pressoché continua e sempre interessante. Le armi da mischia, da lancio e da fuoco sono presenti in grande quantità (un po’ meno le ultime) e tutte possono essere potenziate e letteralmente trasformate proprio come già visto in Dead Island, con la differenza però che il crafting in Dying Light è immediato e si può fare dove e quando si vuole.
La notte del terrore
C’è davvero l’imbarazzo della scelta se amate trasformare, creare e potenziare tra medikit, modifiche elettriche, piante e funghi, molotov e altre “ricette” che aggiungono un certo tipo di danno alle armi. A funzionare molto bene è anche il sistema di progressione diviso tra Agilità, Forza e Sopravvivenza. Ognuna di queste voci aumenta di livello a seconda se ci muoviamo molto, se combattiamo spesso e se portiamo a termine le missioni. Guadagnato un punto al passaggio del livello successivo, possiamo attivare una delle rispettive skill e anche in questo caso l’albero delle abilità è fitto di opzioni tra potenziamenti attivi e passivi e nuovi tipi di attacco, pur rimanendo di comprensione immediata e approcciabile da qualsiasi giocatore. Quando poi cala la notte, Dying Light prende le sembianze di un vero survival horror; si vede poco e se si accende la torcia elettrica di rischia di attirare verso sé gli zombi, anche se il vero pericolo sono le creature della notte che vanno evitate come la peste. Le fughe da questi mostri sono il momento più spaventoso del gioco, ma per fortuna, stando attenti al loro “cono” visivo segnalato sulla mappa e quindi optando per un approccio quasi stealth, si può evitare di finire a brandelli. Mostri che tra l’altro possiamo impersonare in una modalità alternativa del gioco e che si controllano quasi come Spider-Man, con un’agilità pazzesca e con una specie di sostanza che funge da ragnatela per raggiungere altezze altrimenti proibitive.
Dead Island 2.0?
Che dire ancora di Dying Light? Il co-op online permette di giocare con un massimo di altri tre giocatori tramite un classico drop-in/drop-out, dividendosi così le fatiche e compiendo dei veri e propri massacri indiscriminati di zombi. La longevità rimane bene o male quella di Dead Island; non enorme se si seguono solo le quest principali ma molto più cospicua se si esplora, si risolvono le missioni secondarie e si cerca di ottenere tutte le skill disponibili. Il comparto grafico convince pur senza far gridare al miracolo. Molto bello tutto il lavoro fatto sullo scenario, sull’illuminazione, sulla gestione delle ombre, sul “sangue” e sulla netta sensazione (data anche dall’audio) di assistere a combattimenti cruenti e molto fisici. Il gioco assicura un buon frame-rate anche con PC di livello medio, ma se volete attivare l’occlusione ambientale e spingere le texture al massimo livello è meglio poter contare su una scheda grafica con parecchia VRAM (almeno 3 GB, meglio ancora 4). Stupisce poi in positivo, visti anche i tempi di day one di giochi PC a dir poco problematici, la stabilità del codice review. Mai un crash in oltre 20 ore di gioco, anche se una futura patch dovrebbe sistemare il problema dello stuttering che si presenta con alcune opzioni grafiche attivate. Nel nostro caso, con texture Medie e HBAO+ disabilitato, andavano tranquillamente oltre i 60 fps in Full HD con una GeForce GTX 770, 12 GB di RAM e un SSD da 256 GB. Difetti? Oltre al continuo andirivieni per la città, segnaliamo un’IA dei nemici umani un po’ troppo “allegra” e ben poco tattica, una trama così così e un protagonista che forse anche per il doppiaggio italiano trasmette davvero poca empatia. Anche sul discorso originalità Dying Light non è certo una cima e le molte somiglianze con Dead Island lo dimostrano chiaramente, ma Techland ha realizzato un titolo davvero solido, bello da vedere, divertente da giocare e spaventoso quanto basta.
– Gameplay solido e completo
– Il parkour è una bella trovata
– Basi ruolistiche semplici ma efficaci
– Grande spazio al crafting
– Difficile annoiarsi
– Non è il massimo dell’originalità
– I nemici umani sono un po’ “stupidi”
– C’è molto backtracking a piedi
Dying Light è un valido mix di survival, GdR, esplorazione e horror. Rispetto a Dead Island perde forse un po’ a livello di novità e di ambientazione, ma guadagna su altri fronti grazie all’elemento del parkour e a un sistema di crafting più snello e istantaneo. Anche graficamente il gioco non delude e la nostra prova ha messo in luce un’ottimizzazione non ancora perfetta ma di gran lunga superiore a quanto visto ultimamente al day one di molti titoli per PC. Se vi piace il genere, andate a colpo sicuro.